Via Ventura, première e arrampicata in Vallunga
Arrivammo nel primo pomeriggio, rimasi estasiato dall’ambiente e piacevolmente colpito dalla calorosa accoglienza dei gestori. Al tramonto, sulle piastre con mia moglie, fui completamente preso dalla Torre di Brenta accesa di rosso. Mi raggiunse Fiore Alimonta, chiacchierammo del più e del meno. Intuendo la mia emozione, prese ad indicarmi, nome per nome, tutte le cime del Brenta scrutabili dai nostri occhi e mi portò all’attacco della via aperta dal "re del Brenta" insieme a mio fratello; gli confidai che un giorno, sicuramente, sarei salito su una di quelle cime.
Mattino del 24 luglio 1980 - Giornata da cartolina, prendiamo il sole cercando di riprenderci dalle esagerazioni alcoliche notturne. Si presenta davanti a noi Fiore con corda, moschettoni ed un imbrago per me dicendomi: dai Lorenzo mi farebbe piacere portarti in cima alla Torre del Brenta per la "via normale", vedrai che bello, non puoi tirarti indietro. Gran merito quello di Fiore, ebbe la capacità di cogliere il momento in cui ero particolarmente ricettivo e così mi aprì la porta, che non si è mai più chiusa, verso un mondo nuovo, unico, fantastico.
Fu così che a 30 anni sbocciò la mia passione per l’alpinismo, un amore stupendo fatto di grandi gioie, di sofferenze, di fatiche e sacrifici, di paure, di delusioni, di rinunce, di complicità e di amicizia con i compagni di cordata, pochi invero perché, se non esiste sintonia, non c’è il piacere della condivisione. Avendo già due figli, delle responsabilità, un lavoro che ti concedeva poco tempo libero e provando un profondo rispetto per quell’ambiente nuovo ed innaturale scelsi di farmi introdurre nel mondo affascinante dell’alpinismo da dei professionisti. Ad essi devo molto, in quanto mi hanno fatto migliorare in tutti i sensi: come uomo per prima cosa, poi come alpinista. Parto, vado, non so quando arrivo, quanto ci impiegherò, ma tornare a casa per me è sempre stato un imperativo. Essere consapevoli dei propri limiti pure, mi sono sempre detto "vola basso per continuare a volare".
Mi definisco un alpinista modesto, forse meglio un arrampicatore (alpinista è una parola che deve avere la A maiuscola), in perenne dubbio sulle proprie capacità, ma curioso, tenace, con la voglia di progredire, di migliorare, di non accontentarsi, di mettersi alla prova, forse non così tanto scarso come mi dipingo. Non ho mai tenuto un elenco delle vie percorse ma, sono parecchie, direi tante, le ricordo tutte, le linee sono impresse nella mia mente, i passaggi delicati pure. Le facili come le difficili, tutte hanno un loro perché, la loro storia, il loro significato e tutte sono belle.
Sono passati trentacinque anni, sono ancora pronto ad emozionarmi, adesso come allora, un fuoco che non accenna a spegnersi. Spesso mi domando perché ma, non so dare una risposta razionale.
Tre anni fa Ivo Rabanser, mi propose arrampicare sul Ciampanil de Val in Vallunga per la Rosmarie (via sua che dedicò alla moglie). "Ma non è friabile tutto quel giallo? Dai Ivo, con tutto quel ben di Dio che ci offrono il Sella ed il Sassolungo, proprio in Vallunga mi devi portare", chiesi all’amico. "Fidati Lorenzo, non te ne pentirai", questa fu la sua lapidaria risposta.
Così scoprii la Vallunga dal punto di vista alpinistico, una bella donna, schiva, sconosciuta ai più, difficile da conquistare, affascinante per i suoi silenzi, spettacolare per l’ambiente, la potrei definire una Yosemite Valley nostrana, con tutte quelle torri e quei bastioni che fanno da scudo alla valle. Mi sorpresi come potesse essere così bella, intima, e stranamente poco frequentata dagli arrampicatori. Avevo riscoperto così il gusto dell’avventura e mi sentivo piacevolmente soddisfatto ed orgoglioso di poter godere di questo privilegio. Contemporaneamente ero meravigliato del fatto che la Vallunga fosse famosa solamente per le sue cascate di ghiaccio; eppure Vinatzer, nel lontano 1931, l’aveva portata all’attenzione del mondo alpinistico con la sua via sulla Steviola. Dopo quella via ne seguirono altre, tutte belle e di soddisfazione e fui sempre più conquistato dalla Vallunga, nella quale mi sentivo a casa, così come mi capitava nel Brenta, al rifugio Alimonta
Nella tarda primavera del 2014 Ivo mi propose di salire un pilastro di oltre quattrocento metri sulla Piza de Chedul, per una via che aveva percorso in solitaria molti anni fa. Insieme a noi si unì anche suo fratello Eddy. Partimmo al mattino alle nove e fu un piacere arrampicare in quell’ambiente. Ci siamo divertiti un sacco su questa bella via che merita, a mio parere, di diventare maggiormente conosciuta, anche in virtù del rapido accesso, per chi come me ha ginocchia fragili, l’ambiente stupendo con panorami unici e la comoda discesa per la val Chedul su prati e per boschi.
Al ritorno in valle, guardando soddisfatto la Piza de Chedul, rividi la linea di salita e chiesi ad Ivo se non riterrebbe opportuno aprire altri itinerari su quella bella muraglia che si staglia, a guisa di leone, a guardia della valle. Certo che sì fu la sua risposta: a destra c’era una linea che saliva diritta, che mi intriga. "La faremo insieme", mi disse con tono semiserio. "Per me sarebbe un onore ed un piacere", risposi. "Ho fatto qualche prima ripetizione ma, una via da aprire, proprio mi manca, sarebbe una bella soddisfazione per festeggiare i 35 anni di attività, un sogno che inseguo".
19 settembre 2014 - Partiamo per il nostro obiettivo alle 8.30 del mattino da Santa Cristina. Sono agitato al pensiero, la notte non ho dormito, l’intestino, probabilmente per l’agitazione ha ampiamente somatizzato. Pensieri negativi mi avvolgono: è un mese che non arrampico, non sono all’altezza, fisicamente non mi sento a posto, guarda che pancia hai, dove cazzo mi sono andato ad infilare. Contemporaneamente si fa sempre più forte l’altra voce dall’intimo, quella positiva, la vincente: ma che cosa dici Lorenzo, ce la farai, non dubitare di te, vuoi forse abbandonare il tuo sogno, tira fuori gli attributi, non tradire la fiducia che Ivo ed Eddy hanno riposto in te. Abbi orgoglio e determinazione, arrampica soprattutto con il cervello (il fisico oramai lascia a desiderare)!
All’attacco sono determinato, deciso, pronto a lottare, nonostante qualche inevitabile lamento. Le nebbie si sono dissolte, un’euforia ed una forza mai sentita prima mi prendono, una vocina dentro di me mi dice "caro Lorenz oggi sarà un giorno che ricorderai per sempre, cogli l’attimo". Aprire una via ti dà una forza, una spinta ed una convinzione che non avevo mai provato da ripetitore.
Ore 18.15 siamo in cima, felici. Bella via, impegnativa – un camino al terzo tiro, liscio come l’olio, che mi ha fatto vedere i sorci verdi ed impegnato al massimo, maledetti i licheni! La linea si è rivelata più continua, varia e difficile di quella aperta precedentemente da Ivo sullo stesso versante. Che soddisfazione per un sessantacinquenne – chi l’avrebbe detto! Sono commosso ed emozionato, come un ragazzino innamorato, rivedo nel mio cuore e nella mia mente la Torre di Brenta, le Dolomiti, il gruppo del Monte Bianco, il Nepal. Sono un uomo fortunato.
Care montagne, finché ci sarà fiato e cuore mi dovrete sopportare, non ci sono donne, Marlboro, cibo e vino che tengano. La dea bendata ci ha accompagnato e protetto, non facciamo in tempo a togliere gli imbraghi che si scatena il diluvio, scendiamo veloci per il bosco.
Grazie Ivo, grazie Eddy, il sogno si è avverato. Grazie per la vostra sensibilità e l’amicizia che mi avete sempre dimostrato e grazie per avere deciso di dare il mio cognome alla via per premiare i 35 anni di appassionata attività alpinistica. Non posso fare a meno di rivolgere un pensiero alla famiglia Alimonta ed alla cara Ninny in particolare; a Renzo Springhetti, a Marco Furlani, il mio maestro, che per venti anni mi ha sopportato ed insegnato nella vita ed in montagna, al prezioso fidato inossidabile Mino Frera, a Massimo Datrino, ai miei figli, a mio fratello Giovanni, alle donne che ho amato.
di Lorenzo Ventura