Un Pesce come regalo. Di Maurizio Oviglia

Una via mito per regalo di compleanno: sulla via Attraverso il Pesce alla Sud della Marmolada per ricordare ancora una volta che l'arrampicata e l'alpinismo sono un percorso che non ha mai fine, tra sogno e realtà.
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Rolando Larcher sulla via Attraverso il Pesce (Marmolada, Dolomiti)
Maurizio Oviglia
Capisco che salire il Pesce, per uno nato sotto le crode, possa ben rappresentare il sogno di una vita, il coronamento di una carriera alpinistica. Ma per me, nato e cresciuto all’ombra del Monviso, i richiami erano altri e le Dolomiti sembravano più lontane della California. Oggi, nell’era di internet, nei forum e sulle bacheche di facebook, si scherza e ci si prende per il culo tra est ed ovest: le Dolomiti, provocano gli “occidentalisti” (oggi questo termine fa ridere, ma un tempo ci si etichettava proprio così), non sono che dei franosi paracarri! Tutte placche lisce ed appoggiate dove vai su in moto! Ribattono dall’altra parte, parlando di Mello ed Orco, i tempi sacri dell’arrampicata occidentale! Eppure quando le riviste le scrivevano a Torino, era veramente difficile leggere qualche racconto delle imprese laggiù ad est, così vicino eppure così lontano. Già salire il Philipp Flamm per i torinesi sembrava una grandissima impresa che bastava a dire “sono stato in Dolomiti, ho fatto una via anche laggiù, ma la roccia… molto meglio le Calanques”! Sarebbe stato bello leggere, già nel 1981, della via di Koller e Sustr sulla Marmolada, ma che ci volete fare, Giampiero Motti guardava ad ovest, al Vercors, alla California e al Verdon, così ci siam messi una fascia nei capelli ed abbiamo cominciato a far fessure, dimenticandoci di cosa succedeva ad est…

Eppure un settembre di 30 anni fa, bighellonavo proprio al Passo Sella nel mentre sembrava esserci un raduno di istruttori del CAI. Fresco di maturità e con le idee piuttosto confuse sul cosa fare della mia vita, giravo con finta indifferenza tra quei “pataccati” tutti vestiti di rosso, sperando che qualcuno mi notasse… Spesso nella vita bisogna avere faccia tosta, e alla fine mi feci avanti; “nessuno qui va a scalare?” Così a 20 anni esatti scalai la mia prima via in Dolomiti, la Abram al Ciavazes, e poi la Maria al Pordoi, quando ancora ti offrivano il ritorno in funivia gratis. “Ti piacciono le Dolomiti”? Mi sussurrò all’orecchio un istruttore di Bergamo. “Si, mi piacerebbe fare qualche bella salita”. Puoi venire con me, se vuoi, ho una settimana di ferie ancora, faremo qualche classica. Fatti trovare sabato in Val Brembana, che partiamo… Nonostante le premesse, mi sembrava di aver vinto al totocalcio, di quella settimana ho un pessimo ricordo. Il mio accompagnatore, forte alpinista e con un curriculum invidiabile, aveva probabilmente qualche nodo da risolvere con se stesso o la sua famiglia. Cose che, per un ventenne drogato di montagna, erano assolutamente incomprensibili!

Insomma come assaggio partimmo sulla Comici alla Lavaredo e, dopo qualche tiro, il mio tutor sbagliò strada su una variante. Può capitare, niente di grave, ma alla sosta dopo mi disse: “scusa, non è mai capitato che sbagliassi, non ho la testa, preferisco buttar giù le doppie.” Per me… fu come prendere una grandinata, anzi almeno questa sarebbe stata una scusa plausibile per scendere! Dopo un giorno a bighellonare a Canazei, mi propose la Conforto alla Sud della Marmolada. Ero al settimo cielo, avrei salito la parete delle pareti, seppure per 30 tiri di camini, un bel colpo davvero! Salimmo al Falier, consumammo una fugace cena nella penombra e ci ritirammo sotto un cumulo di coperte in un dormitorio pieno. Quando il gestore ci venne a svegliare, il mio compagno venne da me mogio mogio: “scusami, non me la sento, non ho voglia. Devo riflettere su alcune cose”. Nuovamente, mi crollò il mondo addosso. Incazzato nero, uscii dal rifugio e corsi da solo al Passo Ombretta. La Marmolada era lì davanti a me, un vassoio d’argento irraggiungibile ed ormai privo di alcun senso. Non avrei potuto salirla e chissà quando mai sarebbe ricapitata un’occasione simile! Mi sfogai con il vento e scesi al rifugio già più calmo. Riuscii persino a non aggredire il mio compagno! Scendemmo verso Agordo ed il mio socio finalmente si riprese. Vorrei fare, disse, la Andrich alla Punta Civetta. Bene, dissi io, ma basta che la facciamo! Inutile dire che, anche per il Civetta non partimmo mai… Ci misi una pietra sopra, e delle Dolomiti mi scordai per una buona metà della mia vita…

A riportarmi ad est fu Rolando, 15 anni dopo. Non mi sono mai innamorato delle Dolomiti e non sono di certo le montagne della mia vita, ma avendo modo di scoprirle con un compagno come lui per cui “le chiacchere stanno a zero”, è facile subirne almeno il fascino. Probabilmente non potrò mai capire che rapporto abbia con queste montagne uno che è nato qui, nella Val d’Adige, ma per un foresto è naturale farsi prendere dalla storia e, prima o poi, sentire il prorompente desiderio di ripetere le grandi classiche, proprio quelle che hai letto e riletto sui libri, studiando la storia dell’alpinismo. Rolly ha salito vie sulle Dolomiti sin da quando era ragazzino, ed ha aperto innumerevoli vie, insomma per lui è “casa”! Per quanto mi riguarda, solo di recente ho imparato a distinguere la Tofana dal Pelmo e a capire bene dove stanno le Lavaredo anche se non le vedi da nessuna parte! E’ un mondo ancora tutto da scoprire! Dai Rolly, portami sulla Marmolada, mi basta una via qualunque, magari Tempi Moderni come primo assaggio. Andiamo Rolly, tu nei hai fatte cento e ne hai aperte altrettante, cosa ti costa andar su una volta insieme? Dai fammelo come regalo dei cinquanta, almeno! Oh, mica ti chiedo di farmi da guida, eh? Solo una via insieme, una giornata su questa parete per archiviare definitivamente uno dei miei sogni di ragazzo!

Anche se in Marmolada non avevo messo più piede, in tutti questi anni mi ero tuttavia tenuto informato su quel che succedeva. E se c’era una via che per me rasentava la perfezione estetica ed etica e mi faceva sognare, questa era Tempi Moderni di Heinz Mariacher. Ma perché non il Pesce? Han sempre osservato coloro a cui confidavo queste impressioni… Il Pesce è una gran via, ribattevo, ma è stata aperta in parte in artificiale! Io voglio fare una via di libera, aperta in libera, mica salire coi ganci! Probabilmente, ho sempre avuto una visione parziale, o se preferite di parte, dell’arrampicata e dell’alpinismo, ma ognuno è il prodotto dell’aria che ha respirato quando ha cominciato a scalare, no? Delle sue letture, delle sue esperienze, dei suoi miti e dei suoi maestri. Ebbene io ho iniziato ad arrampicare in Val di Susa, proprio quando spirava forte il vento dell’ovest, proprio quando si cominciava a capire che c’era una bella differenza tra riposarsi sui chiodi e non farlo. Ogni volta che andavamo ad arrampicare, provavamo la libera sino alla morte, da secondi o da primi non importa, ed ogni chiodo utilizzato era una sconfitta. E così rimase negli anni a venire… Per me una via lunga salita in A0 o coi resting non è fatta, molto meglio salirne una più semplice in libera, no? Mi rendo conto che non tutti la pensino così, che in montagna si preferisca “fare” non importa come... Ma non per me: potrei aver fatto tante vie difficili, intendo oltre il mio livello, ma che senso avrebbero se non salite in libera? Anzi, qualcuna è scappata, naturalmente, ma le nomino quasi con vergogna… Qualcuno mi dice: “sei esagerato, mica siamo in falesia!”. Può essere che costoro non abbiano respirato quell’aria di rivoluzione che soffiava nei primi anni ottanta, in falesia come in montagna? O che quella lezione sia andata perduta o percepita e portata avanti, oggi, solo dagli arrampicatori di alto livello? Tutti gli altri esenti? Qualcun altro ribatte seccato: ma io mica sono un professionista! Sono un arrampicatore della domenica! Ma che c’entra, dico io? A maggior ragione un dilettante dovrebbe scegliere obiettivi alla sua portata. O sbaglio?

Così quando Rolly mi disse: ok, andiamo sul Pesce, mi prese l’inquietudine. Non riuscirò mai a salirlo in libera, non sarebbe meglio qualcosa di più abbordabile? Ma il Pesce è il Pesce, e un invito del genere, capita una volta sola nella vita, non si rifiuta! Così eccoci, alle 5,30 del mattino, in due cordate, all’attacco della famosa via. “Lo senti il mattoncino sullo stomaco a guardar su?” Mi chiede Rolly. “Per ora no, ribatto, sento solo il mattone sulla schiena di questo zaino! E la preoccupazione di risparmiare le energie per arrivare in vetta!” I primi tiri li descrivon brutti, ma son tutto sommato piacevoli e su roccia non così cattiva. Più in alto, salgo anche dei tiri da primo, così finalmente mi trovo improvvisamente catapultato in questo oceano di placche, senza saper bene dove andare. Al mio imbrago, così ha voluto il mio compagno, non ci sono staffe, chiodi e cliff ma solo una serie di friend ed una di nut, perché così si deve salire il Pesce oggi… E allora ti devi ingegnare, capire, entrare nella mente di quei due, che nel 1981 si son lanciati su di qua. In questo oceano, un buco vale l’altro, e poi io non ho mai messo un tricam nella mia vita, ed i friend sempre dritti nelle fessure, altro che nei buchi! Come va? Mi grida Rolly da sotto… Son qui che cerco di ingoiare il famoso mattoncino!

Tra un buco e l’altro, mi prende un ennesimo flash back. Natale 1983, Verdon, Pichenibule. Siamo in tre alla cengia dell’attacco e patteggiamo i tiri. Daniele dice: sono 8 tiri, noi due ne facciam sette, tu basta ne faccia uno, quello prima del bombè. Ingenuamente, penso sia un affarone, per cui accetto. Da secondo, scalo e mi diverto, questa Pichenibule non è poi così terribile, penso… Ma più tardi, su quel maledetto tiro a cui non potevo sottrarmi, ho visto veramente la madonna! Rischiando un volo di 15 metri (che poi un mio amico fece veramente!) arrivai con la punta delle dita ad un fettuccino giallo che pendeva da un piccolo bombè. I piedi annaspavano sulla placca liscia e mentre stavo per precipitare nel vuoto rimasi appeso con un unico dito che era riuscito ad uncinarsi a quella fettuccina. Penso di non aver avuto mai così paura nella mia vita. Oggi, quel tratto è stato chiodato a spit, ma allora era forse un 6c o 6c+ obbligatorio… Peccato che io non avessi mai fatto un 6c neanche in falesia, e nella relazione non ci fosse scritto nulla! Ma ora si sa, lo scrive anche Ron Fawcett nella sua biografia, i francesi allora facevan gli scherzi… e se non eri local e non ti chiamavi Fawcett o Livesey eran caxxi! Ma, rifletto, Pichenibule fu aperta in parte dell’alto, e con gli spit! Ed è maledettamente simile a questo Pesce! Perché allora ammiravamo il coraggio di Pschitt e non quello di Koller e Sustr?

Eppure va, anche il diedro svaso va e, anche se da secondo e rischiando pendoli paurosi (su una delle due corde passate in alternato ho appeso lo zaino, per cui la piccola mezza a cui sono legato non passa in tutti i rinvii ed ha lunghi tratti liberi), non mi sono ancora appeso. Così, comincio davvero a crederci. Il Pesce in libera, il sogno dei sogni, ma vuoi mettere che possa riuscirci anch’io??! Più su, le energie cominciano inevitabilmente a scarseggiare, la lancetta è in riserva e cominciano i crampi. Dopo la bellissima nicchia arriva come una mazzata il vero passo chiave, un terribile traverso di 7b+. Mi attacco anche coi denti, i piedi ormai doloranti spalmati sul nulla ma, grazie alle indicazioni di Rolly, non cado neanche qui. Traversi aleatori, fessure svase, davvero non riusciamo a capire come Auer abbia potuto pensare e realizzare una solitaria integrale del genere. Veramente fuori dal mondo! Più su, ormai allo stremo, Rolly mi chiede di andare ancora da primo. E’ una fessura rovescia, interamente da proteggere. Roba che in Orco mangio a colazione. Ma ora, di benzina, ne è rimasta ben poca, ed ho le braccia tetanizzate. Ma resto su, con la forza della disperazione, e arrivo al consueto grappolo di cordoni e chiodi marci della sosta… Prosegue il mio compagno sino in cengia, anche lui, che mille avventure ha vissuto su questa parete, ormai con le ultime energie. Incastra il ginocchio nello strapiombo finale, come in falesia. Devo fare così anch’io, mi dico… non cadrò proprio lì, rovinandomi la via!?? Fessura di 6c, ma ben chiodata… Ma che cazz… di 6c è questo?

Alle 19, prendendocela comoda, siamo in cengia. Troppo tardi per continuare come era nei nostri programmi, e poi ci son gli altri sotto che ci aspettano alla nicchia per scendere insieme. Il mio “Pesce all free”, per giunta in buona parte da secondo di cordata, non è nulla, niente di speciale, solo una scommessa con me stesso. I forti sono altri, Koller e Sustr in primis, quelli che come Heinz Mariacher e Bruno Pederiva per primi hanno avuto la visione di riuscire a liberare questa poca artificiale, quelli che sono riusciti a vista e interamente da primi di cordata, infine quel matto che è salito slegato. Tuttavia, quel che conta, è dare il massimo a livello personale e oggi di energia ne ho avanzata veramente poca, salendo alla fine “solo di esperienza”! Chissà, con un po’ più di “livello”, forse ora conoscendo dove si passa e che protezioni si mettono, potrei farlo interamente da primo. E magari anche free… ma sarebbe pur sempre la seconda volta, e un po’ di magia andrebbe persa. Ma è un'altra storia e un bel regalo si prende com’è, e oggi è stato davvero oltre quanto potessi sognare! Grazie Rolly, ora sono in debito con te a vita, un bel regalo per i 50! Anzi, facciamo pari con quella volta che ti ho accompagnato a fare la rotpunkt che sognavi, su una via per me impossibile, ok? Ah ah!

Arnaud Petit scrive nel suo libro, a proposito di questa via: ancora oggi il Pesce rimane una via riservata alla crema degli arrampicatori alpinisti, anche se la maggior parte di essi fa un po’ di resting o gioca coi cliff sulle gocce d’acqua. Ma io penso che bisognerebbe almeno tentare di salire questa via senza questi artifici. Non per affermarsi in una qualche élite, perché le ascensioni in libera e a vista rimangono dei casi eccezionali. Ma piuttosto per gioco, e perché questo calcare, a mio avviso il più bello del mondo, merita qualcosa di più che il tirarsi su da un cliff all’altro.

Maurizio Oviglia



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