Trilogia d'invernali sulla parete di Brogles in Dolomiti

Il racconto di Alex Walpoth che, insieme a Titus Prinoth, ha effettuato tre salite in inverno sulla parete di Brogles (Odles, Dolomiti): Franz Runggaldier (VIII, 200m), Rudi Runggaldier (6 A2, 220m) e L Cator (VIII + A1, 180m)
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Alex Walpoth e Titus Prinoth sulla parete di Brogles, Odle, Dolomiti
Alex Walpoth, Titus Prinoth
La parete di Brogles richiede una presentazione, perché è assai sconosciuta al di là della Val Gardena e Val Funes. Fa parte del gruppo delle Odles e da sud si fa notare soltanto come contrafforte occidentale della Piccola Fermeda, nient’altro che un prato ripido e roccioso. Vista dall’altra parte affascina con 200 metri di parete completamente strapiombante, gialla e attraente.

Nella parte centrale strapiomba maggiormente: Una via in artificiale del 1985 sale nel bel mezzo, aperta con 180 chiodi a pressione. La “Rudi Runggaldier” era per noi che di solito scaliamo in libera qualcosa di nuovo e sconosciuto che non sapevamo valutare. Proprio per questo motivo m’inspirava, per conoscere anche questa disciplina dell’alpinismo, attività che ci offre infinite possibilità. Il sedicenne Titus ha la mia stessa curiosità. La differenza d’età di quattro anni non si fa più sentire grazie a molteplici avventure vissute insieme e oltre a concordare alpinisticamente siamo anche ottimi amici. Già qualche anno fa avevamo deciso di salire la “Rudi Runggaldier” direttamente d’inverno; ora era venuto il momento giusto. Stabilimmo il 26 dicembre come data, ma più che ci avvicinavamo a quel giorno, più peggioravano le condizioni. Le temperature scesero fino a -13°, a queste si aggiunse un forte vento da nord. Non accennammo i nostri dubbi e di prima mattina ci trovammo davanti alla stazione a monte del Seceda, esposti ad un vento ghiacciato. L’intensità aumentò quando raggiungemmo la forcella di Pana. Quando ci avviammo su una stretta cengia verso l’attacco, il vento finalmente cedette e l’aria era già più calda. All’attacco ci preparammo e ci stupimmo un’ultima volta degli enormi strapiombi che avremmo attaccato immediatamente.

All’inizio dovetti abituarmi alla salita con le staffe; da chiodo a chiodo diventai più abile e veloce. Ci attendeva il tiro più interessante, quello con la candela di ghiaccio. Grazie ad una ricognizione sapevamo della sua esistenza e avevamo portato con noi l’attrezzatura da ghiaccio. Con questa mi arrampicai sulla candela e raggiunsi un tetto, dove agganciai l’unico chiodo che non era coperto dal ghiaccio. Di sopra, la parete era rivestita da uno strato di ghiaccio. Aggrappandomi alle piccozze mi alzai oltre il bordo del tetto, velocemente prima che le braccia si stancassero. Per motivi di peso avevamo purtroppo portato solo un paio di ramponi e piccozze, e Titus, salendo da secondo, poteva soltanto ammirare la bellezza del ghiaccio, senza metterci mano. I successivi tiri, un po’ più facili, li salimmo in libera, percorrendo un diedro perfetto sia per la struttura sia per la roccia. Titus passò in testa. La parete diventò ancora più ripida e riprese quel gelido vento. Titus si mosse da chiodo a chiodo, un lavoro monotono e faticoso. Infine salì due tiri saltando la sosta. Quando giunse un grido dalla cima cercai di scuotermi di dosso il freddo. Cosa che mi riuscì appena sugli ultimi metri dalla cima, sulla quale mi aspettava Titus, torturato dal vento che qui soffiava con intensità agghiacciante. Il sole era già tramontato. Eravamo circondati da un’atmosfera rigida e minacciosa, si sentiva proprio l’impetuosa forza della natura. Per emozioni di grande gioia faceva semplicemente troppo freddo. Quelle arrivarono appena nella baita Sofie, dove fummo accolti da Markus e la sua famiglia con grande simpatia e ospitalità nonostante avessero già chiuso.

La Rudi Runggaldier si estende sulla parte della parete più ripida, ma le altre due vie che attraversano la Parete di Brogles, sono essenzialmente più difficili, perché richiedono arrampicata in libera particolarmente difficile. Stavamo già parlando durante questa prima salita invernale che avremmo potuto anche percorrere la "Franz Runggaldier" e "L cator" d'inverno. D'estate le avevamo percorso entrambe e c’erano rimaste particolarmente impresse per la loro difficoltà e bellezza. La sfida di scalare tutte e tre le vie nella stagione fredda era già stata superata da Hubert Moroder e Adam Holzknecht; tuttavia in inverni diversi. La chiara sfida consisteva nel percorrere tutte e tre le vie in questo inverno. Chiamammo il progetto "trilogia" e presto ci rimase quest’unica meta alpinistica.

29. gennaio, è il giorno della “Franz Runggaldier”. Le temperature sono di nuovo basse, ma grazie alla nostra biancheria intima di Angora non vi è modo per scoraggiarci. Questa volta ci tocca indossare le nostre scarpe da arrampicata e sopra delle calze per scaldare le caviglie. Sul primo tiro, Titus si arrende nella lotta contro il freddo, le sue dita intorpidite lo costringono a lasciare la parete e il sogno di una salita in libera. I contrasti seguono uno dopo l'altro: le dita si scaldano e saliamo velocemente fino sotto il tratto più difficile. Qui mi muovo su un'immensa scaglia fino a raggiungere una fessura strapiombante. Questa prima sembra essere vuota e assai instabile, mi viene in mente Adam, che é stato il primo a tenersi qui. Quali saranno mai stati i suoi pensieri? Mi arrampico per la fessura senza esitare, le dita restano calde e così raggiungo la sosta euforico: il tiro di ottavo grado mi è riuscito in libera nonostante lo stesso numero di gradi sottozero. Titus sale un ultimo tiro tecnicamente difficile, dopo percepiamo la severità dell’inverno e facciamo l’esperienza delle vere difficoltà che comporta la stagione fredda: le lunghezze meno ripide e facili d’estate, si trasformano a causa della neve in questioni difficilissime. Continuo ad arrampicare con cautela, libero la roccia dalla neve e supero qualche passaggio ghiacciato aiutandomi con la piccozza. Esco dalla parete con il maglione di lana coperto completamente di neve. Alcuni fiocchi di neve scendono dal cielo. Titus si arrampica attraverso la neve presente in grandi quantità sugli ultimi metri e raggiunge la cima lamentandosi delle mani fredde, tuttavia sorride felice. È stata una via fantastica e a dispetto del freddo un’esperienza intensa e piacevole.

Febbraio 2015, per concludere la “trilogia“ manca solo la via „L cator“, aperta nel 1989 dai fratelli Karl e Benno Vinatzer e il solito Adam Holzknecht. È una via che ci intimorisce e incute rispetto da sempre. Già salirla per la prima volta d’estate ci costò grandi sforzi: le difficoltà che ci aspettavamo risultarono verissime, mentre fummo affascinati dall’estetica accattivante della via.

Il 26. febbraio traversiamo per la terza volta le piste da sci in direzione della forcella di Pana. Le previsioni del tempo si rivelano troppo ottimistiche, le “Fermede” sono avvolte da un velo di foschia. L’atmosfera è strana e un po’ inquietante. Dopo avremmo scoperto che é uno di quei pochi giorni durante i quali i nostri genitori si preoccupano più del solito, senza sapere perché. L’accesso, di solito facile e sbrigativo, è irriconoscibile. A causa della neve fresca accumulata dal vento proseguiamo solo lentamente e facendo grande fatica. Sprofondiamo fino al petto. Procediamo assicurati per il pericolo di valanghe. Sono già quasi le 11 quando giungiamo all’attacco e ci prepariamo. Ecco di nuovo è Titus a partire e prendere il primo contatto con la roccia fredda. È in grande forma oggi, sale il primo tiro di VII+, sicuramente sottovalutato, con grande sicurezza ed estetica. Seguiamo una fessura strapiombante, suddivisa in tre eccellenti tiri che ci portano sulla sommità di un pilastrino. Sopra di noi si estende una placca strapiombante e compatta, caratterizzata da roccia magnifica. Ci concediamo una pausa un po’ più lunga, durante la quale ci odiamo un ottimo caffè d’orzo con miele. Secondo Titus questo brodo dovrebbe aiutare a tenerci caldi, infatti ci sentiamo in forma e motivati. Il tiro chiave è protetto assai bene, però ha i singoli passaggi durissimi. Non è mai stato percorso in libera, cerco di memorizzare tutto per un prossimo tentativo, magari d'estate però. Titus raggiunge la mia posizione e vuole subito buttarsi sull'ultima lunghezza, ma rimane sorpreso dalla marea di neve che non era possibile notare dalla nostra sosta. Dopo molto tempo di prove persistenti mi trasferisce il tiro. Raggiungo il punto di ritorno di Titus e riconosco subito che sarà solamente possibile procedere con tanta pazienza e tempo. Tutte le prese sono ricoperte di neve e i fiocchi di neve fresca si appoggiano delicatamente sulla parete. Movimenti particolarmente difficili mi permettono di salire alcuni metri, poi batto un chiodo a lama dalla posizione d’arrampicata. Percorro ancora alcuni metri, poi non sembra esserci più alcun avanzamento. La piccola ruvidità della roccia sulla quale appoggio il mio peso è coperta di neve e diventa sempre più scivolosa. Con le mani mi aggrappo a degli appigli bagnati. Ad un certo punto perdo il controllo e cado alcuni metri sbattendo la gamba e rimanendo attaccato al chiodo che ho appena infilato. È ora di cambiare la strategia: bisogna salire utilizzando ogni mezzo, per una volta metto da parte l’etica. Nonostante utilizzi piccozza, staffa e un altro chiodo si tratta di uno dei tiri più complessi e difficili che abbia mai salito. Mi servono oltre 2 ore, Titus nel frattempo si gela parecchio ed è spesso nei miei pensieri. Quando arriva in sosta anche lui riscaldiamo i suoi piedi. Imbrunisce. Un bellissimo silenzio ci abbraccia, mancano solo 15 metri alla cima. Dopo un po' anche i piedi di Titus sono di nuovo caldi. Salgo un bel diedro in modo prudente e alla luce della lampadina frontale. Una cornice di neve mi blocca l’uscita. Accuratamente scavo un passaggio che mi permette di raggiungere la sommità. Il mio grido di gioia si perde nell’oscurità, non mi aspetto una risposta. Segue Titus, sorrido vendendolo spuntare dalla cornice di neve. Quest’ultima via ci ha messo alla prova duramente. Godiamo bellissimi attimi, tutti gli sforzi si dissolvono e le esperienze vissute durante la trilogia si addensano in una grande gioia.

Dopo, Markus ci sorprende con una buonissima cena. I pensieri non corrono più verso la prossima via, ma si concentrano sul vissuto. Con nessun altro progetto ci siamo identificati in questo modo. Tutte le chiacchierate che abbiamo fatto su ogni aspetto che ci sembrava importante, la gioia dell'attesa e quella di esserci riusciti ci rimarranno impresse nella mente altrettanto bene come le lunghe attese alle soste, col freddo che ci accompagnava.

Franz Runggaldier, VIII, 200m
Rudi Runggaldier, 6 A2, 220m
L Cator,  VIII + A1, 180m




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