La Traversata invernale dell'Islanda in solitaria. Di Giorgio Sedda

Il racconto di Giorgio Sedda, originario di Assolo in Sardegna, che all’inizio anno ha attraversato in solitaria l’Islanda. 600 chilometri con sci e pulka, da solo nell’ambito della sua spedizione Art's solo Expédition.
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La Traversata invernale dell'Islanda in solitaria di Giorgio Sedda: 600 chilometri in solitaria con sci e pulka,
Giorgio Sedda

Mi chiamo Giorgio Sedda, ho 45 anni, sono di origine sarda, cresciuto ad Assolo, un piccolo paese nel cuore dell'isola. Ho conseguito una formazione artistica e per motivi professionali ho vissuto in diversi Paesi d'Europa. Da cinque anni mi trovo in Francia, nel dipartimento di Hautes-Alpes, dove, con sede presso la Fortezza di Mont-Dauphin, lavoro e sviluppo un progetto artistico dal nome "Un monde de couleurs", attraverso la Société Coopérative Odcvl.

Prima di entrare nel merito dell'avventura che sto per raccontare, vi do qualche informazione sul mio progetto artistico, perché proprio ad esso questa impresa è connessa. Il mio lavoro è costituito da quattro elementi: Viaggiare, partecipare, creare e poi raccontare l'esperienza vissuta in chiave artistica presso gallerie. L'obiettivo principale è quello di sensibilizzare ed educare il pubblico, dai bambini agli adulti, verso una maggiore attenzione al patrimonio ambientale e verso un'apertura alle altre culture.

Reduce da una ricca esperienza in Africa, quest'anno, nonostante i numerosi disagi dovuti alla pandemia, ho deciso di partire per la volta dell'Islanda per provare a vivere una lunga avventura solitaria in pieno Inverno. Così dopo un'accurata preparazione fisica nelle Alpi, a base di arrampicata, scialpinismo e fat bike, il 1 gennaio 2021 parto da Parigi con un volo diretto per Reykjavik.

Il mio equipaggio è composto principalmente da sci e pelli, da una slitta per il trasporto del materiale, da tenda e sacco a pelo per le lunghe notti e tanta, tanta motivazione per vivere un'esperienza into the wild, nel freddo di un paese artico. Il programma, dopo un cocktail di procedure covid, prevede una lunga traversata diagonale che dalla capitale mi porta all'estremo nord-est, dove a soli tre chilometri, sul mar di Groenlandia scorre il circolo polare artico.

Sulla carta dell'Islanda, come è noto, non sono riportate normalmente temperatura molto estreme, nonostante le latitudini dove essa poggia. Tuttavia le caratteristiche della sue zona interne prive di vita, costituite da montagne, altopiani é ghiacciai perenni, sono dominate costantemente da fortissime raffiche di vento che aumentano notevolmente la percezione del freddo e conferiscono all'isola le caratteristiche di una terra ostile di primo ordine.

Il 9 gennaio lascio il mio alloggio nella capitale e comincio una traversata in totale autonomia. Il debutto per la mia mia slitta avviene con due ruote posteriori, facilmente applicabili, per i tratti privi di neve, dove su di esse grava un peso totale di circa 60 kg.

Il mio obbiettivo quotidiano, meteo permettendo, é quello di smontare la tenda all'alba, percorrere almeno 15 chilometri, raccogliere una buona dose di materiale fotografico, completo di "sensazioni", ed installare un nuovo campo base per la notte. Tutto questo in sole cinque ore di luce che questa terra concede d'inverno.

Lo ammetto, i primi giorni sono duri ma altri ben più difficili seguono nel corso di cinquanta giorni di attività estrema sulle gambe. Doversi abituare alle regole di un sole che quando appare non riscalda e che non si solleva mai dall'orizzonte è scoraggiante. Ciò che mi permette di superare la prima fase è la freschezza fisica e mentale, ma soprattutto la curiosità di scoprire i contorni di un paesaggio che in fondo sognavo.

Man mano che mi addentro nella parte centrale e disabitata - un vero e proprio deserto privo di riferimenti - il vento dal polo nord e il freddo si intensificano. Durante il giorno percepisco temperature che vanno oltre i -30°, mentre la sera, la realtà all'interno della tenda non è migliore di -15°, con punte registrate di -18°. Tutto ovviamente si ghiaccia, dal cibo alle salviette che divengono inutilizzabili. Il sacco a pelo é una lastra di ghiaccio che riesco ad ammorbidire internamente solo con il calore del corpo.

Cosi con un meteo che non molla la presa, dopo circa 15 giorni arrivano i primi segnali allarmanti che tuttavia non mi fanno perdere la testa. Un principio di congelamento alle dita di mani e piedi, tosse e gonfiori vari alle articolazioni, mi portano subito a reagire muscolarmente, migliorando le abitudini durante il giorno - come ad esempio non togliere mai i guanti neanche per fare o disfare i nodi - e prendermi maggiormente cura del corpo nei momenti in cui è possibile.

Trovo subito un nuovo equilibrio fatto di reazioni decise ai problemi diversi che ogni giorno si presentano, non lasciandomi minimamente abbattere dalla solitudine della sera e dal frastuono del vento che mette a dura prova le cuciture della tenda.

Assieme alle splendidi immagini che riesco ad immortalare con fotocamera e mente, fatte di profondità di campo e spazi incontaminati, quindi di luci filtrate da nuvole e tormente, scopro di possedere una resistenza di acciaio e uno spirito di adattamento che allarga l'orizzonte dei miei limiti.

Di ciò ne ho ulteriore prova durante il momento più difficile in assoluto, quando cioè un lungo canyon fatto di valanghe e detriti a strapiombo sul torrente mi sottopone ad una lotta estenuante di diversi giorni e dal quale solo l'esperienza acquisita con la pratica dell'alpinismo mi ha permesso di uscire.

Superati i trecento chilometri della zona centrale fatta di deserto totale, man mano ritrovo segni di civiltà e zone dove posso rifornirmi di scorte alimentari e gas, quindi concedermi qualche pausa e scambiare due parole con i locals che naturalmente mi osservano incuriositi.

Il 25 febbraio raggiungo il faro sull'estremità dell'ultimo fiordo, "Hraunhafnartangi", ossia il mio obiettivo finale posto tredici chilometri oltre il villaggio costiero di Raufarhofn. Da li a poco la sua comunità accogliente mi conferisce una piccola brochure pieghevole attestante il raggiungimento del punto più estremo d'Islanda in pieno inverno, quindi, per me, il Circolo polare artico e la realizzazione di un sogno.

Pian piano, recuperando le energie spese, prendo coscienza di ciò che ho realizzato e penso che se nel frattempo non mi fossi amato abbastanza non sarei mai riuscito nell’impresa... di trentadue bivacchi diversi per cinquanta giorni di attività estrema. Sono per me cinquanta giorni di pura vita, quelli ritrovati dopo averli persi da neonato in una culla d'ospedale.

Art's solo Expédition, "Face au Froid"
di Giorgio Sedda

Link: www.facebook.com/giorgio.sedda.3




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