Tentar non nuoce in Marmolada di Rolando Larcher, Tiziano Buccella e Geremia Vergoni
Dopo aver concluso la via Scacciadiavoli pensavo di aver terminato le mie esperienze in apertura sulla Marmolada: su questa splendida montagna ho investito tante energie ed entusiasmo vivendo avventura, gratificazioni, gioia, amicizia.
Lassù i progetti ripagano, ma costano impegno, costanza, fatica: carburante che nel mio serbatoio è quasi in riserva… Però il carburante per una tranquilla gita al Rifugio Falier c’era: occasione per salutare i gestori Dante e Franca Del Bon e far conoscere a mia figlia Anna la magia della Valle Ombretta. Una magia questa volta amplificata dal fatto di arrivare comodamente in e-bike, cosa forse poco onorevole per un alpinista, ma che ha fatto riconsiderare i miei proponimenti e tornare a galla vecchi progetti…
Così pochi giorni dopo la gita ero già in ricognizione sulla cengia dei Camosci: la base del Piz Serauta, il lato più orientale della Marmolada. Sfogliando la guida e guardando delle foto avevo immaginato 3 ipotesi, ma una volta sotto ne rimase una sola.
La parete del Piz Serauta è famosa per le sue vie storiche, alcune di Armando Aste, e per l’originalità geologica delle nere vene di melafiro. Due strette intrusioni vulcaniche verticali, che percorrono parallele tutti i 600 metri della parete, spesso confuse per due profondi camini.
Tra le due vene uno stretto corridoio obbligato di roccia compatta, con a metà un grosso strapiombo giallo, un’incognita che rendeva molto incerto il risultato. Ma dopo tante aperture, sono proprio le cose scontate che evito: lasciano troppo spazio alla routine, smorzano l’entusiasmo e amplificano la fatica. Pertanto largo spazio al sogno, alla scoperta, per vedere fin dove si sarebbe arrivati in arrampicata libera.
Per il progetto coinvolsi un compagno esperto e super motivato, l’amico Tiziano Buccella e in due intense giornate di agosto aprimmo i primi 4 tiri. La roccia risultava interessante, laboriosa da decifrare e lentamente ci avvicinammo allo strapiombo. A settembre la terza uscita, questa volta con il collaudato Geremia Vergoni (co-apritore di Scacciadiavoli), che dava il cambio a Tiziano già rientrato in Svezia. Riuscimmo ad aprire altre tre impegnative lunghezze, raggiungendo l’inizio dei gialli, preludio dei prossimi problemi… Lasciammo tutto il materiale, nella speranza di ritornare a breve, ma la neve concluse la stagione. Per riprendere dovemmo aspettare il luglio successivo e le rinnovate ferie di Tiziano, consapevoli che questa uscita sarebbe stata decisiva per il futuro del progetto.
Dopo un’impegnativa lunga jumarata, partii deciso per aprire l’ottavo tiro. Con difficoltà non eccessive e roccia mediocre, feci sosta alla base di un liscio muro strapiombante che terminava sotto il grande strapiombo. Ora toccava a Tiziano proseguire, ma fin da subito la roccia si rivelava molto avara e fragile. Per consuetudine speravamo che qualche buco ci avrebbe aiutato nella progressione, ma i pochi trovati erano ciechi. Dopo due ore di faticosi tentativi e pochi, difficili metri percorsi, diedi il cambio a Tiziano. Riuscii ad avanzare ancora qualche metro verso sinistra, sfruttando rare prese friabili, per arenarmi infine nel nulla. Purtroppo eravamo arrivati al capolinea, avevamo raggiunto il nostro “IMPOSSIBILE”.
A questo punto l’unica cosa da fare era arrendersi alle difficoltà, rinunciare alla progressione in artificiale e scendere. Un boccone amaro da digerire, ma alleviato dalla consapevolezza di rispettare coerentemente i nostri principi etici. Mestamente iniziammo a scendere a doppie, caricati all’inverosimile di materiale. L’attrezzatura depositata alla base era talmente voluminosa e pesante che fu necessario abbandonarne una parte per un successivo recupero.
Per il resto dell’estate la delusione mi fece dimenticare del materiale; solo a settembre, di malavoglia, decisi di ritornare. Vista la scarpinata necessaria, pensai che forse sarebbe valsa la pena di provare a liberare questi 8 tiri, sebbene portassero nel nulla. Così, senza troppo entusiasmo, mi avviai assieme ad Herman Zanetti per questa giornata, che di certo aveva solo la fatica. Invece, grazie alla consueta allegria contagiosa di Herman e ad un splendido sole settembrino, iniziai a salire senza pensieri, solo per il gusto di scalare. Mi ricordavo delle lunghezze impegnative e di fatto le ritrovai, ma lo stato di grazia me le fece superare tutte al primo colpo, finché nel tardo pomeriggio raggiungemmo l’ultima sosta senza mai volare.
A questo punto capii che questo tracciato, nonostante fosse solo un tentativo era divertente e possedeva tutte le qualità estetiche da meritare un nome. Inoltre rappresentava assieme a Coitus Interruptus (1994), la coerenza ai valori etici dell’Alpinismo-Sportivo, con l’implicita tutela dell’impossibile per le future generazioni. Tentar non nuoce il suo nome, logica conseguenza degli eventi.
Per l’amicizia ringrazio: Tiziano, Geremia ed Herman e la gentile Anna di Malga Ombretta.
Per il supporto: Petzl – Montura – La Sportiva – Totem Cam
Di Rolando Larcher
Accesso:
Da Malga Ciapela per strada e poi sentiero si raggiunge Malga Ombretta 1 h. Da qui lo si abbandona a dx per risalire verticalmente sopra la malga, prima il prato e poi il bosco. Dopo gli ultimi alberi, dove iniziano i ghiaioni, attraversare il solco del torrente a dx e salire obliquando sempre verso dx puntando un grande camino-colatoio alla base del risalto roccioso alla cui sommità c’è la Cengia dei Camosci. Qui si trova sempre acqua per le borracce. Dalla base seguire a dx la traccia dei camosci, che aggira per ripidi prati il risalto fino a sormontarlo ed infine obliquando a sx raggiungere la grande cengia, oltrepassare a sx il camino-colatoio e nel mezzo alle due colate nere di melafiro l’attacco. 1.30 h da Malga Ombretta, 2.30 h in totale.