Summer Caramberos, nuova via in Val Divedro (Ossola)
In questo mese di Giugno, Giovanni Pagnoncelli, Tommaso Lamantia, Francesco Vaudo e Marco Tamborino hanno aperto Summer Caramberos (305m, 6b+, TD) a destra della parete della cascata Caramberos (Val Divedro, Gondo-Ossola, Italia). Il report e lo stile di apretura presentati da Giovanni Pagnoncelli.
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Il tracciato di Summer Caramberos (Gondo-Ossola)
archivio G. Pagnoncelli
Il secondo progetto della primavera - estate è andato a segno. E’ mancato il terzo per un soffio a causa del compagno giusto al momento sbagliato ma poco male. Abbiamo dirottato sulla roccia, meno difficile da corteggiare di una parete di misto. Basta che sia asciutta e lei è sempre disponibile a farsi visitare (:-) ). Il risultato è una via alpinistica di oltre trecento metri che segue le linee naturali su una parete poco distante dalla famosa Sentinella di Gondo. Se serve a stimolare la curiosità e la frequentazione la chiamerò via trad, alpinistica mi suona un po' fuori moda. Il mio intento era disegnare una via logica ed estetica limitando al minimo l’uso di spit e chiodi in loco e le difficoltà tecniche, quasi sempre elevate su queste pareti.
Non poteva andare meglio. Quinto, sesto, settimo, sesto più, tutta omogenea nelle difficoltà, mai estrema ma nemmeno mai banale. E soprattutto da non sottovalutare. Quattro chiodi e nove spit di protezione lasciati su dieci lunghezze quattro dei quali giocati su una placca che non ci accettava altro che fori. Significa che la via è quasi interamente da proteggere. Per quanto riguarda le soste sono stati usati ottimi alberi dove possibile, soste miste chiodo o friend con spit, o anche soli friends in un caso. In ogni caso tutte super sicure come anche le calate, cinque, veloci, tutte, a parte la prima su albero con doppio cordone (da sostituire tra un paio d’anni) su doppio fix inox da 10 mm.
L’approccio? Otto minuti con passo stanco alla base di una bella cascata ideale da godere dopo l’ultima doppia in discesa quando il sole ti consuma l’acqua nel corpo. What else? Lo spirito! Non riesco a riprendere la forma quest’anno dopo tanti giorni di sci ma l’entusiasmo è più forte delle mie braccia e mi ha spinto a confrontarmi nel modo più onesto con questa parete addocchiata da tempo semplicemente stando seduto dall’auto. Partenza il primo giorno con tanti friends, stoppers e chiodi; pulizia e sistemazione della prima parte il secondo giorno con il trapano; timido tentativo il terzo giorno provando la placca senza trapano sperando che Dio ci aprisse qualche fessura da chiodo (era sabato e Dio non lavorava) con preparazione per l’attacco finale il quarto giorno motivati e convinti, grazie anche alla presenza di Francesco Vaudo, grande alpinista dell’epoca del nuovo mattino ossolano che si è reingaggiato dopo qualche anno di ruggine.
Arrampicare (chiaramente) a vista in apertura significa studiare la linea da sotto prima e poi da vicino, avere 10 chili di ferro alla cinta, raccogliere il coraggio per partire dalla sosta, tastare ogni singola presa ed appoggio evitando quelli sospetti e facendola spesso più dura di quello che sarà per i ripetitori successivi proprio per evitare prese sospette che potrebbero causare un volo o, peggio ancora tranciare le corde. E così ad ogni movimento fino ad un punto di sosta logico e comodo. Poi si torna, si attrezzano meglio i tiri, si pulisce da erba e rocce instabili, si raddrizzano i tiri rendendoli più estetici pensando proprio a chi verrà dietro. Trovare la tacca al momento giusto è stata la cosa più emozionante provata in apertura. Quattro centimetri quadrati di uno stupido appoggio orizzontale possono trasformare un passo apparentemente estremo in un 6a, la difficoltà definita da tanti il grado più bello del mondo. E spesso, questo miracolo, è accaduto.
Questa via è paragonabile come stile e come ingaggio a quelle della Valle dell’Orco, segue la logica alla ricerca del facile nel difficile esattamente come si faceva una volta. A differenza di una volta però quando si disegnavano vie per le quali minore era la successiva frequentazione (più alto era l’ingaggio) tanto maggiore era il valore ed il vanto per gli alpinisti che l’avevano aperta, questa conserva lo stesso spirito puro in termini di lealtà nell’apertura dal basso ma con un livello di esteticità maggiore.
Il primo apriva senza trapano ed attrezzava la via e le soste in qualche modo, poi si tornava con il trapano forando il minimo indispensabile, il secondo disgaggiava le rocce instabili e dall’erba smantellando le vecchie soste e i chiodi inutili o malsicuri; questo è stato il metodo utilizzato aggiungendo in discesa qualche (tre) spit per rendere più sicuri alcuni passaggi per il bene di coloro che seguiranno e che non dovranno più provare la stessa adrenalina di chi ha aperto. Strizzando quindi l’occhio ad un’ottica moderna in cui è bello provare il passo in libera con relativa sicurezza. Per questo motivo i tiri sono spesso corti proprio perché vanno ad occupare terrazze di sosta comode spezzando i tiri che si orientano a destra e sinistra alla ricerca della fessura per proteggersi.
Sarebbe stato più corretto fornire gradi alpinistici e non appartenenti alla scala francese ma è stata fatta questa scelta per semplicità di lettura. Si consiglia di rispettare la sequenza delle soste per evitare di terminare il materiale e provocare attriti di corde. Si consiglia anche vivamente di affrontare la via senza essere condizionati dai gradi apparentemente abbordabili ma di scalare con la testa da alpinisti e le dita da climbers.
Sono certo che i puri climbers sportivi non si divertiranno perché questa via racchiude tutti gli stili ed i terreni che si possono trovare su un terreno di alta montagna. Diciamo che se un climber ha come obiettivo il calcare super sportivo e spittato del Sanetsch o di Arco è meglio che lasci perdere, se invece ha come obiettivo i grandi viaggi di sesto e settimo grado sulle Alpi dove bisogna tirar fuori il senso dell’andare in montagna, esperienza nel proteggersi e costruire una sosta, nell’alternare le corde nelle protezioni, nel provare la presa su cui trazionarsi, nel gestire l’ambiente e le situazioni, questa via rappresenta un’ottima palestra. Con l’unica differenza che ci si trova ad otto minuti dal ristorante e che ci si può calare da qualunque sosta da spit inox da 10 mm.
Giovanni Pagnoncelli
SCHEDA: Summer Caramberos
Non poteva andare meglio. Quinto, sesto, settimo, sesto più, tutta omogenea nelle difficoltà, mai estrema ma nemmeno mai banale. E soprattutto da non sottovalutare. Quattro chiodi e nove spit di protezione lasciati su dieci lunghezze quattro dei quali giocati su una placca che non ci accettava altro che fori. Significa che la via è quasi interamente da proteggere. Per quanto riguarda le soste sono stati usati ottimi alberi dove possibile, soste miste chiodo o friend con spit, o anche soli friends in un caso. In ogni caso tutte super sicure come anche le calate, cinque, veloci, tutte, a parte la prima su albero con doppio cordone (da sostituire tra un paio d’anni) su doppio fix inox da 10 mm.
L’approccio? Otto minuti con passo stanco alla base di una bella cascata ideale da godere dopo l’ultima doppia in discesa quando il sole ti consuma l’acqua nel corpo. What else? Lo spirito! Non riesco a riprendere la forma quest’anno dopo tanti giorni di sci ma l’entusiasmo è più forte delle mie braccia e mi ha spinto a confrontarmi nel modo più onesto con questa parete addocchiata da tempo semplicemente stando seduto dall’auto. Partenza il primo giorno con tanti friends, stoppers e chiodi; pulizia e sistemazione della prima parte il secondo giorno con il trapano; timido tentativo il terzo giorno provando la placca senza trapano sperando che Dio ci aprisse qualche fessura da chiodo (era sabato e Dio non lavorava) con preparazione per l’attacco finale il quarto giorno motivati e convinti, grazie anche alla presenza di Francesco Vaudo, grande alpinista dell’epoca del nuovo mattino ossolano che si è reingaggiato dopo qualche anno di ruggine.
Arrampicare (chiaramente) a vista in apertura significa studiare la linea da sotto prima e poi da vicino, avere 10 chili di ferro alla cinta, raccogliere il coraggio per partire dalla sosta, tastare ogni singola presa ed appoggio evitando quelli sospetti e facendola spesso più dura di quello che sarà per i ripetitori successivi proprio per evitare prese sospette che potrebbero causare un volo o, peggio ancora tranciare le corde. E così ad ogni movimento fino ad un punto di sosta logico e comodo. Poi si torna, si attrezzano meglio i tiri, si pulisce da erba e rocce instabili, si raddrizzano i tiri rendendoli più estetici pensando proprio a chi verrà dietro. Trovare la tacca al momento giusto è stata la cosa più emozionante provata in apertura. Quattro centimetri quadrati di uno stupido appoggio orizzontale possono trasformare un passo apparentemente estremo in un 6a, la difficoltà definita da tanti il grado più bello del mondo. E spesso, questo miracolo, è accaduto.
Questa via è paragonabile come stile e come ingaggio a quelle della Valle dell’Orco, segue la logica alla ricerca del facile nel difficile esattamente come si faceva una volta. A differenza di una volta però quando si disegnavano vie per le quali minore era la successiva frequentazione (più alto era l’ingaggio) tanto maggiore era il valore ed il vanto per gli alpinisti che l’avevano aperta, questa conserva lo stesso spirito puro in termini di lealtà nell’apertura dal basso ma con un livello di esteticità maggiore.
Il primo apriva senza trapano ed attrezzava la via e le soste in qualche modo, poi si tornava con il trapano forando il minimo indispensabile, il secondo disgaggiava le rocce instabili e dall’erba smantellando le vecchie soste e i chiodi inutili o malsicuri; questo è stato il metodo utilizzato aggiungendo in discesa qualche (tre) spit per rendere più sicuri alcuni passaggi per il bene di coloro che seguiranno e che non dovranno più provare la stessa adrenalina di chi ha aperto. Strizzando quindi l’occhio ad un’ottica moderna in cui è bello provare il passo in libera con relativa sicurezza. Per questo motivo i tiri sono spesso corti proprio perché vanno ad occupare terrazze di sosta comode spezzando i tiri che si orientano a destra e sinistra alla ricerca della fessura per proteggersi.
Sarebbe stato più corretto fornire gradi alpinistici e non appartenenti alla scala francese ma è stata fatta questa scelta per semplicità di lettura. Si consiglia di rispettare la sequenza delle soste per evitare di terminare il materiale e provocare attriti di corde. Si consiglia anche vivamente di affrontare la via senza essere condizionati dai gradi apparentemente abbordabili ma di scalare con la testa da alpinisti e le dita da climbers.
Sono certo che i puri climbers sportivi non si divertiranno perché questa via racchiude tutti gli stili ed i terreni che si possono trovare su un terreno di alta montagna. Diciamo che se un climber ha come obiettivo il calcare super sportivo e spittato del Sanetsch o di Arco è meglio che lasci perdere, se invece ha come obiettivo i grandi viaggi di sesto e settimo grado sulle Alpi dove bisogna tirar fuori il senso dell’andare in montagna, esperienza nel proteggersi e costruire una sosta, nell’alternare le corde nelle protezioni, nel provare la presa su cui trazionarsi, nel gestire l’ambiente e le situazioni, questa via rappresenta un’ottima palestra. Con l’unica differenza che ci si trova ad otto minuti dal ristorante e che ci si può calare da qualunque sosta da spit inox da 10 mm.
Giovanni Pagnoncelli
SCHEDA: Summer Caramberos
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