Stéphane Benoist: la parete sud dell'Annapurna e l'importanza della cordata
E' doveroso ricordare che all'inizio di ottobre Ueli Steck aveva percorso la stessa parete e la stessa via in 28 ore di scalata, comprensive anche della discesa, e che Steck stesso ci aveva raccontato che in quel momento la parete si trovava in condizioni del tutto eccezionali. Detto questo, è altrettanto importante ricordare e sottolineare che l'alpinismo si basa su fatti unici; ogni salita è unica, ogni salita ha una propria storia ed è per questo che ogni azione ed ogni scelta in alpinismo diventano un atto irripetibile ed insieme affascinate.
Quello che emerge dall'intervista con Stéphane Benoist è una grande ed epica storia di alpinismo in cui, per resistere e sopravvivere per 10 giorni in quella difficile, straordinaria ed impressionante parete che è la sud dell'Annapurna, sono prevalse la competenza alpinistica e, soprattutto, l'amicizia e la forza di una grande cordata.
INTERVISTA A STEPHANE BENOIST DOPO LA SUD DELL'ANNAPURNA
Stéphane, prima di tutto, come stai?
Io sto bene, ho il morale alto. Il tempo passa lentamente, per via del congelamento, siamo in attesa di vedere come la necrosi si evolve per lasciare che le parti vive si possano rigenerare al meglio prima dell'operazione. Sono un po' stanco di avere tutte queste brutte zone nere sulle punte delle dita. Devo aspettare almeno altri 15 giorni. D'altra parte sono così contento per quello che abbiamo fatto! E' un prezzo alto da pagare. Fa parte del gioco.
Ci puoi parlare della vostra grande avventura sulla parete sud dell'Annapurna?
Personalmente preferivo lo sperone giapponese. Si tratta di una bella linea che porta direttamente alla vetta centrale, un po' più bassa di quella principale. Yannick invece voleva provare la via Beghin - Lafaille. Anche questa è una bellissima linea ed in un certo senso è più "himalayana" visto che porta al punto più alto della montagna. Nella parte alta dello sperone giapponese una fascia nera di scisto era molto secca, c'era poco ghiaccio, mentre la via Beghin - Lafaille sembrava più fattibile.
Abbiamo iniziato salendo per lo sperone giapponese perché sapevamo, grazie al nostro tentativo del 2010, che avremmo trovato un bivacco sicuro, al riparo dalle valanghe e dalla caduta massi. Siamo partiti in ritardo, faceva caldo. Ci sono state delle scariche ma ci siamo comunque riusciti. Sapevamo che avremmo trovato il bivacco e che ci sarebbe stata neve sufficiente per scavare una terrazza. Poi però abbiamo continuato per la Beghin – Lafaille.
Ci racconti allora i dettagli della salita?
Giorno 1, 17 ottobre - Partenza dal campo base avanzato (5000m), superamento della terminale (5750m), bivacco molto buono e al riparo a 6050m.
Giorno 2 – Siamo saliti fino a 6700m; bivacco nel ghiaccio, lo stesso del 2010. E' arrivato il maltempo, siamo rimasti bloccati qui per il 3° e 4° giorno, quindi tre notti in totale. Avremmo voluto riposare un solo giorno, questo stop è stato davvero faticoso. Eppure ci sentivamo meglio rispetto al 2010. Quando la tempesta è terminata abbiamo avuto un'eccezionale finestra di bel tempo. Abbiamo visto alcuni tramonti stupendi. Nel 2010 ne abbiamo visti solo due...
Giorno 5 – Siamo partiti durante la notte, molto presto. Ho indossato tutti i miei vestiti, faceva veramente freddo. All'interno della tenda, dentro ai sacchi a pelo, non si stava male, ma fuori il freddo cominciava a mordere. Abbiamo effettuato una grande traversata in diagonale per raggiungere la base della headwall. Il tutto ci è sembrato più veloce del previsto e siamo arrivati alla base a circa metà giornata. Siamo saliti legati, salendo un tiro dopo l'altro, guadagnando circa 70 metri all'ora. Non abbiamo lo stesso livello di Ueli, bisogna dirlo... Il ghiaccio era buono, anche oltre i 7000m. Non avevo mai visto queste condizioni così in alto. Abbiamo salito 4 tiri difficili, il più difficile è stato il terzo dove ho dovuto tirare su il mio zaino; per questo tiro mi ci sono volute quasi due ore. Yannick, con il suo zaino in spalla, da secondo, ha faticato su questo tiro. Sarà M6. M5+ a Chamonix, ma lassù... (ride). Abbiamo raggiunto una piccola lastra di ghiaccio. Circa 30 metri più in basso ce n'era un'altra, più spessa, quindi ci siamo calati ed in quel punto siamo riusciti a creare una piccola cengia per le nostre chiappe. Un bivacco alpino... abbiamo usato la tenda come coperta. Eravamo a circa 7200, 7250 metri. Non avevamo freddo. Quando ero a riposo il mio corpo rispondeva bene alla quota e sono riuscito a dormire bene. Yannick forse era un po' più a disagio di me.
Giorno 6 - Abbiamo iniziato a salire lungo la corda fissa. Che noia. Le previsioni del tempo erano eccellenti. Ogni volta che le previsioni sbagliavano, diventava ancora più bello del previsto! Abbiamo avuto tre giorni di tempo “ideale per la vetta". Quel giorno abbiamo salito circa 150m di ghiaccio verticale ma discontinuo. Yannick ha salito un tiro di ghiaccio WI5. A circa 7300m abbiamo trovato un vecchio Friend, quelli rigidi ancora. Almeno fino a qui gli altri due erano saliti... Quel giorno non eravamo partiti presto perché volevamo aspettare il sole. Durante la giornata siamo saliti senza maniche. Siamo riusciti perfino a salire senza guanti. Abbiamo trovato un piccolo nevaio per piantare la tenda. Ed è lì, senza ombra di dubbio, che Yannick ha perso la lampada frontale, al bivacco.
Giorno 7 - Ho iniziato sbagliando la via e questo mi è costato un sacco di energia e di tempo: un'ora, un'ora e mezza invece di 10 minuti... 4 o 5 tiri ci separavano dalla fine della headwall, la parete diventava meno ripida, assomigliava ad una classica parete nord, come le nostre di casa, con una sezione di M4+/M5 alla fine, a circa 7500m. Abbiamo salito altri due tiri e poi abbiamo trovato un buon bivacco.
Giorno 8 - Partenza presto. Eravamo "storditi" dalla quota e dal freddo, per tutta la notte abbiamo continuato a girarci in tenda. Di solito Yannick è il più veloce, ma quella mattina ero pronto prima io. Abbiamo preso soltanto uno zaino per noi due ed una corda. Yannick, che comunque stava un po' meglio di me, mi ha raggiunto. Poi però doveva scendere alla tenda per prendere i guanti. L'ho aspettato, eravamo forse 150 metri sotto la cima. Il terreno era approssimativamente PD/AD, ideale quindi per fare un passo falso e cadere.
Siamo stati molto attenti, Yannick voleva che ci legassimo. Forse sentiva la fatica dopo esser sceso a prendere i guanti. Il nostro ritmo è diventato irregolare. Sono metodico in quota: ho letto i libri di Messner e salgo proprio come lui: conto i miei passi, ritrovo il mio respiro, e riparto. Come un bulldozer. Ho battuto la traccia fino a circa 50 o 70 metri sotto la vetta, e poi sono esploso: K.O. Yannick mi ha superato, non sono riuscito a seguirlo. In cima un piccolo dosso di 60° è dotato di corde fisse. C'erano due generazioni di corde: era la fine della via Bonington. Alle 11:00 abbiamo raggiunto la vetta. E' una vetta bizzarra, una cresta di neve orizzontale con tre dossi, non sapevamo quindi quale era la più alta. Abbiamo salito i primi due e abbiamo trascorso 20 minuti lassù. Era il compleanno di Yannick, il suo 40esimo. Yannick mi ha legato per iniziare la discesa, quando è diventato più facile ci siamo slegati. Tutti e due abbiamo avuto la sensazione come se ci fosse stato qualcosa lì con noi. Yannick ha anche parlato con qualcuno.
E' sceso prima di me. Abbiamo raggiunto il nostro bivacco all'imbrunire. Quella notte è stata un inferno. Eravamo a 7550, 7650m, più alti di quello che pensavamo. Avevo bisogno di riposare. Yannick invece voleva che scendessimo, già quella notte, ma la lampada frontale non funzionava più.
Giorno 9 - Il sole ci ha raggiunto subito. Siamo partiti; per niente riposati. Yannick ha preparato le calate. Abbiamo cercato del ghiaccio per gli Abalakov. Ci siamo fermati alla fine della giornata, un po' sotto la fascia rocciosa, a circa 6700m. Abbiamo sciolto la neve e ci siamo riposati per un'ora. E' arrivata la notte, non avevamo la lampada frontale... Era bellissimo, è venuta fuori la luna, potevamo provare a scendere. Ero esausto. Avevo un'infezione polmonare, ma non lo sapevo. Non riuscivo a capire cosa mi stava succedendo. Ero abbastanza lucido. Ma non avevo i sintomi di un edema. Abbiamo utilizzato il fornello per illuminare la soste che Yannick aveva preparato. Siamo scesi a 6050m alle 03:00.
Giorno 10 – Siamo ripartiti quando ci ha raggiunto il sole. Yannick ha fatto tutto, ero completamente spento, ha persino preso parte del mio materiale. Il terreno era circa AD, ci siamo calati. Avevo bisogno di concentrarmi per non perdere l'equilibrio e cadere. Yannick è riuscito a chiamare un elicottero di soccorso. Abbiamo attraversato il crepaccio terminale scivolando sui nostri fondi schiena. Una seconda terminale era molto alta, circa 3 o 4 metri. A Yannick facevano male le costole, ho cercato di trovare un punto più basso, ma il ghiaccio era duro ovunque. Abbiamo utilizzato lo spezzone di corda più lungo che avevamo, ci siamo legati con tutto ciò che restava delle nostre fettucce per attraversare il ghiacciaio. Poi ho detto a Yannick di andare avanti al campo base avanzato. L'ha trovato prima di sera ed io ho seguito le sue orme. Nel frattempo ha preparato bevande calde, ha preso dell'acqua, si è preso cura di ogni cosa.
Si intuisce come le difficoltà fisiche e psicologiche per essere su quella parete da così tanto tempo siano state immense. Cosa vi ha dato la forza per resistere e continuare per tutti quei giorni?
Credo che sia stata la nostra determinazione e la cordata. Con Yannick non abbiamo creato una cordata simile a quella che ho con Patrice Glairon – Rappaz ma ci conosciamo da anni, fin da quando eravamo giovani. Lui è molto diretto, talvolta difficile. Ha un'esperienza incredibile ed anche un grande istinto di sopravvivenza. Ho deciso di lasciare a lui il compito di prendere le decisioni e di questo non mi pento. Ciò non ci impedisce però di condividere e di discutere.
Qual è stata la parte più difficile ? Avete mai pensato che non ci sareste riusciti?
La parte più difficile è stata la discesa. Era un vero test. Ogni corda doppia era un banco di prova. Abbiamo dubitato tutto il tempo. Ci sembrava così incredibile essere su una parete come quella che sapevamo di poter fallire in ogni momento. Al primo problema saremmo stati pronti a scendere in qualsiasi momento, ma ci siamo illusi che tutto stava andando nel verso giusto. Ho dormito bene, mi sono quasi convinto che mi stavo riprendendo ma fino a quando non metti finalmente i piedi sulla cima non ne hai mai la certezza. Durante gli ultimi 200 metri siamo stati letteralmente attratti dalla cima. Questa è una zona di attrazione fatale. Hai arrampicato per otto giorni e non vuoi certamente lasciare la preda.
La vostra sembra una storia d'alpinismo veramente "epica", durante la quale è stata la cordata a riuscire ad affrontare i grandi momenti di difficoltà
Credo sempre di più nella cordata. Una cordata, se funziona bene, non è 1 +1 = 2, equivale invece a 2,5 o 3. Si crea qualcosa di speciale. La nostra cordata ha funzionato alla perfezione, inoltre l'altro fattore di successo dell'impresa è stata la nostra esperienza. Questo è stato il terzo 8000m per Yannick, mentre io nel 2008 ho salito la parete sud del Nuptse insieme a Patrice Glairon - Rappaz. Entrambi abbiamo salito molte vie tecniche tra i 6 e 7000 m. Abbiamo imparato moltissimo,prima di tutto sulla cordata, ed abbiamo anche capito cosa significa vivere il fenomeno di un illusione. Tutto stava andando apparentemente bene, ma eravamo troppo al limite.
Perché c'è voluto così tanto tempo per le prime notizie?
Sapevamo che la discesa avrebbe richiesto molto tempo e non volevamo sprecare le batterie del nostro telefono, che era al caldo sotto i vestiti. Eravamo troppo impegnati per telefonare!
Cosa ne pensi della velocissima salita di Ueli Steck?
E' rivoluzionaria ma me l'aspettavo. Basta guardare la sua carriera nelle Alpi. Quando ci siamo incontrati a Kathmandu ho sentito che era pronto per fare qualcosa di eccezionale. L'avevo anche visto in una conferenza ed ho capito il suo approccio, la maniera strutturata con cui si allena. E la via McIntyre sulle Grandes Jorasses in 2 ore e 21 minuti mi aveva stupito.
Ultima domanda: dopo la parete sud dell'Annapurna, è cambiato qualcosa nel vostro modo di interpretare l'alpinismo e, se sì, cosa? Cosa rappresenta per te l'alpinismo?
Per me questo segna un nuovo capitolo e sarebbe così anche se non avessi il congelamento alle mani. Questo è il mio più grande successo. Per quanto riguarda l'alpinismo in generale, non cambia nulla. Questa via è ciò che ho sempre desiderato fare: salire vie sempre più alte e tecnicamente impegnative. Non sono attratto dalle vie normali. Ci vuole un sacco di tempo per raggiungere la maturità necessaria.
L'alpinismo è un grande parte della mia vita. Sono cresciuto intorno ad esso. Ma non è ancora finita. L'alpinismo mi ha dato moltissimo: riflessione, divertimento, emozioni, sofferenze. Una cordata è importante, io sono diventato quello che sono grazie ai miei compagni di cordata. Amo trascorrere del tempo in montagna, è una rottura completa dalla routine della quotidianità.