Ripetizione della Miotto-Bee al Burel per Ballico e Roverato

Dal 30 al 31/08 Giuseppe Ballico e Alessio Roverato hanno realizzato la probabile prima ripetizione della grande Via del diedro di destra aperta nel 1977 da Miotto e Bee sul Pilastro della parete sud-ovest del Burel (Schiara, Dolomiti).
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Alessio Roverato sul 6° tiro della Miotto-Bee alla sud-ovest del Burel
Beppe Ballico
Chi conosce la Val de Piero e il Burel sa che le Dolomiti (in questo caso quelle Bellunesi dello Schiara) racchiudono ancora un cuore sconosciuto e splendidamente selvaggio. Un cuore duro e puro, lontano da tutto e da tutti, di una montagna che ha resistito a qualsiasi sfruttamento e moda e che svela la sua bellezza solo a chi è disposto a misurarsi con la fatica e il totale isolamento.

Basta lasciare la provinciale per Agordo per accorgersene: già inerpicarsi per la magnifica Val de Piero è un’impresa faticosa e incredibilmente solitaria, se poi ci aggiungete la salita di un’immensa parete come la sud-ovest del Burel e il successivo ritorno alla civiltà avrete compreso come l’avventura “dietro casa” non sia poi una chimera.

E’ proprio quello che hanno sperimentato Giuseppe Ballico e Alessio Roverato che, dal 30 al 31 agosto scorsi, hanno ripetuto la “mitica” via aperta nel 1977 da Franco Miotto e Riccardo Bee sulla sud-ovest del Burel: 1200 metri con difficoltà di VII e A2 che hanno richiesto ai due 40 ore non stop, da quando hanno lasciato l’auto a quando vi hanno fatto ritorno, più un bivacco in parete. Probabilmente questa è la prima ripetizione della via, ma per una volta il dato statistico ci sembra un dettaglio di fronte alla bella avventura “fuori dal mondo” che hanno cercato e vissuto Beppe e Alessio su una delle più grandi pareti delle Dolomiti “nascoste”.


Burel, un mondo perso, lontano da tutti e da tutto di Giuseppe ‘Beppe’ Ballico

Tutti abbiamo sogni nel cassetto, sogni che magari prima o poi riusciamo a realizzare, con sacrifici, determinazione e perché no, anche una piccola dose di fortuna. Il Burel. Ammetto, non ci avevo mai messo piede prima d’ora, vuoi per la mancanza del compagno fidato, vuoi per l’incubo zecche o forse erano solo scuse, resta il fatto che lo guardavo con timore solamente da lontano quando salivo altre cime e dicevo al mio compagno: “Guarda, quello è il Burel”. Certe sere, prima di dormire, leggevo sulla preziosa guida dello Schiara delle sue spaventose vie di 1200 m che superano la vertiginosa parete sud-ovest. L’avvicinamento laborioso e non privo di pericoli, mi incuteva timore e mi attirava allo stesso tempo.

Mi interessava una via in particolare e forse ancora non mi rendevo conto di dove volevo andare…e ogni volta che tornavo dai monti era ormai un classico la sosta al mitico ristorante “La Stanga”. La scusa era per le sue famose polpette, ma poi l’occhio cadeva sempre li, sulle magnifiche foto del gigante “Burel” appese vicino al rilassante focolare. Chissà, dicevo…

Lunedì 25 agosto 2008, sono di ritorno da una via e già il mio pensiero corre al fine settimana; sono a casa di riposo e l’approssimarsi di un’alta pressione mi fa ben sperare. Esattamente non avevo ancora in testa niente o meglio, tante erano le idee, ma la difficoltà, come sempre, era trovare il compagno giusto. Ecco che la telefonata di Alessio Roverato cade a “fagiolo”. Lui non si sbilancia subito con la proposta, anzi, mi chiede solo quando sono libero.

Il giorno dopo ci risentiamo e mi dice una parola, magica…”Burel” e io gli rispondo destra o sinistra? Destra, risponde lui… Un attimo di silenzio e seguirà la parola Gran Diedro di Miotto-Bee: proprio quel sogno racchiuso nel mio cassetto. Mi fido di lui, sono alcuni anni che lo conosco, anche se è solo dal 2002 che ha iniziato a frequentare la croda, bruciandone subito le tappe: bravo a chiodare e non solo.
Alessio mi piace nel modo di pensare; sebbene giovane ha inquadrato subito il vero alpinismo, ripetendo vie quasi sconosciute, ripercorrendo le tracce di forti alpinisti: è il compagno giusto con il quale nasce un feeling automatico.

Tutto è pronto, la meteo è favorevole per un viaggio del genere, ma rimane l’incognita zecche: che brutte bestiacce… e qui in Val de Piero ce ne sono tante e sembrano ammaestrate a saltarti sui pantaloni… A tal proposito Alessio riesce a farsi preparare un composto da una farmacia e prima di partire sembriamo due donne che si spruzzano il profumo… Partiamo dalla “Stanga” e dopo poco, risalendo la Val de Piero, un bellissimo camoscio ci sbarra la strada fissandoci. Pochi metri ci dividono da lui che sembra quasi affrontarci per farci capire che siamo a casa sua, lo fissiamo e sembra dirci qualcosa…

Risaliamo la Valle e poi “ravanando” su per mughere verticali, con vari passaggi su roccia, in quasi quattro ore arriviamo all’attacco. Ci dividiamo il materiale, conservando nello zaino grosso “l’artiglieria pesante” per la parte superiore dei sei tetti. Arrampichiamo alternandoci due tiri a testa dalle 11 fino alle 17, quando giungiamo al cengione chiamato “Gravinei”, dove decidiamo di salire ancora un tiro, il primo dei tre tiri impegnativi, fino al posto bivacco proprio sotto l’impressionante diedrone.

Purtroppo siamo avvolti dalla nebbia e non riusciamo a vedere il maestoso e possente diedro, rallentiamo sulla cengia aspettando visibilità migliore e mentre saliamo ecco una breve “finestra” che lascia intravedere il tiro successivo per giungere all’ampio terrazzo, dove bivaccare. Mi preparo a salire; la relazione riporta 5 m di A2. Sistemo tutti i chiodini a lametta al posto giusto e mentre salgo superando la lama staccata, trovo un chiodo, lo passo, mi alzo ancora verso una esile fessura dove la relazione di Miotto dice: “si sale per esile fessura (5 m, A2) avvalendosi anche di spuntoncini con cordini, (ovviamente non c’erano) per innalzarsi…” lo zaino carico d’acqua sembra tirarmi indietro; stringo i denti aggiungo un buon nut e con decisione supero la fessura arrivando infine allo strapiombo prima del ballatoio. Pianto un buon chiodo a lametta e con decisione vado fuori sulla piccola cengia.

Alle 18 finalmente, dopo aver recuperato Alessio e lo zaino siamo tutti e due al ballatoio, stanchi, ma felici di essere arrivati fin qui. Ora ci aspetta un gran lavoro di pulizia, spianando più possibile il terrazzo leggermente inclinato e organizzando quello che sarà il nostro bivacco denominato da noi “Hotel Burel”. Intanto la nebbia ci avvolge sempre di più, creando un’atmosfera alquanto macabra.
Un salutino veloce a chi è casa che ti aspetta, per infilarsi nei sacchi e aspettare la mattina.

Nei bivacchi, la notte sembra non passare mai, credi di aver dormito e poi ti rendi conto che avrai chiuso occhio massimo un’ora…ma i bivacchi si sa, sono qualcosa di unico, differenti l’uno dall’altro, te la racconti, non guardi l’orologio, altrimenti il tempo si ferma…trovi quell’intimità di discorsi un po’ particolare: racconti di ogni genere, parli di crode e subito dopo di quello che hai mangiato la sera prima. Ogni tanto scappa l’imprecazione per il sassolino che ti massaggia il coccige e così via fino alle prime luci. Purtroppo, durante la notte la fitta nebbia creava umidità mista a pioggia e la mattina abbiamo dovuto aspettare fino alle 9 perchè la parete si asciugasse per poter attaccare.

Parte Alessio, a lui tocca questo tiro (gli zaini li recupereremo al seguito) e subito ha il suo bel daffare, la roccia gialla a tratti compatta e friabile, obbliga a un delicato e abile lavoro di chiodatura, prevalentemente con chiodini a lametta. Qualche chiodo vecchio rimane in mano e verrà sostituito; passa un’ora e Alessio riesce a superare 8 metri: è troppo delicato per salire più velocemente. La mia attenzione nell’assicurarlo è a mille, qualche chiodo è buono, altri sono solo per progredire in artificiale, non terrebbero un volo… Alla fine dopo una lunga battaglia durata oltre tre ore, Alessio riesce a superare i sei tetti racchiusi in 40 m: che dire…bravissimo. Mentre mi preparo prima di partire sento Alessio urlare:” Demonio cane…!!!” e il rumore di un sasso, passarmi a filo del caschetto: era il mazzo intero di nut volatogli dall’imbraco mentre stava cercando di sedersi su un accenno di sporgenza…”Vabbè”, gli dico, “vorrà dire che saliremo più leggeri!”

Cerco di raggiungerlo più velocemente possibile, lasciando qualche chiodo che non voleva saperne di uscire e intanto il tempo non ci aspetta. E’ mezzogiorno e mezzo e abbiamo appena superato il 19° tiro, ci dividono dalla cima ancora 14 tiri di cui il prossimo ancora “rognoso”, la relazione parla di “tratto estremamente difficile e continuo, difficile da chiodare e chiodi di dubbia reputazione”. Recuperiamo gli zaini e poi parto, riuscendo ad essere abbastanza veloce, i due chiodi non ci sono, ma riesco a piantarne due abbastanza buoni e giungere in sosta.

Urlo ad Alessio: “molla tutto, parti!!” Gli zaini sulla schiena iniziano a farsi sentire, ma non dobbiamo rallentare, non possiamo bivaccare un’altra notte: l’acqua non basta e siamo quasi senza cibo, ma soprattutto domani devo andare al lavoro.
Ringraziamo la nebbia, che ormai ci accompagna dalla sera del giorno prima, perché fa diminuire quella sensazione di disidratazione e tiro dopo tiro, sempre in alternata, riusciamo a sbucare in vetta alle 19, dopo la bellezza di 33 tiri e quasi 20 ore di scalata in due giorni.

Lo zaino sulle spalle, pesa al tal punto che verso la fine anche il facile terzo su roccia ottima sembra duro. Siamo sfiniti, ma la felicità di aver ripetuto una via sul Burel è talmente tanta di far dimenticare tutto. Ci guardiamo, un breve sorriso e una mano sulla spalla, per congratularci velocemente, non c’è tempo per altro, se non far su il materiale e trovare la discesa in mezzo alla nebbia. Qualche giorno prima un amico al telefono mi disse: “Vai tranquillo la discesa è facile scendi per la ferrata Sperti e poi raggiungi il Rif. VII° Alpini”. Noi invece scenderemo da tutt’altra parte.
Il buio è dietro l’angolo e si deve correre, non vogliamo bivaccare un’altra volta e in 1.15 h riusciamo a raggiungere le luci del Rifugio Bianchet, dove finalmente possiamo rilassarci e congratularci a vicenda.

Alessio chiama Franco Miotto al telefono, avvisandolo che la via è stata ripetuta e tutto è andato bene, lui ovviamente è felicissimo. Prima di continuare la discesa, ci affoghiamo nell’acqua, tanta era la sete accumulata, brindando con una sana “birrozza” e poi giù, lungo l’interminabile strada, che sembrava non finire mai.
Un grazie ad Alessio per l’ottima compagnia in questa avventura e alla coppia Miotto-Bee per averci regalato questa bella linea.
Beppe Ballico
Si ringrazia Cassin, Il Risuolatore e Kayland


Magia Burel di Alessio Roverato

E’ venerdì pomeriggio, sono irrequieto… Ma come può essere? Dopo tutte le vie che ho fatto sono ancora agitato prima di fare una via?! Non è possibile… ma perché mi chiedo?! E’ semplice… perché è una via di Franco Miotto.
Le sue vie nascondono sempre qualcosa… lo so per esperienza.

Mi ritrovo appeso in mezzo a uno dei posti più selvaggi delle Dolomiti e quando la nebbia sfuma lasciandomi ammirare tutto quello che ho attorno capisco perché questo è l’alpinismo che mi piace vivere.
Alessio Roverato
Si ringrazia SCARPA e Montura

Note:
SCHEDA
Via del gran diedro di destra
Burel, 2281 metri, pilastro Sud-Sud Ovest
Primi salitori: Franco Miotto e Riccardo Bee il 23 aprile 1977 parte inferiore ed il 4 giugno 1977 parte superiore
Ripetizione: Beppe Ballico e Alessio Roverato 30-31 Agosto 2008 (Probabile prima ripetizione)
Difficoltà: VII e A2
Dislivello: 1100 m
Sviluppo: 1200 metri circa (33 lunghezze)
Materiale: 2 corde da 60 metri, 23 rinvii, vasto assortimento di chiodi, molto utili quelli a lametta, nuts, friends e 2 staffe a testa
Discesa: a piedi lungo la via normale per il Rifugio Bianchet o seguendo la ferrata Sperti e poi al Rifugio VII° Alpini

Planetmountain
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