Rifugio Pavillon donato dalla famiglia Gobbi alla Valle d'Aosta

Gioachino e Barbara Gobbi hanno donato il celebre e storico Rifugio Pavillon al Mt Fréty (Monte Bianco - Courmayeur) alla Regione Valle d'Aosta. Intervista a Gioachino Gobbi.
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Foto storica Rifugio Pavillon, Mont Fréty, Monte Bianco, Courmayeur
archivio Gioachino Gobbi
Il Rifugio Pavillon del Mont Fréty è stato donato dai proprietari, Gioachino e Barbara Gobbi, alla Regione Valle d'Aosta. Un lascito che proprio in questi giorni, dopo aver avuto l'approvazione del Giunta Regionale, dovrà passare al vaglio del Consiglio regionale per la ratifica definitiva. L'unico vincolo posto per la donazione è che il Rifugio mantenga la destinazione d'uso attuale e venga intitolato a Romilda e Toni Gobbi, i genitori di Gioachino e Barbara.

La notizia è di quelle che potrebbero anche passare inosservate, o quasi. O meglio, che potrebbero meritare un trafiletto corredato al più con un “bravo”, tanto generico quanto impersonale, rivolto ai “donatori”. Appunto, potrebbe... se non fosse che il Pavillon è un rifugio importante. Non solo perché ricco di storia – come ben documenta Oriana Pecchio su www.discoveryalps.it/6635,News.html - ma anche perché gode di una posizione assolutamente eccezionale. Dai suoi 2173 metri di quota il Pavillon domina Courmayeur e la Val Ferret, e soprattutto rappresenta una delle più famose finestre sul e per il Monte Bianco. Per chi non lo sapesse, infatti, il Pavillon è anche la stazione intermedia della funivia del Monte Bianco. Inoltre, particolare da non sottovalutare, è un Rifugio – Ristorante in piena efficienza e (proficua) attività. Dunque... la voglia e la curiosità di capirne e saperne di più sorge spontanea... anche perché, vedi mai che non ci sia qualcosa sotto?

Gioachino Gobbi – tra l'altro patron della Grivel azienda storica del mondo della montagna e presidente della Courmayeur Mont Blanc Funivie – risponde a questa provocazione da par suo, rovesciando la questione: “vedi, nel mondo anglosassone questa domanda non se la porrebbe nessuno. Lì le donazioni sono una cosa normale, fanno parte della loro cultura, del loro modo di pensare. Perché è un atto che ha a che fare con quel concetto di “collettività” che noi latini non abbiamo, o abbiamo perso. Noi siamo attaccati alle cose, non ce ne vogliamo staccare, pensiamo che l'accumulazione del capitale personale non debba mai aver fine”. Quindi è per questo che una donazione ci sembra un fatto strano? “Ci può sembrare non normale e di conseguenza non sappiamo né in quale contesto collocarla né capirla”.

Appunto, cosa dovremmo capire? “Che chi più ha, più deve donare alla collettività...”. D'accordo, ma perché dovrebbe farlo... sarai mica comunista? “A parte le etichette che non mi offendono ma ormai lasciano il tempo che trovano, credo che occorra recuperare la consapevolezza che ognuno di noi ha ciò che ha grazie alle opportunità che gli sono state date, non solo dalla propria famiglia, ma anche dalla comunità più ampia. Quella collettività che in questo caso è rappresentata dalla Regione Valle d'Aosta e da Courmayeur in particolare”.

Insomma, stai dicendo che dobbiamo pagare un “debito”? “Lo definirei un “gioioso” debito perché deriva dalla consapevolezza che, come si suol dire, noi abbiamo potuto vedere lontano perché siamo saliti sulle spalle di giganti”. E' un discorso sulla memoria che non si deve perdere? “Sì, quella memoria, anche fisica come nel caso del Pavillon, che deve riguardare ciò che è stato fatto e da chi è stato fatto. A testimonianza di un'evoluzione che ha interessato tutti, e che perciò rappresenta un bene e un frutto collettivo, la cui salvaguardia dovrebbe spettare alla collettività”.

Ultima domanda... perché proprio ora questa donazione? “Ci è parso il momento giusto di farlo perché c'è in corso il rifacimento della Funivia del Monte Bianco, di un'opera quindi che è stata pensata per il futuro della collettività ma allo stesso tempo che ci è stata donata da chi ci ha preceduto”.

A essere sinceri quello che si potrebbe dire è anche che mai come di questi nostri tempi questi discorsi di collettività, di bene comune, "di chi più ha più deve dare" ci sembrano attuali. Anzi, drammaticamente attuali. Per questo ci sembra quantomeno significativo che l'esempio arrivi proprio dalla montagna. Una collettività per definizione “difficile” ed “estrema” ma forse per questo più sensibile.



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