Quando le candele fanno crack
Il crollo vissuto in diretta di una candela su una cascata di ghiaccio. Un'avventura fortunamente andata per il meglio, ma che fa riflettere...
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Durante la salita della candela
Planetmountain.com
Quando abbiamo sentito questo racconto quasi non ci credevamo. Perché non ci sono dubbi che su quella cascata di ghiaccio è avvenuto un miracolo (vedere le foto per credere). Poteva andare malissimo... Invece il destino - almeno questa volta! - ha fortunamente deciso che tutto poteva ridursi ad un grandissimo spavento. Oltre a ringraziare la propria buona stella, cosa si può fare in questi casi? Qualcuno dice che bisogna ripartire subito a scalare, ed ha ragione. Qualche altro che bisogna farne tesoro perché non sempre può andare così di lusso, e anche questo è verissimo. Poi, sembra serva anche raccontare quello che è successo. Agli amici o a chi volete. Perchè, dicono, raccontare aiuta a superare il trauma, ma anche ad aumentare l'esperienza di tutti. E' per questo che abbiamo chiesto ai nostri anonimi climber di raccontare a tutti questa storia. Perché può essere di aiuto a molti. E poi perchè, anche se tutti sappiamo che scalare su cascata comporta dei rischi, qualche volta fermarsi un attimo e rifletterci un po' di più non guasta.
Il racconto:
Ciao ho fatto un paio di foto a una linea nuova a fianco di una che avevo aperto lo scorso anno. Però questa non l’ho mai vista toccare per cui la stalattite la possiamo prendere chiodando un paio di tiri sulla roccia! Cosa ne dici? La risposta alla frase (c’è una linea nuova...) era già pronta e si manifestò con un immediato: quando andiamo?...
L’auto stipata dal materiale di tre arrampicatori, raggiunto il parcheggio più prossimo alla cascata, ci depositò in un gelo siderale che andò via via attenuandosi solo grazie al ripido avvicinamento. Dopo una quarantina di minuti eccola: bella, inquietante e nuova. L’esperto amico non ci aveva tradito e il lungo viaggio si apprestava a concretizzarsi. Il flusso d’acqua che scendeva dalla grande candela sospesa riempiva una specie di ampolla e questa ciclicamente ne riversava alcuni litri sul malcapitato assicuratore. Presto però ci accorgiamo che la qualità della roccia non è delle migliori e, dopo la fuoriuscita di un friend, i propositi di tirare la libera al limite hanno lasciato il posto ad una laboriosa salita in artificiale. I fix da 10 ci accompagnano sino ad un comodo terrazzino da dove un’aerea traversata verso sinistra ci porterebbe verso alcune piccole ed innocue frangette, ma guardiamo l’ora e... dobbiamo scendere. Considerando che un tiro in un giorno è un bottino al di sotto di ogni più pessimistica previsione, zampettiamo sino all’auto cercando un giorno che possa andare bene a tutti per finire l’opera. Ok, allora l'appuntamento è tra due martedì, visto che gli impegni non ci permetteono di chiudere la partita prima. Quindi, a tra due settimane!.
Il rito è sempre lo stesso: l’appuntamento, il freddo, le risate e via a raggiungere il nostro obiettivo che nuovamente dopo una quarantina di minuti è li che ci aspetta... Ma…! Nooo la candela ha toccato. Credimi in tanti anni non l’ho mai vista toccare, incalza l’amico local aggiungendo: Si è allungata di almeno due metri rispetto alle foto di tre giorni fa. E allora cosa facciamo? Poiché siamo in tre, le ipotesi si moltiplicano in maniera esponenziale e vanno dal: se ha toccato aspettiamo qualche giorno che si consolidi e poi torniamo a salirla. Al: andiamo a vederla da vicino che per me si sale già adesso... senza contare che in mezzo c’era pure l’ormai eretico: saliamo l’altro tiro di dry becchiamo quella frangettina, che se cade al massimo ci spettina, e saliamo poi quel bel ghiaccetto ciccione che ci sta sopra.
Uno di noi tuona un deciso No! Se il ghiaccio tocca non è etico fare il voltone di roccia: bisogna salire diretti oppure al limite, fatto il primo tiro, possiamo beccare al volo la candela e salirla. Quest'ultima presa di posizione fa sì che il gruppo si divida facendo entrare in gioco altri fattori. Quali la paura, l’esperienza, l’ambizione, l’incoscienza e la capacità che in ognuno di noi si mescolano con percentuali differenti e assolutamente soggettive. Così il trio diventa un duo... deciso a tentare la salita della grande frangia sospesa. Un fix a due metri sopra la sosta riduce sensibilmente una parte dei rischi poi, piano piano, una prima vite seguita da una seconda accompagnano verso l’alto la delicata danza dell’arrampicatore. Ma ad un tratto, ad una decina di metri dalla sosta, la candela insensibile alle sue ambizioni o ai nostri discorsi di etica ha deciso di fregarsene ed è bellamente precipitata con il suo carico umano...
Il grido strozzato, il clangore del materiale ed il sommesso tuono del ghiaccio che implode su se stesso riempiono per istanti lunghi una vita il silenzio della valle. La fuga in mezzo ai blocchi che precipitano, l’adrenalina a mille e la paura nel guardare verso quello che sino a poco prima era un sogno da realizzare si alternano vorticosamente nella frazione di un secondo. Immediatamente l’azione per un soccorso prende il sopravvento sulla paura, ma i primi metri di risalita a perdifiato permettono già di vedere chiaramente che per miracolo gli amici in parete sono illesi. L’esiguo ripiano alla base della cascata è ora occupato da blocchi grandi come autobus. Poi, finalmente radunati in fondo alla doppia, ci rendiamo conto che l’unico tributo pagato al rischio preso consiste nell’avere perso, sotto tre o quattro metri di ghiaccio, una serie completa di friends, alcuni nuts ed un thermos di the al ginseng che potremo bere soltanto a primavera inoltrata. Chissà se sarà ancora caldo?!
Dopo quello che è successo, ancora una volta mi viene da pensare a tutte le volte che abbiamo parlato di sicurezza. E, con qualche altro amico in meno, ormai mi sono dovuto rendere conto che talvolta tutto questo parlarne si infrange contro la vanità di ognuno di noi. Vanità che, a volte, ci porta a sottostimare i rischi e a sopravvalutare sia le nostre capacità che la buona sorte in un vortice che ci vede ottimi predicatori ma ormai troppo spesso pessimi modelli. Lo stesso caro amico reduce da quel fortunato esito del crollo mi ha detto: Vedi, è vero che è crollata e ci è andata bene... ma pensa, se fosse stata su che prima salita avremmo fatto e che bel gesto tecnico.
Davanti ad un’affermazione del genere non servono gli inviti alla prudenza e non serve nemmeno l’esperienza che, se in quanto tale dovrebbe far tesoro degli errori passati, in un caso del genere è solo muta testimone della replica dei rischi precedentemente superati. Vorrei poter convincere tutti che l’arrampicata sulle cascate di ghiaccio è un’attività pericolosa, dove non si può e non si deve improvvisare nulla e dove molto spesso si paga anche quando nel gesto non vi è azzardo. Trovo che moralmente oggi più di ieri il limite tecnico non debba correre parallelo all’impalpabile filo che separa la vita dalla morte. Oggi, con i mezzi tecnici e le conoscenze che dovremmo avere, il tributo di vite pagato mi sembra ancora troppo alto. Tanto che a volte mi trovo a pensare che gli unici passi che sono stati fatti consistono nell’aggiungere nomi illustri e non ad un elenco oramai veramente troppo lungo.
Il racconto:
Ciao ho fatto un paio di foto a una linea nuova a fianco di una che avevo aperto lo scorso anno. Però questa non l’ho mai vista toccare per cui la stalattite la possiamo prendere chiodando un paio di tiri sulla roccia! Cosa ne dici? La risposta alla frase (c’è una linea nuova...) era già pronta e si manifestò con un immediato: quando andiamo?...
L’auto stipata dal materiale di tre arrampicatori, raggiunto il parcheggio più prossimo alla cascata, ci depositò in un gelo siderale che andò via via attenuandosi solo grazie al ripido avvicinamento. Dopo una quarantina di minuti eccola: bella, inquietante e nuova. L’esperto amico non ci aveva tradito e il lungo viaggio si apprestava a concretizzarsi. Il flusso d’acqua che scendeva dalla grande candela sospesa riempiva una specie di ampolla e questa ciclicamente ne riversava alcuni litri sul malcapitato assicuratore. Presto però ci accorgiamo che la qualità della roccia non è delle migliori e, dopo la fuoriuscita di un friend, i propositi di tirare la libera al limite hanno lasciato il posto ad una laboriosa salita in artificiale. I fix da 10 ci accompagnano sino ad un comodo terrazzino da dove un’aerea traversata verso sinistra ci porterebbe verso alcune piccole ed innocue frangette, ma guardiamo l’ora e... dobbiamo scendere. Considerando che un tiro in un giorno è un bottino al di sotto di ogni più pessimistica previsione, zampettiamo sino all’auto cercando un giorno che possa andare bene a tutti per finire l’opera. Ok, allora l'appuntamento è tra due martedì, visto che gli impegni non ci permetteono di chiudere la partita prima. Quindi, a tra due settimane!.
Il rito è sempre lo stesso: l’appuntamento, il freddo, le risate e via a raggiungere il nostro obiettivo che nuovamente dopo una quarantina di minuti è li che ci aspetta... Ma…! Nooo la candela ha toccato. Credimi in tanti anni non l’ho mai vista toccare, incalza l’amico local aggiungendo: Si è allungata di almeno due metri rispetto alle foto di tre giorni fa. E allora cosa facciamo? Poiché siamo in tre, le ipotesi si moltiplicano in maniera esponenziale e vanno dal: se ha toccato aspettiamo qualche giorno che si consolidi e poi torniamo a salirla. Al: andiamo a vederla da vicino che per me si sale già adesso... senza contare che in mezzo c’era pure l’ormai eretico: saliamo l’altro tiro di dry becchiamo quella frangettina, che se cade al massimo ci spettina, e saliamo poi quel bel ghiaccetto ciccione che ci sta sopra.
Uno di noi tuona un deciso No! Se il ghiaccio tocca non è etico fare il voltone di roccia: bisogna salire diretti oppure al limite, fatto il primo tiro, possiamo beccare al volo la candela e salirla. Quest'ultima presa di posizione fa sì che il gruppo si divida facendo entrare in gioco altri fattori. Quali la paura, l’esperienza, l’ambizione, l’incoscienza e la capacità che in ognuno di noi si mescolano con percentuali differenti e assolutamente soggettive. Così il trio diventa un duo... deciso a tentare la salita della grande frangia sospesa. Un fix a due metri sopra la sosta riduce sensibilmente una parte dei rischi poi, piano piano, una prima vite seguita da una seconda accompagnano verso l’alto la delicata danza dell’arrampicatore. Ma ad un tratto, ad una decina di metri dalla sosta, la candela insensibile alle sue ambizioni o ai nostri discorsi di etica ha deciso di fregarsene ed è bellamente precipitata con il suo carico umano...
Il grido strozzato, il clangore del materiale ed il sommesso tuono del ghiaccio che implode su se stesso riempiono per istanti lunghi una vita il silenzio della valle. La fuga in mezzo ai blocchi che precipitano, l’adrenalina a mille e la paura nel guardare verso quello che sino a poco prima era un sogno da realizzare si alternano vorticosamente nella frazione di un secondo. Immediatamente l’azione per un soccorso prende il sopravvento sulla paura, ma i primi metri di risalita a perdifiato permettono già di vedere chiaramente che per miracolo gli amici in parete sono illesi. L’esiguo ripiano alla base della cascata è ora occupato da blocchi grandi come autobus. Poi, finalmente radunati in fondo alla doppia, ci rendiamo conto che l’unico tributo pagato al rischio preso consiste nell’avere perso, sotto tre o quattro metri di ghiaccio, una serie completa di friends, alcuni nuts ed un thermos di the al ginseng che potremo bere soltanto a primavera inoltrata. Chissà se sarà ancora caldo?!
Dopo quello che è successo, ancora una volta mi viene da pensare a tutte le volte che abbiamo parlato di sicurezza. E, con qualche altro amico in meno, ormai mi sono dovuto rendere conto che talvolta tutto questo parlarne si infrange contro la vanità di ognuno di noi. Vanità che, a volte, ci porta a sottostimare i rischi e a sopravvalutare sia le nostre capacità che la buona sorte in un vortice che ci vede ottimi predicatori ma ormai troppo spesso pessimi modelli. Lo stesso caro amico reduce da quel fortunato esito del crollo mi ha detto: Vedi, è vero che è crollata e ci è andata bene... ma pensa, se fosse stata su che prima salita avremmo fatto e che bel gesto tecnico.
Davanti ad un’affermazione del genere non servono gli inviti alla prudenza e non serve nemmeno l’esperienza che, se in quanto tale dovrebbe far tesoro degli errori passati, in un caso del genere è solo muta testimone della replica dei rischi precedentemente superati. Vorrei poter convincere tutti che l’arrampicata sulle cascate di ghiaccio è un’attività pericolosa, dove non si può e non si deve improvvisare nulla e dove molto spesso si paga anche quando nel gesto non vi è azzardo. Trovo che moralmente oggi più di ieri il limite tecnico non debba correre parallelo all’impalpabile filo che separa la vita dalla morte. Oggi, con i mezzi tecnici e le conoscenze che dovremmo avere, il tributo di vite pagato mi sembra ancora troppo alto. Tanto che a volte mi trovo a pensare che gli unici passi che sono stati fatti consistono nell’aggiungere nomi illustri e non ad un elenco oramai veramente troppo lungo.
Note:
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