Marco Zamberlan e la salita dell' Ama Dablam

Intervista a Marco Zamberlan dopo la salita dell'Ama Dablam (6856m) in Nepal, effettuata per celebrare l'85° anniversario del calzaturificio Zamberlan.
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Durante la spedizione all'Ama Dablam, effettuata per celebrare gli 85 anni del calzaturificio Zamberlan.
archivio Zamberlan
Un amore per la montagna che dura da tre generazioni e un titolare d’azienda che appena può va alla ricerca delle vette più suggestive. Per celebrare 85 anni di cultura calzaturiera e innovazione tecnica applicate all’equipaggiamento outdoor, Marco Zamberlan e la spedizione formata dagli alpinisti Caio Pellizzari, Stelvio Frigo, Michele Barbiero, Vlad Moroz e Vasily Voloshin hanno raggiunto la cima dell’Ama Dablam (6814 metri), una delle montagne più affascinanti del complesso himalayano.
Nel 1929 fu il nonno Giuseppe Zamberlan a intraprendere l’attività di calzolaio, sviluppando la lavorazione artigianale di boot da montagna e scarpe da scalata grazie al rapporto diretto con il territorio delle Piccole Dolomiti. Oggi Zamberlan esporta più del 90% della produzione, in oltre 50 Paesi in tutto il mondo, e la famiglia segue ancora in prima persona le varie fasi di produzione degli scarponi: progettazione, fabbricazione, distribuzione. E appunto test. Abbiamo incontrato Marco Zamberlan al ritorno dalla fortunata spedizione in Nepal.

Ciao Marco, complimenti per il successo della spedizione sull’Ama Dablam: ci racconti come è andata?
La spedizione è andata molto bene in quanto tutti si sono divertiti e non ci sono stati grossi problemi. È stata un’esperienza che ci ha arricchito e ci ha lasciato dentro moltissimo. Sicuramente la rifaremo. Nonostante il Nepal stia cambiando negli ultimi anni a causa della grossa affluenza di turisti e alle imprese a scopo commerciale, credo che per un alpinista sia ancora uno dei posti più belli della terra, viste le sue montagne, i paesaggi e gli abitanti.
La salita dell’Ama Dablam l’abbiamo fatta partendo dal campo base, dove c’era molta gente, mentre il trekking che abbiamo svolto per raggiungere lo stesso campo base ha seguito una delle valli laterali, al di fuori della valle del Khumbu [quella principale, porta dal base camp all’Everest - n.d.r.] proprio per evitare carovane o gruppi turistici particolarmente numerosi. Più che per fini esplorativi, la scelta è stata motivata dalla volontà di stare fra noi, vista la lunga conoscenza che ci lega.

Quattro italiani e due russi: come avviene la scelta dei membri della spedizione?
Prima di tutto è l’amicizia a giocare un ruolo fondamentale. In questo tipo di avventure si instaura una sorta di fratellanza che ti permette di condividere le cose belle e affrontare assieme quelle più dure. Per l’85° anniversario Zamberlan abbiamo esteso l’invito a componenti esteri: i nostri amici russi Vlad Moroz e Vasily Voloshin del Team RedFox Outdoor Equipment sono stati i primi ad aderire, mentre altri amici giapponesi hanno dovuto rinunciare all’ultimo momento. Dal punto di vista organizzativo non cambia molto il numero dei componenti di una spedizione, ognuno deve essere perfettamente autonomo nel gestirsi e in grado di affrontare tutte le fasi della salita.

Come mai avete scelto questa montagna per la scalata celebrativa degli 85 anni? Ci sono state differenze sostanziali rispetto alle altre due precedenti spedizioni?
L’Ama Dablam è una delle montagne più belle dell’Himalaya e pur non essendo un 8000m presenta dei tratti che dal punto di vista tecnico possono essere anche più complicati e richiedono una preparazione particolare. Per un evento importante come gli 85 anni dell’azienda nel mondo dell’outdoor abbiamo pensato che l’estetica spettacolare della montagna e il profilo tecnico dell’impresa rendessero l’Ama Dablam la meta più adatta. E alla fine come salita si è rivelata tecnicamente più impegnativa rispetto alle precedenti: i 7000m dell’Aconcagua, ad esempio, li abbiamo affrontati lungo la via normale, evitando particolari difficoltà tecniche. Il problema semmai era il freddo.

A proposito di temperature, sull’Ama Dablam com’era la situazione?
Le temperature non erano proibitive, saremo stati sui -17 o -20 gradi, e soprattutto di notte. C’è un grosso sbalzo termico, di giorno col sole alto abbiamo le ore più calde, dalle 9 fino alle 16-17. A mezzogiorno per esempio fa molto caldo, da cui anche il problema delle valanghe.

Ama Dablam significa “collana della mamma”, in teoria per la sua conformazione ad abbraccio. Visto da lassù è davvero così rassicurante? Avete attraversato momenti di sconforto o vera e propria paura?
No, rassicurante proprio per niente! Devo anzi dire che fa proprio paura, per la sua esposizione e difficoltà di salita. L’Ama Dablam rappresenta una delle montagne himalayane più scenografiche, simile per conformazione fisica al nostro Cervino, con una forma piramidale ma molto più alta. Anche le dimensioni complessive sono estremamente più grandi. La montagna ha delle creste molto affilate e proprio una di queste rappresenta la principale via di salita. Vista da sotto ti confermo che fa molta paura; e anche da sopra, soprattutto quando sei nei campi alti, provi un forte senso di soggezione. Anche per questo è una meta così ambita e frequentata.
Grossi momenti di sconforto in realtà non li abbiamo avuti. La preoccupazione più grande era dovuta all’affluenza di alpinisti che arrampicavano sopra di noi e alla possibilità che venissero smossi sassi o detriti. Oltre ai problemi con le corde fisse: in basso erano malconce, in alto praticamente non esistevano. Dal Campo 2 in su la montagna non era ancora stata scalata ed era quindi tutta da attrezzare, un’operazione che in genere non fanno gli stranieri ma gli stessi nepalesi. Purtroppo qualche giorno prima della nostra spedizione un alpinista francese di 42 anni è morto facendo la stessa salita, è saltata una corda fissa ed è precipitato. Per quanto riguarda la nostra spedizione siamo stati fortunati: una delle nostre guide si è lussata una spalla e uno dei russi ha avuto dei problemi ad una caviglia a causa di una caduta. Ma al di là di questi episodi è andato tutto nel migliore dei modi.

Parliamo di materiali: sulla base di cosa avviene la scelta dell’equipaggiamento? In questo caso cosa avete portato con voi?
La scelta dei materiali avviene considerando la difficoltà tecnica della salita, l’altezza della montagna e le basse temperature che si devono affrontare. Nel caso delle scarpe avevamo un nuovo prodotto da testare in prima persona: tutta la spedizione è stata equipaggiata con il nuovo modello Karka Zamberlan, uno scarpone da alta quota ramponabile con scarpetta interna rimovibile. Il prodotto si è dimostrato molto comodo, caldo e performante. Tutto il gruppo si è trovato bene, e per qualcuno il boot era addirittura troppo caldo (ma questo, oltre ad essere un pregio, probabilmente dipendeva dalle temperature abbastanza elevate). Come per 6000 Karka RR, le informazioni raccolte in scalata sono sempre utilissime per migliorare le produzioni successive. Già dal campo base ci confrontiamo con gli altri alpinisti per riportare al nostro ufficio tecnico i commenti che solo l’esperienza diretta può suggerire, dall’isolamento termico alla calzata dello scarpone. Diciamo che il piede, essendo sempre immerso nella neve, è la parte più delicata e a rischio congelamento.

E per quanto riguarda il resto dell’equipaggiamento?
Fondamentali dei buoni guanti da alta quota e una tuta termica comoda e leggera. Il pericolo è sempre quello del congelamento, per cui la tuta non deve ostacolare i movimenti e deve essere adatta anche per la notte, nel senso che la tieni addosso anche quando dormi.

Quali sono invece gli aspetti più importanti che devono contraddistinguere la preparazione fisica di un alpinista alle prese con un 6800m?
L’allenamento fisico è imprescindibile quando si affronta un’impresa del genere. Un aspetto fondamentale è l’acclimatamento, la capacità di adattare gradualmente il fisico all’altitudine: se sei in Nepal, in alta quota, il tuo corpo deve potersi acclimatare grado per grado, senza forzare. In genere si tenta di fare una salita e poi tornare a dormire un po’ più in basso, proprio per avere un adattamento graduale sia alle temperature che per un discorso di mal di montagna, nel senso che i rischi sono l’edema polmonare e l’edema cerebrale. Importantissimo anche idratarsi, l’alimentazione e l’assunzione di sali minerali. Ad ogni modo, il grosso della preparazione l’abbiamo fatta sull’Ama Dablam, con il trekking a 5300m o fino al Labouche Peak, che è un 6100m.

L’esito della spedizione: avete rispettato la quota attesa (la vetta a 6.814m) e le tempistiche (20 giorni circa). Il meteo è stato clemente?
Si, esclusi tre giorni di brutto tempo che ci hanno costretto nelle tende il meteo ci ha aiutato. Ci sono state due valanghe ma fortunatamente erano al di fuori della nostra linea di salita, non lungo il tratto che abbiamo percorso. Come dicevo, gli unici imprevisti sono stati dovuti alla mancanza di corde fisse nella parte alta, che quindi abbiamo dovuto attrezzare, e di corde rovinate e poco sicure nella parte bassa.

Alcune curiosità. Come fate per le provviste? La notte come si dorme? Il suono e la luce come sono?
Fino al campo base avevamo il cuoco nepalese che alternava carne, riso, uova e minestre. Per i campi alti ci siamo arrangiati principalmente con delle minestre liofilizzate che avevamo portato con noi. La notte generalmente abbiamo dormito bene, a parte qualche nottata insonne a causa del freddo. Non ci sono rumori particolari, escluso il vento ma ovviamente le tende vengono allestite nelle zone più riparate. Le notti di luna piena creano poi un ambiente particolare riflettendo tutta la luce sulla neve, uno scenario estremamente suggestivo e affascinante, considerato anche il cielo stellato.

Uomo di montagna, ma anche uomo d’azienda: come riesci a conciliare le due cose?
Vorrei poterle conciliare meglio, nel senso che vorrei avere più tempo da dedicare ad esperienze che ti riempiono l’anima come quella che abbiamo appena trascorso in Nepal.
Questo è un tipo di spedizione che facciamo ogni 5 anni. Comunque avendo degli ottimi collaboratori in azienda qualche periodo riesco ancora a prendermelo.

Prossimi progetti, scalate, iniziative?
Probabilmente andremo in Pakistan, dove c’è un ambiente simile a quello himalayano, con montagne molto alte. O in Patagonia, dove le cime arrivano a 4000m circa ma sono molto tecniche, c’è molta più arrampicata. Vi terremo aggiornati… spero molto presto!

Per info e approfondimenti: www.zamberlan.com


Note:
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