Le Pagine di Isidoro, una proposta 'Trad Experience' nel Vallone di Forzo
La riscoperta di Andrea Giorda della via trad Pagine di Pietra nel vallone di Forzo (Gran Paradiso) aperta dallo stesso Giorda il 21/12/1980 assieme a Isidoro Meneghin e Biagio Merlo.
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Il nostro Dinas Cromlech
Andrea Giorda
E’ primavera ed è ora di far prendere aria ai friend, cosa c’è di meglio per sgranchirsi di una novità che riemerge dal passato, una piccola via nel vallone di Forzo, non difficile, ma che richiede un po’ di strategia per la lunghezza dell’ultimo tiro veramente eccezionale: Pagine di Pietra.
La Storia
Il 1980 è l’anno in cui Bob Marley fece ben due concerti in Italia, tra cui uno a Torino. Non so come ma avevo due preziosi biglietti. Invitai la più bella del reame che mi tirò un sonoro bidone! Rimasi solo e colpito nell’onore ma andai lo stesso. Fu uno dei più bei concerti che io ricordi. Ricordare è una parola grossa perché lo stadio era un unico cannone fumante con gente che ballava a suon di Reggae. Nessuno immaginava che sarebbe stato un appuntamento con la storia, pochi mesi dopo, Bob Marley lasciò, avvolto nella sua chioma rasta il mondo dei mortali. Poco male, io ero antico e avevo ancora nel mio mangiacassette i Creedence Clearwater Revival, quelli, per chi li ricorda, di “ Have you ever seen the rain” e non ne soffrii più di tanto.
Anche quell’anno, il 1980, l’autunno arrivò e come sempre la Scuola Gervasutti si ritrovò all’uscita delle Courbassere con i nuovi allievi. Si sa che dopo l’estate gli alpinisti tendano un po’ alla sindrome del pescatore, che narrano di pesci giganti allargando più possibile le braccia, ed era normale che gli istruttori sparassero le novità, raccontando di favolose scalate che inevitabilmente erano le più belle e le più dure.
Quell’anno Isidoro Meneghin era imbattibile, pur essendo molto attento a non rivelare i suoi terreni di caccia, aveva nel suo paniere molte prede tra cui una via nuova sul Pilastro Rosso del Bruillard aperta con Ugo Manera e compagni e la Strategia del Ragno sulla misteriosa parete dell’ Ancesieu. Via recentemente riportata alla luce da Adriano Trombetta e compagni con la variante di Manera del 1981. Fu così che tra una battuta e l’altra raccontai ad Isidoro della mia ricerca della fessura perfetta, da salire clean, possibilmente senza bong, ma con nut ed excentric. Avevo già scovato e scalato il Diedro Atomico e la Fessura Sitting Bull, fino ad allora tra i tiri più impegnativi della Valle dell’Orco, lui sembrò interessato fino a farmi una proposta.
Ci ritrovammo così , pochi giorni prima di Natale, in Val Soana dove inizia il Vallone di Forzo. L’obiettivo era una piccola parete con una delle più lunghe fessure che avessi mai visto, 55 metri . Un gioiello, ma difeso da muraglioni erbosi da tutti i lati e apparentemente poco accessibile. Non so come, ma Isidoro, maestro di terreni scabrosi superò la giungla verticale e mi piazzò alla base della fessura. Mi disse Giordino è tutta tua. E scoppio in quella sua risata a scatti che aveva qualcosa di sfidante. La situazione non era delle migliori, non esistevano i friend e con quattro excentric di diversa misura, senza bong la prospettiva di rimanere incatramato senza materiale era molto probabile.
La fessura era più facile di quelle che avevo già scalato ma era dannatamente lunga e di larghezza abbastanza regolare. Andai fin dove potevo e poi finì la corda da 40 metri. Mi rimase solo un excentric che per l’occasione piantai a martellate, dovendo servire da unico ancoraggio di sosta per me , Isidoro e Biagio Merlo, detto Blaise, il terzo componente della cordata. Arrivai poi in sosta grazie a delle pietre incastrate che avevo raccolto e martellato. Ma mi salvarono anche gli scarponcini rigidi che da vero grezzo spesso preferivo alle famose scarpette EB Supergratton. Le scarpe a suola Vibram si incastravano come su una scala e mi permisero di salire fino alla betulla salvifica, che ancora oggi troneggia sul bellissimo terrazzino in cima alla parete.
Ci calammo poi sugli alberi che non mancavano e al buio sbucammo dalla Jungla sulla strada. Le sorprese non erano finite, un guardia parco appostato ci teneva d’occhio da un po’ ed era sicuro di aver pinzato tre bracconieri! Non ci credeva che fossimo andati a scalare su per i boschi, gli alpinisti seri andavano sulle montagne. Non era aggiornato alle visioni del Nuovo Mattino e con modi rudi, sicuro del fatto suo ci fece smontare zaini e bagagliaio dell’auto certo di trovare le armi o la testa di uno stambecco.
Insomma una bella avventura in cui ci trascinò Isidoro, un grandissimo esploratore. A lui dobbiamo la scoperta di tante pareti anche minori come alcune in Val di Susa. Forse la scalata libera non era il suo pezzo forte, ma a costo di chiodature estreme passava dove gli altri si fermavano. Non si spaventava di terreni erbosi ed infidi, non badava all’estetica, lui si nutriva della pura lotta con la parete.
La Riscoperta
La fessura, come tante avventure da ragazzi cadde nell’oblio, e anche Isidoro, molto più a suo agio sulle pareti che tra la gente, ci lasciò nel 1989 per un fatale incidente alla Rocca Sbarua, nel Pinerolese. Le Pagine di Pietra nate nell’inverno del 1980 chiudono un ‘epoca, un modo di scalare all’ora nuovo per noi, inaugurato da Galante e Bonelli nel 1974 con la Fessura della Disperazione. Si trattava di scalare tratti molto lunghi difficilmente proteggibili in arrampicata libera, per poi fermarsi col fiato grosso al primo ancoraggio possibile.
Le fessure della valle dell’Orco erano il terreno ideale per questo modo di scalare, come lo saranno più a est le placche improteggibili per i visionari ragazzi della valle di Mello. Quando Gian Carlo Grassi apre a suon di chiodi e staffe la Cannabis al Sergent, Danilo Galante, suo secondo, adocchia quello che nessuno vedeva, la vicina Fessura della Disperazione che scalerà con Roberto Bonelli tirando la libera al massimo e assumendosi rischi mortali.
Di recente Bonelli mi ha raccontato che sulla Disperazione era la prima volta che scalava su granito e non era mai stato in valle dell’Orco! Se si aggiunge che aveva iniziato ad arrampicare con Grassi solo l’autunno precedente, si ha idea di quanto naif e spontanea fosse la scalata rispetto ad ora. Gli anni ’70 sono stati anni in cui è cambiata ogni cosa, ma ne eravamo del tutto “inconsapevoli,” come dice Bonelli .
Nella seconda metà degli anni 70, un manipolo di ragazzi segue le orme dei due apripista, lo stesso Alessandro Gogna, già alpinista di fama, vede con lungimiranza la nuova realtà e cura talenti come Beuchod, Marantonio e lo stesso Bonelli raccontandone le gesta nei suoi libri. Quel modo di scalare, fatto di grande controllo del rischio, fino all’estremo, è stato naif e spontaneo fino al 1980. Poi tutto è cambiato, le riviste hanno diffuso le imprese dei primi free climber, dei gradi oltre al settimo superati nelle falesie francesi, si parlava di allenamento, delle prime discussioni sulle protezioni fisse e del concetto di resting. Vedevamo stupiti cose nuove, ma avevamo per sempre perso la spontaneità, anche l’abbigliamento non era più lo stesso, nasceva un business intorno all’arrampicatore.
Non vi è alcun collegamento, come come erroneamente si dice, tra la scalata degli anni 70 in valle dell’Orco e l’arrampicata sportiva, sono due mondi agli antipodi. Uno fatto di improvvisazione, talento naturale e controllo del rischio fino all’estremo, l’atro fatto di allenamento, eliminazione del rischio e dedizione semiprofessionale. Non è un caso che quasi nessuno dei “pionieri” degli anni ’70 della valle dell’Orco sia diventato un campione dell’arrampicata sportiva, idem per la val di Mello. Quel modo di scalare si è estinto, troppo elitario e rischioso, non aveva più senso nel mondo sicuro e iperprotettivo nel quale ci incamminavamo.
Come sempre ad ogni salto generazionale appare l’uomo nuovo e da noi si chiama Marco Bernardi. Fece le sue prime comparse in valle dell’Orco con lo stile naif intorno al 1980, aprendo tiri improteggibili come il camino che porta il suo nome, per poi sposare con successo il nuovo credo dell’arrampicata sportiva. Ecco dunque perché la via delle Pagine di Pietra non si chiama come tante fessure larghe dell’epoca la via dei cunei (di legno) o dei Bong per salire in artificiale. Ecco perché quel roccione insignificante buttato in mezzo ad un bosco verticale, ha risvegliato il vecchio Neanderthal che ero, naif e inconsapevole.
La sorella di Meneghin, Mara, ha conservato e poi dato ai suoi amici il quaderno con tutte le relazioni di Isidoro. Sfogliandolo, dopo la sua scomparsa, ho visto con sorpresa la relazione delle Pagine di Pietra, compilata all’epoca come un verbale dei carabinieri; Meneghin sottolinea compiaciuto che la fessura è stata superata interamente in scalata libera!
Può far sorridere ora, il grado moderno è 6a/6a+ giusto per la continuità, ed io stesso avevo già fatto fessure ben più difficili, ma questa era maledettamente lunga e con quattro excentric diversi scalarla e attrezzare pure la sosta (perché le corde erano più corte) sarebbe un bel problema anche adesso. A venti anni ci si crede immortali ed ebbi anche fortuna a cavarmela senza danni.
Tornato dal meeting Trad del Galles organizzato dal BMC nel 2011, mi è sembrato interessante rendere fruibile a tutti il nostro Dinas Cromlech. Quello originale famosissimo nei pressi del Llanberis pass , è una parete a forma di libro aperto con un Left wall e un Right wall dove è passata la storia dell’arrampicata britannica da Joe Brown a Ron Fawcett. Avendolo scalato, posso dirvi che assomiglia in modo incredibile alle Pagine di Pietra.
Un manipolo di amici volenterosi mi ha aiutato dunque a riesumare le Pagine di Pietra, a togliere quintali d’erba e terra sulle placche e sulle fessure sottostanti , per creare dei tiri nuovi e raggiungere il diamante con la fessura, protetto da ogni lato da precipizi erbosi. Lavorando, spesso anche da solo a questa impresa da folle, ho goduto di questo posto incantevole, che conserva quel fascino primordiale che un tempo aveva la valle dell’Orco.
Alle pagine di Pietra si può scalare tutto l’anno, se non c’è neve, il mio intento è quello di offrire ai giovani una palestra per misurarsi con un tiro trad, facile, ma impegnativo da un punto di vista psicologico. Pur con la comodità dei friend di oggi, bisogna comunque saper calcolare la distanza delle protezioni, o finiscono subito.
I tiri per arrivare alla base sono divertenti e già si usano i friend, arrivati in cima poi c’è la sorpresa più bella, sembra pensata da un creatore di giardini. Un praticello sospeso con betulla, al quale bisogna assolutamente arrivare. Vietate le barrette stitiche e la fretta di scendere. Godetevi l’incanto, l’isolamento e la vista, meditate, praticate lo “ slow climbing”! Alla vecchia maniera anni ’70 rifornitevi negli splendidi negozi di Ronco, dove si trovano tome di vario tipo, il prosciutto e le mocette della val Soana. Una bella bottiglia di vino, vi agevolerà sulle doppie! Buon divertimento.
Andrea Giorda
Grazie di cuore agli amici che hanno creduto e lavorato al progetto: Elena Motto, Gianluca Cavalli, Marco Croce, Maurizio Oviglia e a Fabrizio Ferrari con il quale abbiamo aperto il nuovo cantiere sullo spigolo “ A fil di pagina”, mai stare fermi… per invecchiare bene.
SCHEDA: Le Pagine di Pietra, Alpi Graie, Gran Paradiso
La Storia
Il 1980 è l’anno in cui Bob Marley fece ben due concerti in Italia, tra cui uno a Torino. Non so come ma avevo due preziosi biglietti. Invitai la più bella del reame che mi tirò un sonoro bidone! Rimasi solo e colpito nell’onore ma andai lo stesso. Fu uno dei più bei concerti che io ricordi. Ricordare è una parola grossa perché lo stadio era un unico cannone fumante con gente che ballava a suon di Reggae. Nessuno immaginava che sarebbe stato un appuntamento con la storia, pochi mesi dopo, Bob Marley lasciò, avvolto nella sua chioma rasta il mondo dei mortali. Poco male, io ero antico e avevo ancora nel mio mangiacassette i Creedence Clearwater Revival, quelli, per chi li ricorda, di “ Have you ever seen the rain” e non ne soffrii più di tanto.
Anche quell’anno, il 1980, l’autunno arrivò e come sempre la Scuola Gervasutti si ritrovò all’uscita delle Courbassere con i nuovi allievi. Si sa che dopo l’estate gli alpinisti tendano un po’ alla sindrome del pescatore, che narrano di pesci giganti allargando più possibile le braccia, ed era normale che gli istruttori sparassero le novità, raccontando di favolose scalate che inevitabilmente erano le più belle e le più dure.
Quell’anno Isidoro Meneghin era imbattibile, pur essendo molto attento a non rivelare i suoi terreni di caccia, aveva nel suo paniere molte prede tra cui una via nuova sul Pilastro Rosso del Bruillard aperta con Ugo Manera e compagni e la Strategia del Ragno sulla misteriosa parete dell’ Ancesieu. Via recentemente riportata alla luce da Adriano Trombetta e compagni con la variante di Manera del 1981. Fu così che tra una battuta e l’altra raccontai ad Isidoro della mia ricerca della fessura perfetta, da salire clean, possibilmente senza bong, ma con nut ed excentric. Avevo già scovato e scalato il Diedro Atomico e la Fessura Sitting Bull, fino ad allora tra i tiri più impegnativi della Valle dell’Orco, lui sembrò interessato fino a farmi una proposta.
Ci ritrovammo così , pochi giorni prima di Natale, in Val Soana dove inizia il Vallone di Forzo. L’obiettivo era una piccola parete con una delle più lunghe fessure che avessi mai visto, 55 metri . Un gioiello, ma difeso da muraglioni erbosi da tutti i lati e apparentemente poco accessibile. Non so come, ma Isidoro, maestro di terreni scabrosi superò la giungla verticale e mi piazzò alla base della fessura. Mi disse Giordino è tutta tua. E scoppio in quella sua risata a scatti che aveva qualcosa di sfidante. La situazione non era delle migliori, non esistevano i friend e con quattro excentric di diversa misura, senza bong la prospettiva di rimanere incatramato senza materiale era molto probabile.
La fessura era più facile di quelle che avevo già scalato ma era dannatamente lunga e di larghezza abbastanza regolare. Andai fin dove potevo e poi finì la corda da 40 metri. Mi rimase solo un excentric che per l’occasione piantai a martellate, dovendo servire da unico ancoraggio di sosta per me , Isidoro e Biagio Merlo, detto Blaise, il terzo componente della cordata. Arrivai poi in sosta grazie a delle pietre incastrate che avevo raccolto e martellato. Ma mi salvarono anche gli scarponcini rigidi che da vero grezzo spesso preferivo alle famose scarpette EB Supergratton. Le scarpe a suola Vibram si incastravano come su una scala e mi permisero di salire fino alla betulla salvifica, che ancora oggi troneggia sul bellissimo terrazzino in cima alla parete.
Ci calammo poi sugli alberi che non mancavano e al buio sbucammo dalla Jungla sulla strada. Le sorprese non erano finite, un guardia parco appostato ci teneva d’occhio da un po’ ed era sicuro di aver pinzato tre bracconieri! Non ci credeva che fossimo andati a scalare su per i boschi, gli alpinisti seri andavano sulle montagne. Non era aggiornato alle visioni del Nuovo Mattino e con modi rudi, sicuro del fatto suo ci fece smontare zaini e bagagliaio dell’auto certo di trovare le armi o la testa di uno stambecco.
Insomma una bella avventura in cui ci trascinò Isidoro, un grandissimo esploratore. A lui dobbiamo la scoperta di tante pareti anche minori come alcune in Val di Susa. Forse la scalata libera non era il suo pezzo forte, ma a costo di chiodature estreme passava dove gli altri si fermavano. Non si spaventava di terreni erbosi ed infidi, non badava all’estetica, lui si nutriva della pura lotta con la parete.
La Riscoperta
La fessura, come tante avventure da ragazzi cadde nell’oblio, e anche Isidoro, molto più a suo agio sulle pareti che tra la gente, ci lasciò nel 1989 per un fatale incidente alla Rocca Sbarua, nel Pinerolese. Le Pagine di Pietra nate nell’inverno del 1980 chiudono un ‘epoca, un modo di scalare all’ora nuovo per noi, inaugurato da Galante e Bonelli nel 1974 con la Fessura della Disperazione. Si trattava di scalare tratti molto lunghi difficilmente proteggibili in arrampicata libera, per poi fermarsi col fiato grosso al primo ancoraggio possibile.
Le fessure della valle dell’Orco erano il terreno ideale per questo modo di scalare, come lo saranno più a est le placche improteggibili per i visionari ragazzi della valle di Mello. Quando Gian Carlo Grassi apre a suon di chiodi e staffe la Cannabis al Sergent, Danilo Galante, suo secondo, adocchia quello che nessuno vedeva, la vicina Fessura della Disperazione che scalerà con Roberto Bonelli tirando la libera al massimo e assumendosi rischi mortali.
Di recente Bonelli mi ha raccontato che sulla Disperazione era la prima volta che scalava su granito e non era mai stato in valle dell’Orco! Se si aggiunge che aveva iniziato ad arrampicare con Grassi solo l’autunno precedente, si ha idea di quanto naif e spontanea fosse la scalata rispetto ad ora. Gli anni ’70 sono stati anni in cui è cambiata ogni cosa, ma ne eravamo del tutto “inconsapevoli,” come dice Bonelli .
Nella seconda metà degli anni 70, un manipolo di ragazzi segue le orme dei due apripista, lo stesso Alessandro Gogna, già alpinista di fama, vede con lungimiranza la nuova realtà e cura talenti come Beuchod, Marantonio e lo stesso Bonelli raccontandone le gesta nei suoi libri. Quel modo di scalare, fatto di grande controllo del rischio, fino all’estremo, è stato naif e spontaneo fino al 1980. Poi tutto è cambiato, le riviste hanno diffuso le imprese dei primi free climber, dei gradi oltre al settimo superati nelle falesie francesi, si parlava di allenamento, delle prime discussioni sulle protezioni fisse e del concetto di resting. Vedevamo stupiti cose nuove, ma avevamo per sempre perso la spontaneità, anche l’abbigliamento non era più lo stesso, nasceva un business intorno all’arrampicatore.
Non vi è alcun collegamento, come come erroneamente si dice, tra la scalata degli anni 70 in valle dell’Orco e l’arrampicata sportiva, sono due mondi agli antipodi. Uno fatto di improvvisazione, talento naturale e controllo del rischio fino all’estremo, l’atro fatto di allenamento, eliminazione del rischio e dedizione semiprofessionale. Non è un caso che quasi nessuno dei “pionieri” degli anni ’70 della valle dell’Orco sia diventato un campione dell’arrampicata sportiva, idem per la val di Mello. Quel modo di scalare si è estinto, troppo elitario e rischioso, non aveva più senso nel mondo sicuro e iperprotettivo nel quale ci incamminavamo.
Come sempre ad ogni salto generazionale appare l’uomo nuovo e da noi si chiama Marco Bernardi. Fece le sue prime comparse in valle dell’Orco con lo stile naif intorno al 1980, aprendo tiri improteggibili come il camino che porta il suo nome, per poi sposare con successo il nuovo credo dell’arrampicata sportiva. Ecco dunque perché la via delle Pagine di Pietra non si chiama come tante fessure larghe dell’epoca la via dei cunei (di legno) o dei Bong per salire in artificiale. Ecco perché quel roccione insignificante buttato in mezzo ad un bosco verticale, ha risvegliato il vecchio Neanderthal che ero, naif e inconsapevole.
La sorella di Meneghin, Mara, ha conservato e poi dato ai suoi amici il quaderno con tutte le relazioni di Isidoro. Sfogliandolo, dopo la sua scomparsa, ho visto con sorpresa la relazione delle Pagine di Pietra, compilata all’epoca come un verbale dei carabinieri; Meneghin sottolinea compiaciuto che la fessura è stata superata interamente in scalata libera!
Può far sorridere ora, il grado moderno è 6a/6a+ giusto per la continuità, ed io stesso avevo già fatto fessure ben più difficili, ma questa era maledettamente lunga e con quattro excentric diversi scalarla e attrezzare pure la sosta (perché le corde erano più corte) sarebbe un bel problema anche adesso. A venti anni ci si crede immortali ed ebbi anche fortuna a cavarmela senza danni.
Tornato dal meeting Trad del Galles organizzato dal BMC nel 2011, mi è sembrato interessante rendere fruibile a tutti il nostro Dinas Cromlech. Quello originale famosissimo nei pressi del Llanberis pass , è una parete a forma di libro aperto con un Left wall e un Right wall dove è passata la storia dell’arrampicata britannica da Joe Brown a Ron Fawcett. Avendolo scalato, posso dirvi che assomiglia in modo incredibile alle Pagine di Pietra.
Un manipolo di amici volenterosi mi ha aiutato dunque a riesumare le Pagine di Pietra, a togliere quintali d’erba e terra sulle placche e sulle fessure sottostanti , per creare dei tiri nuovi e raggiungere il diamante con la fessura, protetto da ogni lato da precipizi erbosi. Lavorando, spesso anche da solo a questa impresa da folle, ho goduto di questo posto incantevole, che conserva quel fascino primordiale che un tempo aveva la valle dell’Orco.
Alle pagine di Pietra si può scalare tutto l’anno, se non c’è neve, il mio intento è quello di offrire ai giovani una palestra per misurarsi con un tiro trad, facile, ma impegnativo da un punto di vista psicologico. Pur con la comodità dei friend di oggi, bisogna comunque saper calcolare la distanza delle protezioni, o finiscono subito.
I tiri per arrivare alla base sono divertenti e già si usano i friend, arrivati in cima poi c’è la sorpresa più bella, sembra pensata da un creatore di giardini. Un praticello sospeso con betulla, al quale bisogna assolutamente arrivare. Vietate le barrette stitiche e la fretta di scendere. Godetevi l’incanto, l’isolamento e la vista, meditate, praticate lo “ slow climbing”! Alla vecchia maniera anni ’70 rifornitevi negli splendidi negozi di Ronco, dove si trovano tome di vario tipo, il prosciutto e le mocette della val Soana. Una bella bottiglia di vino, vi agevolerà sulle doppie! Buon divertimento.
Andrea Giorda
Grazie di cuore agli amici che hanno creduto e lavorato al progetto: Elena Motto, Gianluca Cavalli, Marco Croce, Maurizio Oviglia e a Fabrizio Ferrari con il quale abbiamo aperto il nuovo cantiere sullo spigolo “ A fil di pagina”, mai stare fermi… per invecchiare bene.
SCHEDA: Le Pagine di Pietra, Alpi Graie, Gran Paradiso
PS: Devo dire che di quel 1980 ricordavo il bidone della bella al concerto di Bob Marley, Isidoro purtroppo ci aveva lasciati nel 1989, in seguito ad un banale incidente alla Rocca Sbarua, …. e il fessurone era ritornato nell’oblio come tante avventure da ragazzi. l fessurone fece in modo di riemergere dall’oblio anche della mia memoria. La sorella Mara, una simpatica e vivace ragazza dai capelli color carota ….
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