Lasciatela in pace. Riflessioni dopo il salvataggio in grotta Bueno Fonteno
È di questa mattina la bella notizia che la speleologa, di cui non farò il nome perché non necessario per questa riflessione, infortunatasi nella grotta Bueno Fonteno è stata portata in superficie e affidata al sistema sanitario per le opportune cure. Un plauso al Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico (Cnsas) del Cai e alle donne e uomini impegnate nel soccorso. Ho volutamente atteso la conclusione dell’intervento di soccorso per scrivere le riflessioni che seguono.
Negli ultimi giorni, il nome della donna esperta speleologa - appassionata di avventura - è finito sotto i riflettori dei "leoni da tastiera" per ragioni tutt'altro che lusinghiere. Non per le sue competenze, la sua dedizione o il suo contributo a una disciplina tanto affascinante quanto relativamente pericolosa come la speleologia, ma per il classico assalto sui social che mette in luce un problema molto più profondo della polemica stessa: la mancanza di rispetto e di consapevolezza collettiva.
Il caso: quando l'indignazione online prende il sopravvento
La storia, come dicevamo, è quella di un'appassionata esperta, impegnata in un'avventura esplorativa e culturale, che a causa di un infortunio ha avuto bisogno un intervento di soccorso. Il fatto che, sfortunatamente, questo non sia il primo infortunio che le è occorso non significa che sia una "pazza scatenata".
Come troppo spesso accade, i social network si sono trasformati in un'arena di critiche gratuite e commenti velenosi. Beninteso, noi non li demonizziamo affatto: sono strumenti potenti e utili, ma certamente le piattaforme dovrebbero migliorare le policy di utilizzo per gli utenti. Ma questo è un tema che non affrontiamo qui.
"Se l'è cercata", "Perché andate in posti del genere? Paghi da sola il conto!": frasi ripetute con sconcertante leggerezza da chi, probabilmente, ignora non solo cosa significhi esplorare una grotta, ma anche che cosa sia la speleologia.
In tutta onestà, queste parole le leggiamo anche quando si grida alla "montagna assassina" ogni volta che la cronaca ci racconta di un incidente in alpinismo o in montagna.
Chi pratica l’avventura con responsabilità sa perfettamente di muoversi in un ambiente che lo espone a qualche pericolo e, proprio per questo, si forma per diminuire il rischio di incidenti. L’accettazione del rischio fa parte, è connessa con ogni pratica esplorativa.
Il ruolo della speleologia: una passione e una disciplina
Prima di giudicare chi pratica speleologia, fermiamoci un attimo a riflettere. La speleologia non è un hobby sconsiderato o un capriccio personale: è una disciplina, mossa da una grande passione, che esplora territori inesplorati, studia ecosistemi unici e contribuisce alla ricerca ambientale. Speleologi come la protagonista di questa storia non sono "avventurieri sprovveduti", ma persone che si sono formate attraverso specifici corsi e che si spingono in luoghi remoti per aggiungere tasselli alla conoscenza del mondo sotterraneo. Possono essere definiti come gli ultimi esploratori, o, come spesso amano rappresentarsi, "geografi del vuoto". È bene aggiungere che per esplorare una grotta, e ancora di più un sistema complesso occorre molto tempo, mesi e anni, e quindi ci si torna più e più volte: ecco perché può capitare di farsi male due volte.
Il soccorso speleologico: l’espressione di una comunità solidale
Il soccorso speleologico, è fatto di speleologi e speleologhe. Si tratta di una comunità che soccorre se stessa, e non potrebbe essere altrimenti: per poter aiutare chi si fa male in grotta bisogna sapersi muovere all’interno delle cavità naturali, capacità che si apprende con la frequentazione continua. Solo dopo questo percorso si è pronti per entrare nel soccorso speleologico. Da quel momento inizia una formazione specifica con il CNSAS; una volta raggiunta la qualifica di soccorritore o soccorritrice, si partecipa a esercitazioni specifiche e ci si sottopone a verifiche periodiche.
Il CNSAS è composto per la stragrande maggioranza da volontari: donne e uomini che si mettono a disposizione, sanno cosa rischiano e rigettano la stucchevole retorica dell’eroe. Il volontariato e la solidarietà sono pilastri di una società civile.
Scrivere come abbiamo letto in alcuni post che qualcuno venga lasciato al proprio destino solo perché non condividiamo le sue passioni e affronta avventure che ci spaventano è non solo disumano, ma tradisce un totale fraintendimento della convivenza sociale.
La violenza delle parole: l'effetto dei social
Il caso di cui ci stiamo occupando è solo l'ultimo esempio di una tendenza pericolosa: l'attacco gratuito online. Protetti dalla distanza di uno schermo, sempre più persone si sentono autorizzate a riversare frustrazione e giudizi sommari su chiunque finisca sotto i riflettori. Alla domanda: Chi ne trae beneficio? La risposta è chiara: nessuno, a parte la stupida vanità degli haters. Commenti pieni di livore non aiutano, non portano valore e, soprattutto, feriscono chi ne è vittima e in fondo offendono anche chi sta prestando soccorso.
Sappiamo perfettamente che, per quanto riguarda la montagna (molto difficilmente le grotte), purtroppo, e in particolare dopo la pandemia, il numero di frequentatori improvvisati, tecnicamente e culturalmente impreparati, è aumentato e con essi gli incidenti. Anche in questi casi, però, la gogna sui social non serve.
Lasciatela in pace: riflessioni finali
Dietro un nome, dietro una storia, c'è sempre una persona. Una persona che ha una dignità, degli affetti, dei sogni, delle paure e un obiettivo. Prima di scrivere un commento offensivo, fermiamoci. Pensiamo a cosa stiamo aggiungendo alla discussione. Cosa sappiamo davvero di questa persona? Chi ci autorizza a dire che è imprudente?
Antonello Valentini, giornalista ed ex dirigente della FIGC, sul suo profilo X dopo aver correttamente scritto che la vita va salvata a ogni costo, ha aggiunto che la speleologa "va indagata per imprudenza e presentare il conto delle spese". Quali siano le sue esperienze di speleologia per parlare di imprudenza non è dato saperlo, ma si vede che questo Paese non è solo pieno di provetti allenatori di calcio da bar, ma anche di provetti speleologi da social. Ho scelto il post di Valentini tra i tanti perché proviene da un uomo che ha avuto a che fare con lo sport, anche professionistico, e dovrebbe sapere che gli incidenti capitano a tutti.
Il sistema dell’emergenza eroga gratuitamente le prestazioni di soccorso ed è un supporto vitale che riguarda tutti noi: dagli incidenti in montagna a quelli in mare, al ciclismo e alle emergenze urbane. Quale è la ragione per cui chi si fa male in grotta o in montagna dovrebbe pagare?
Torniamo al tema di questa riflessione.
È così difficile mostrare empatia? O, se proprio non condividiamo le scelte di qualcuno, è così complicato restare in silenzio? Questa donna non merita tutta questa violenza verbale, così come non lo merita chi, con cognizione e competenza, sceglie l'avventura e resta vittima di un incidente. Merita rispetto, comprensione e, soprattutto, quella cosa che troppo spesso manca: umanità.
E allora, leoni e leonesse da tastiera, lasciatela (e lasciateci) in pace così che si riprenda presto e in serenità.
di Luca Calzolari