La 'festa' del Papà
Ivo Ferrari e la responsabilità di essere il papà che guida il figlio su una via di arrampicata.
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Arrampicata al Falzarego (Dolomiti)
Ivo Ferrari
Una responsabilità “pesante” che mi fa toccare gli appigli come non ho mai fatto, mi guardo attorno, sento tutto quello che riesco a sentire, movimenti lenti, calcolati... al punto tale da credere di potere andare oltre, di superare il “sapere” del non può, del non deve succedere niente. Perché lo faccio, per Lui o per me? dovrei... un sacco di domande senza senso come del resto ha poco senso quello che faccio da diversi anni a questa parte. Ma oggi è diverso, mischiato, aggrappato al dubbio c’è una gioia immensa, indescrivibile, quel tipo di felicità che mi fa pisciare addosso: legato dall’altra parte della corda c’è mio figlio, quello che io simpaticamente chiamo, il mio erede, e non in roccia, sì, perché non voglio, non vorrei che prendesse la passione del suo papà, ma il destino deciderà!
La giornata è azzurra e Lui mi ha chiesto una cima, non la solita palestrina dove giocare al su e giù, ma una cima fatta a punta, dove bisogna stare seduti a guardare il cielo, dove non ci siano mucche e fiori, ma vuoto e aria. L’abitudine persa di cercare linea addomesticate mi obbliga ha comprare diverse guide, leggere pagine nell’etere cercando la “linea” che faccia al caso suo... al caso mio.
La giornata è limpida quando usciamo dal furgone, un’abbondante colazione e lo zaino pronto già dal giorno prima, salutiamo la Mamma e la sorellina. Questa è bella ma troppo dura, questa è bella ma troppo lunga, questa non porta su una cima... Al caso nostro c’è il Falzarego con tutte le sue linee “preparate”. Lui cammina spedito, quasi non sentisse fatica, scarpe da montagna, vestiario tecnico; un piccolo alpinista che non conosce paura. Io, invece sono tremendamente rilassato... nella paura! Una sensazione bella, forse, ma da nascondere dietro il sorriso o sotto il peso dello zaino.
Arriviamo alla base e Lui inizia a parlare, non ha mai smesso. Imbragatura, casco e avanti, parto per la prima lunghezza, divento leggero e inizio a proteggermi come non ricordavo si potesse fare, anni di solitarie e linee “lunghe” con Amici disposti al gioco mi avevano fatto dimenticare che il gioco in fin dei conti è sempre uguale, a secondo di come vuoi giocare.
Lui mi segue ad ogni lunghezza, parla in continuazione, recupera le protezione e commenta ciò che vede. Io sono il papà, la vita ha deciso così ed ora sono la sua “guida”, il suo “esempio” (povero!!). Dai suoi occhi vedo allegria e spensieratezza, felicità di essere qui, di dimostrarmi o dimostrarsi di essere in grado di salire. Quattro lunghezze dopo siamo sulla cima desiderata, un vento caldo ci tiene compagnia, gli porgo la mano e Lui sorridente mi dice “Bello papà, la Mamma ci starà guardando?”.
Rimaniamo lì, seduti uno accanto all’altro, la mia tensione è diminuita ma non sparita, il mio battito di cuore leggermente rallentato. Vorrei gridare, forse direi anche qualche parolaccia, ma non mi sembra il caso, sorrido e lo stringo a me.
Ad una ad una indico le Montagne che abbiamo dinnanzi, spiego i versanti e invento storie. E' ora di scendere, legati e vicini ci portiamo alla doppia, dove abbracciato (e legato) al suo papà scende velocemente con i piedi nel vuoto. Vorrei sentire le sue sensazioni, ma non smette di parlare un secondo, forse sono quelle le sensazioni.
Alla base incontriamo il “resto” importante di noi due, la Mamma e Marinella che dopo un sorriso bianchissimo e con la semplicità dei suoi sei anni dice: “Dario, ti abbiamo visto scalare, sei stato proprio bravo”, ed io... mi rifaccio la pipì addosso!
Ivo Ferrari
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La giornata è azzurra e Lui mi ha chiesto una cima, non la solita palestrina dove giocare al su e giù, ma una cima fatta a punta, dove bisogna stare seduti a guardare il cielo, dove non ci siano mucche e fiori, ma vuoto e aria. L’abitudine persa di cercare linea addomesticate mi obbliga ha comprare diverse guide, leggere pagine nell’etere cercando la “linea” che faccia al caso suo... al caso mio.
La giornata è limpida quando usciamo dal furgone, un’abbondante colazione e lo zaino pronto già dal giorno prima, salutiamo la Mamma e la sorellina. Questa è bella ma troppo dura, questa è bella ma troppo lunga, questa non porta su una cima... Al caso nostro c’è il Falzarego con tutte le sue linee “preparate”. Lui cammina spedito, quasi non sentisse fatica, scarpe da montagna, vestiario tecnico; un piccolo alpinista che non conosce paura. Io, invece sono tremendamente rilassato... nella paura! Una sensazione bella, forse, ma da nascondere dietro il sorriso o sotto il peso dello zaino.
Arriviamo alla base e Lui inizia a parlare, non ha mai smesso. Imbragatura, casco e avanti, parto per la prima lunghezza, divento leggero e inizio a proteggermi come non ricordavo si potesse fare, anni di solitarie e linee “lunghe” con Amici disposti al gioco mi avevano fatto dimenticare che il gioco in fin dei conti è sempre uguale, a secondo di come vuoi giocare.
Lui mi segue ad ogni lunghezza, parla in continuazione, recupera le protezione e commenta ciò che vede. Io sono il papà, la vita ha deciso così ed ora sono la sua “guida”, il suo “esempio” (povero!!). Dai suoi occhi vedo allegria e spensieratezza, felicità di essere qui, di dimostrarmi o dimostrarsi di essere in grado di salire. Quattro lunghezze dopo siamo sulla cima desiderata, un vento caldo ci tiene compagnia, gli porgo la mano e Lui sorridente mi dice “Bello papà, la Mamma ci starà guardando?”.
Rimaniamo lì, seduti uno accanto all’altro, la mia tensione è diminuita ma non sparita, il mio battito di cuore leggermente rallentato. Vorrei gridare, forse direi anche qualche parolaccia, ma non mi sembra il caso, sorrido e lo stringo a me.
Ad una ad una indico le Montagne che abbiamo dinnanzi, spiego i versanti e invento storie. E' ora di scendere, legati e vicini ci portiamo alla doppia, dove abbracciato (e legato) al suo papà scende velocemente con i piedi nel vuoto. Vorrei sentire le sue sensazioni, ma non smette di parlare un secondo, forse sono quelle le sensazioni.
Alla base incontriamo il “resto” importante di noi due, la Mamma e Marinella che dopo un sorriso bianchissimo e con la semplicità dei suoi sei anni dice: “Dario, ti abbiamo visto scalare, sei stato proprio bravo”, ed io... mi rifaccio la pipì addosso!
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