Il Mottarone raccontato da Alberto Paleari
Alberto Paleari presenta il Mottarone, la montagna - tra i laghi Maggiore e di Orta - di cui recentemente ha stilato la guida: Arrampicare, camminare, conoscere il Mottarone.
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La cresta delle principesse (Mottarone)
Alberto Paleari
Quando è arrivata in redazione la presentazione della nuova guida di Alberto Paleari, “Arrampicare, camminare, conoscere il Mottarone”, da subito ci hanno incuriosito alcune visioni. Come quella “via di 21 tiri...” la più lunga del Mottarone. E poi quel richiamo al “granito rosa”, e ancora quel "montagna umile" che richiama alla memoria un luogo sincero, non sfruttato e "naturale", quasi d'altri tempi. Insomma, quelle parole ci hanno ricordato un territorio e una montagna in cui ritrovarsi e “perdersi”. E subito ci è venuta voglia di chiedere ad Alberto Paleari di descrivercelo un po' di più. Per il resto, ovviamente, c'è la sua nuova guida.
IL MOTTARONE UMILE E SCONOSCIUTO di Alberto Paleari
Il Mottarone è il primo cucuzzolo erboso che lo sguardo incontra dirigendosi verso le Alpi dalla pianura lombarda o dalle risaie del novarese e del vercellese. Poco più di una collina, anche se l’altezza di 1491 metri lo include fra i monti, sorge a cavallo dei laghi Maggiore e di Orta.
Che si possa arrampicare al Mottarone, guardandolo appunto dalle risaie, cioè da sud, o dal lago Maggiore, cioè da est, sembra impossibile, se si intende l’arrampicata come uno sport che si fa sulla roccia. Infatti da questo lato ci sono solo prati, boschi e borghi ameni. E’ guardandolo dal lago d’Orta, da Omegna e ancor più da Crusinallo, ossia da ovest, che il Mottarone, come un animale preistorico, un mammut accucciato con la schiena rivolta al lago Maggiore e le zampacce, gli artigli, il muso solcato da rughe profonde, le zanne fatte di pilastri di granito, mostra la sua faccia che direi più selvaggia, se l’aggettivo non ricordasse le selve.
Selve che qui ci sono, è vero, ma annichilite da precipizi di roccia e pareti altissime, creste e spigoli taglienti, costoloni di roccia arrotondati da antichi ghiacciai, sentinelle di granito rosa che dal fondovalle salgono fino al cielo, statue di granito alte trecento e più metri, simili agli idoli dell’isola di Pasqua, delle quali, mentre risali la ripida traccia di sentiero, tra massi traballanti, e ti attacchi alla radice di un castagno affiorante dal terriccio per non perdere l’equilibrio, mentre il sudore ti cola negli occhi facendoteli bruciare, senti lo sguardo che ti fissa tra la nuca e il centro del cervello.
Il Mottarone è una delle montagne più frequentate della regione: d’inverno dagli sciatori, in estate dagli amanti della tintarella che stendono le loro coperte sui prati ai bordi della strada. Ma basta camminare un quarto d’ora e non c’è più nessuno, è l’Arcadia: un gregge di pecore, le capre che dovete scacciare e il capraio che invece vi sfugge, più selvatico dei suoi animali.
In cielo il volo di una coppia di aquile vi invita a trarre auspici, come gli antichi. Mentre siete in sosta, velocissimi, quattro caprioli attraversano un costone erboso più ripido delle rocce su cui state arrampicando: il vostro compagno sta salendo dietro uno spigolo, non li vede, quando arriva in sosta i caprioli sono già spariti in un’altra valle.
Storia alpinistica
I primi ad arrampicare al Mottarone furono per la storia alpinistica gli omegnesi Isolo Rasi, Carlo Alberti, Emilio Caldirola con l’esploratore di Borgomanero Pietro Ghiglione. Salirono nel 1948 una guglia che chiamarono Pizzo S.E.O.
Questa guglia è senza dubbio la più alta di quella che ora si chiama Cresta delle Principesse, percorsa interamente solo nel 2006 dagli alpinisti austriaci Andrea e Florian Kluckner con Heinz Grill (gli stessi delle vie moderne di Arco di Trento). La cresta delle Principesse è la via più lunga del Mottarone, 21 tiri, con difficoltà fino al 6b/A1.
Dalla fine degli anni ’70 al 2001 furono aperti soprattutto monotiri e vie brevi sulle rocce inclinate e arrotondate del settore Sass Buticc e più tardi sulla pareti più ripide e articolate delle palestre della Rossa e del Monolito.
Tra gli scopritori di queste falesie ricordo gli alpinisti di Arona (Giovanni Pucci, Claudio e Fabio Sora, Ivano Bellodi, Sandro Magri , Carlo Zonca) e di Novara (Giorgio Francese, Marco Ricci, Fabio Spatola) e inoltre le guide alpine Marco Fanchini e Massimo Medina, più tardi anche Mauro Rossi, Martino Moretti, Giuseppe Enzio, quasi sempre con l’alpinista di Omegna Luciano Manganilo, prematuramente scomparso l’anno scorso, che alla roccia del Mottarone dedicò tanto del suo tempo e della sua vita. Tra i giovani l’alpinista locale Massimo Bodi.
Ma incredibilmente è solo nel 2001 che comincia l’esplorazione della zona più interessante della montagna: i Pilastri occidentali, con l’apertura delle vie: Don’t cry for me Valentina (Maurizio Pellizzon, Alberto Paleari, 12 tiri, 6a+) ed Escursione Termica (sempre di Pellizzon e Paleari, 7b).
Nel 2003 si stabilisce ad Armeno, sulle pendici del Mottarone, la guida austriaca Florian Gluckner, che apre in solitaria la Via del Compleanno (5 tiri, 6c) e subito dopo (2005) con Alberto Paleari la Via delle Guide ( 8 tiri, 6b) e una serie di vie tutte molto belle, dalle facili Via delle Capre e via Carina, aperte in solitaria, alla bellissima Via delle tre guglie ( 7 tiri, 6b+, con la moglie Andrea) e la già citata Cresta delle Principesse.
Con la guida Donato Nolè, Alberto Paleari apre (nel 2006) Incredibile (6 tiri, 6c+) e Il canto delle Sirene (8 tiri, 6b).
Di fianco a Don’t cry for me Valentina Massimo Bodi con Pierangelo Lavarini e Diego Vinzia aprono nel 2007 Il Sogno è Libero (5 tiri, 6b+) e con la guida Francesco Vaudo, Artisti verticali (5 tiri , 6c).
L’ultimo settore scoperto, molto bello e con possibilità di apertura di molte nuove vie lunghe, è il Settore Bertogna. La via cui più bella è per ora Infanzia Berlinese (Florian Kluckner, Alberto Paleari, Luigi Ranzani , 5 tiri, 6a+).
Lo stile delle vie
Tutte le vie sui pilastri occidentali del Mottarone sono state aperte e chiodate dal basso, alcune però dopo una perlustrazione e una pulitura delle fessure dall’alto. La bassa quota e la vegetazione che ricresce rigogliosa ogni estate fanno preferire l’arrampicata autunnale e primaverile. Anche l’inverno è ottimo quando la neve sui prati e nei canaloni che portano agli attacchi delle vie è assestata. Le rocce, quasi sempre esposte a sud-ovest o a ovest, si puliscono subito dalla neve e la temperatura al pomeriggio è spesso piacevole anche nella stagione fredda.
Arrampicare al Mottarone richiede una certa dose di understatement, la montagna è modesta, non dà gloria, qui non si compiono grandi imprese. La forza poi, su queste placche lisce, e persino nelle fessure, serve a poco, di più servono l’audacia, la leggerezza, il dinamismo dei gesti e l’equilibrio.
La Roccia è un granito solidissimo e compatto, di colore prevalentemente grigio ma con vaste zone rosa o addirittura arancione, è il granito rosa di Baveno, che viene estratto ed esportato in tutto il mondo.
I tiri classici delle falesie sono facilmente raggiungibili su sentieri ben segnalati, e si trovano in luoghi bellissimi e ameni, adatti anche a portarci i bambini. Invece per le vie lunghe dei Pilastri occidentali il discorso è diverso.
Negli ultimi anni, anche se è un po’ più frequentati , i Pilastri occidentali sono rimasti selvaggi, i sentieri di accesso fanno fatica a formarsi; ogni estate si inerbiscono e ogni autunno bisogna strappare rovi e felci, già arrivare agli attacchi spesso è un’avventura, occorrono le doti dei vecchi alpinisti: sicurezza, piede fermo, non aver paura dell’esposizione e del terreno infido.
Eppure questa zona del Mottarone potrebbe diventare l’equivalente su granito della calcarea e dolomitica Grignetta. Non gli manca nulla: la quota relativamente bassa, la facilità di accesso dalle città e soprattutto da Milano, la varietà delle vie, per non dire ancora una volta della loro bellezza. Se fosse più frequentata il semplice passaggio degli alpinisti migliorerebbe i sentieri, ma se ogni alpinista strappasse un rovo o una felce, o rimuovesse un ramo caduto sulla via, il miglioramento sarebbe più veloce.
Attenzione! Tutte le vie dei pilastri occidentali, anche le più facili, sono alpinistiche, gli spit sono spesso lontani, a volte bisogna integrarli con qualche protezione mobile, i gradi sono stati dati con severità, ma poi, quando si è lì, soli, con la roccia tiepida e ruvida sotto le mani, in quei lunghi e caldi pomeriggi autunnali, che pace! Che bellezza! E una volta tornati a casa che dolcezza di ricordi resta nel cuore!
Alberto Paleari.
Alberto Paleari fa la guida alpina da 38 anni e gli piace ancora come la prima volta. Da sempre ama la lettura e la scrittura almeno quanto l'alpinismo. Ha pubblicato tra glia altri: Il viaggio di Oreste P.; Kerguelen; La casa della contessa; Ci sfiorava il soffio delle valanghe; Una valanga sulla est; Il giorno dell'astragalo.
IL MOTTARONE UMILE E SCONOSCIUTO di Alberto Paleari
Il Mottarone è il primo cucuzzolo erboso che lo sguardo incontra dirigendosi verso le Alpi dalla pianura lombarda o dalle risaie del novarese e del vercellese. Poco più di una collina, anche se l’altezza di 1491 metri lo include fra i monti, sorge a cavallo dei laghi Maggiore e di Orta.
Che si possa arrampicare al Mottarone, guardandolo appunto dalle risaie, cioè da sud, o dal lago Maggiore, cioè da est, sembra impossibile, se si intende l’arrampicata come uno sport che si fa sulla roccia. Infatti da questo lato ci sono solo prati, boschi e borghi ameni. E’ guardandolo dal lago d’Orta, da Omegna e ancor più da Crusinallo, ossia da ovest, che il Mottarone, come un animale preistorico, un mammut accucciato con la schiena rivolta al lago Maggiore e le zampacce, gli artigli, il muso solcato da rughe profonde, le zanne fatte di pilastri di granito, mostra la sua faccia che direi più selvaggia, se l’aggettivo non ricordasse le selve.
Selve che qui ci sono, è vero, ma annichilite da precipizi di roccia e pareti altissime, creste e spigoli taglienti, costoloni di roccia arrotondati da antichi ghiacciai, sentinelle di granito rosa che dal fondovalle salgono fino al cielo, statue di granito alte trecento e più metri, simili agli idoli dell’isola di Pasqua, delle quali, mentre risali la ripida traccia di sentiero, tra massi traballanti, e ti attacchi alla radice di un castagno affiorante dal terriccio per non perdere l’equilibrio, mentre il sudore ti cola negli occhi facendoteli bruciare, senti lo sguardo che ti fissa tra la nuca e il centro del cervello.
Il Mottarone è una delle montagne più frequentate della regione: d’inverno dagli sciatori, in estate dagli amanti della tintarella che stendono le loro coperte sui prati ai bordi della strada. Ma basta camminare un quarto d’ora e non c’è più nessuno, è l’Arcadia: un gregge di pecore, le capre che dovete scacciare e il capraio che invece vi sfugge, più selvatico dei suoi animali.
In cielo il volo di una coppia di aquile vi invita a trarre auspici, come gli antichi. Mentre siete in sosta, velocissimi, quattro caprioli attraversano un costone erboso più ripido delle rocce su cui state arrampicando: il vostro compagno sta salendo dietro uno spigolo, non li vede, quando arriva in sosta i caprioli sono già spariti in un’altra valle.
Storia alpinistica
I primi ad arrampicare al Mottarone furono per la storia alpinistica gli omegnesi Isolo Rasi, Carlo Alberti, Emilio Caldirola con l’esploratore di Borgomanero Pietro Ghiglione. Salirono nel 1948 una guglia che chiamarono Pizzo S.E.O.
Questa guglia è senza dubbio la più alta di quella che ora si chiama Cresta delle Principesse, percorsa interamente solo nel 2006 dagli alpinisti austriaci Andrea e Florian Kluckner con Heinz Grill (gli stessi delle vie moderne di Arco di Trento). La cresta delle Principesse è la via più lunga del Mottarone, 21 tiri, con difficoltà fino al 6b/A1.
Dalla fine degli anni ’70 al 2001 furono aperti soprattutto monotiri e vie brevi sulle rocce inclinate e arrotondate del settore Sass Buticc e più tardi sulla pareti più ripide e articolate delle palestre della Rossa e del Monolito.
Tra gli scopritori di queste falesie ricordo gli alpinisti di Arona (Giovanni Pucci, Claudio e Fabio Sora, Ivano Bellodi, Sandro Magri , Carlo Zonca) e di Novara (Giorgio Francese, Marco Ricci, Fabio Spatola) e inoltre le guide alpine Marco Fanchini e Massimo Medina, più tardi anche Mauro Rossi, Martino Moretti, Giuseppe Enzio, quasi sempre con l’alpinista di Omegna Luciano Manganilo, prematuramente scomparso l’anno scorso, che alla roccia del Mottarone dedicò tanto del suo tempo e della sua vita. Tra i giovani l’alpinista locale Massimo Bodi.
Ma incredibilmente è solo nel 2001 che comincia l’esplorazione della zona più interessante della montagna: i Pilastri occidentali, con l’apertura delle vie: Don’t cry for me Valentina (Maurizio Pellizzon, Alberto Paleari, 12 tiri, 6a+) ed Escursione Termica (sempre di Pellizzon e Paleari, 7b).
Nel 2003 si stabilisce ad Armeno, sulle pendici del Mottarone, la guida austriaca Florian Gluckner, che apre in solitaria la Via del Compleanno (5 tiri, 6c) e subito dopo (2005) con Alberto Paleari la Via delle Guide ( 8 tiri, 6b) e una serie di vie tutte molto belle, dalle facili Via delle Capre e via Carina, aperte in solitaria, alla bellissima Via delle tre guglie ( 7 tiri, 6b+, con la moglie Andrea) e la già citata Cresta delle Principesse.
Con la guida Donato Nolè, Alberto Paleari apre (nel 2006) Incredibile (6 tiri, 6c+) e Il canto delle Sirene (8 tiri, 6b).
Di fianco a Don’t cry for me Valentina Massimo Bodi con Pierangelo Lavarini e Diego Vinzia aprono nel 2007 Il Sogno è Libero (5 tiri, 6b+) e con la guida Francesco Vaudo, Artisti verticali (5 tiri , 6c).
L’ultimo settore scoperto, molto bello e con possibilità di apertura di molte nuove vie lunghe, è il Settore Bertogna. La via cui più bella è per ora Infanzia Berlinese (Florian Kluckner, Alberto Paleari, Luigi Ranzani , 5 tiri, 6a+).
Lo stile delle vie
Tutte le vie sui pilastri occidentali del Mottarone sono state aperte e chiodate dal basso, alcune però dopo una perlustrazione e una pulitura delle fessure dall’alto. La bassa quota e la vegetazione che ricresce rigogliosa ogni estate fanno preferire l’arrampicata autunnale e primaverile. Anche l’inverno è ottimo quando la neve sui prati e nei canaloni che portano agli attacchi delle vie è assestata. Le rocce, quasi sempre esposte a sud-ovest o a ovest, si puliscono subito dalla neve e la temperatura al pomeriggio è spesso piacevole anche nella stagione fredda.
Arrampicare al Mottarone richiede una certa dose di understatement, la montagna è modesta, non dà gloria, qui non si compiono grandi imprese. La forza poi, su queste placche lisce, e persino nelle fessure, serve a poco, di più servono l’audacia, la leggerezza, il dinamismo dei gesti e l’equilibrio.
La Roccia è un granito solidissimo e compatto, di colore prevalentemente grigio ma con vaste zone rosa o addirittura arancione, è il granito rosa di Baveno, che viene estratto ed esportato in tutto il mondo.
I tiri classici delle falesie sono facilmente raggiungibili su sentieri ben segnalati, e si trovano in luoghi bellissimi e ameni, adatti anche a portarci i bambini. Invece per le vie lunghe dei Pilastri occidentali il discorso è diverso.
Negli ultimi anni, anche se è un po’ più frequentati , i Pilastri occidentali sono rimasti selvaggi, i sentieri di accesso fanno fatica a formarsi; ogni estate si inerbiscono e ogni autunno bisogna strappare rovi e felci, già arrivare agli attacchi spesso è un’avventura, occorrono le doti dei vecchi alpinisti: sicurezza, piede fermo, non aver paura dell’esposizione e del terreno infido.
Eppure questa zona del Mottarone potrebbe diventare l’equivalente su granito della calcarea e dolomitica Grignetta. Non gli manca nulla: la quota relativamente bassa, la facilità di accesso dalle città e soprattutto da Milano, la varietà delle vie, per non dire ancora una volta della loro bellezza. Se fosse più frequentata il semplice passaggio degli alpinisti migliorerebbe i sentieri, ma se ogni alpinista strappasse un rovo o una felce, o rimuovesse un ramo caduto sulla via, il miglioramento sarebbe più veloce.
Attenzione! Tutte le vie dei pilastri occidentali, anche le più facili, sono alpinistiche, gli spit sono spesso lontani, a volte bisogna integrarli con qualche protezione mobile, i gradi sono stati dati con severità, ma poi, quando si è lì, soli, con la roccia tiepida e ruvida sotto le mani, in quei lunghi e caldi pomeriggi autunnali, che pace! Che bellezza! E una volta tornati a casa che dolcezza di ricordi resta nel cuore!
Alberto Paleari.
Alberto Paleari fa la guida alpina da 38 anni e gli piace ancora come la prima volta. Da sempre ama la lettura e la scrittura almeno quanto l'alpinismo. Ha pubblicato tra glia altri: Il viaggio di Oreste P.; Kerguelen; La casa della contessa; Ci sfiorava il soffio delle valanghe; Una valanga sulla est; Il giorno dell'astragalo.
Note:
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