Hoggar e l'arrampicata nel deserto dell'Algeria

Il racconto di Luca Vallata e Richard Felderer del viaggio arrampicata nel massiccio dell’Hoggar in Algeria. Insieme a Federico Martinelli sono state ripetute e aperte diverse vie; spicca la prima salita di 'Les Hommes Bleus' su Dôme de l'Éléphant nel gruppo Tesnou.
1 / 25
Richard Felderer durante l'apertura di 'Les Hommes Bleus' su Dôme de l'Éléphant, Tesnou, Hoggar, Algeria (Richard Felderer, Federico Martinelli, Luca Vallata 11/2023)
archivio Luca Vallata

Nel 2023 ho passato assieme a Riki Felderer e Federico Martinelli i primi venti giorni di novembre arrampicando nel massiccio dell’Hoggar nel sud dell’Algeria. E quando scrivo sud, intendo sud-sud: per capirci, la città di riferimento, l’unica che per un raggio di 600 km abbia un piccolo aeroporto, si chiama Tamanrasset ed è più distante da Algeri di quanto Algeri sia da Milano!

Nel corso della nostra permanenza, accompagnati, o per meglio dire guidati, dai nostri amici Tuareg Ayub, Abdullah e Abdullah, abbiamo visitato tutti i rilievi principali della catena dell’Hoggar ad esclusione della zona del Garet El Djenoun.

In questo nostro vagabondare in jeep, dormendo ogni notte in tenda in un posto diverso, abbiamo in parte ripetuto e in parte aperto. Tra tutte, la nuova salita della quale siamo più fieri, per bellezza della linea, qualità della roccia e impegno dell’arrampicata, è sicuramente Les Hommes Bleus. Questa via sale il versante nord-ovest dell’incredibile struttura dell’Elephant nella zona del Tesnou. L’Elephant è appunto un mastodontico monolito di granito marrone a grana grossa che nasce dalla sabbia e dalla strana forma stondata. È l’ultimo rilievo a separare ad ovest una zona rocciosa dal deserto come noi lo immaginiamo.

La maggior parte delle vie che salgono questa cima sono itinerari di aderenza che attraversano pareti dall’appoggiato al molto appoggiato; la nostra segue invece l’unico sistema di fessure organico della montagna. I due tiri più difficili sono stati risolti da Federico, che è stato utilizzato, con liberale abuso di nonnismo da parte di me e Riki, come vittima sacrificale d’assalto. Quanto scrive di seguito Riki racconta bene le vicende dell’apertura e le dinamiche del nostro affezionato gruppo di amici. Aggiungo solo un commento al testo a beneficio del lettore: quando Riki dice di venire da "un periodo lavorativo intenso" (gli amici già sghignazzano)...non credetegli! La vita nel suo B&B in Sardegna è la cosa meno stressante possiate immaginare!

L’ambiente del deserto ha lasciato su di me una profonda impressione, così come il ritmo e lo stile di vita delle popolazioni Tuareg. Dal momento del ritorno a casa, per merito forse anche di un ascolto compulsivo di desert blues (vedi Tinariwen, Bombino e Mdou Moctar), avevo già deciso che sarei tornato l’anno successivo. "Credo che questo sia l’inizio di una bella amicizia", dicevo tra me e me. Così a novembre del 2024 ho accompagnato nella veste di guida alpina Filippo e Davide, nel Tesnou e sulle torri di trachite del sud. Con noi c’erano anche gli amici Fabio De Cesero e Olaf Lovat che ci hanno resi felici, tra un tè del deserto e l’altro, nel ripetere a vista Les Hommes, confermandone, per fortuna, la bellezza e la difficoltà.

di Luca Vallata

Il racconto di Richard Felderer

Ogni tanto, quando sono da solo in macchina, mi vengono in mente degli amici e semplicemente li chiamo per sentire come stanno. E così: "Ciao Luca, tutto bene?" Se qualcuno pensava a inizi più complicati, racconti epici o chissà quali altre questioni, si sbaglia. Questo viaggio, per me, nasce da una semplice chiamata a un amico che non sentivo da un po’: il Vallata. Lui e Martinelli erano già praticamente sicuri di partire, ma cercavano altri componenti, anche per abbattere i costi fissi del viaggio. Sì, perché, comunque si decida di andare, nel Sahara servono almeno due fuoristrada con relativi autisti. L’ipotesi che un mezzo si rompa o si insabbi e non ci sia un backup non è proprio pensabile!

E così, a neanche un mese dall’innocente telefonata, sono alla Malpensa col Martinelli. Vallata ci aspetta ad Algeri e non abbiamo ancora ben chiaro cosa andremo a fare. Sì, perché sia Federico che io usciamo da un periodo lavorativo intenso e non abbiamo avuto tempo per documentarci in maniera appropriata. E comunque anche volendo, le informazioni sono poche e non molto precise. Le uniche descrizioni un po’ in grazia di Dio mi erano arrivate da Marco Vago e Simone Pedeferri, che nel 2002 erano stati nella zona, dedicando però il più degli sforzi all’apertura di una via nuova al Garet. Vallata invece era riuscito ad acquistare una vecchia guida di Thomas Dulac, aggiornata al 2005! Comunque sia, ormai siamo in ballo e andiamo! Delle hostess nella zona degli imbarchi ci vedono dirigere verso il gate dell’Algeria e ci dicono "cosa?!? In Algeria? Ma siete matti? Cosa andate a fare lì? Nessuno va in Algeria!" Ci mettiamo a ridere… Cosa vorrà dire? All’aeroporto di Algeri, dopo un po’ di lungaggini burocratiche, ci riuniamo con Vallata e partiamo alla volta di Tamanrasset.

Siamo decisamente gli unici non algerini a bordo. E infatti alla nostra destinazione veniamo prelevati dalla polizia e per via del nostro inesistente francese non capiamo cosa vogliano. Dopo qualche quarto d’ora di sguardi perplessi e grazie all’aiuto delle nostre guide capiamo di essere graditi ospiti e che proprio per questo ci scorteranno fino al nostro alberghetto. Gli chiediamo come mai? "It’s super safe, don’t worry" ci ribadiscono. Ma, nonostante ciò, una camionetta di militari davanti e una dietro formano il nostro convoglio. Arriviamo all’albergo verso mezzanotte, ci congediamo dai simpatici militari e andiamo a dormire. Domani si parte per il deserto.

Facciamo un po’ di spesa in paese e via. Il nostro menù da scalatori prevede un giro nella zona di trachite a nord di Tamanrasset e poi di spostarci verso ovest, nelle zone del granito. La nostra idea è di esplorare un po’ e, nel caso ci fosse spazio, di aprire qualche via nuova. Si comincia subito con un iconico tacco Ihaghen, dove ci cimentiamo in una delle vie classiche per prendere confidenza con la roccia, le temperature e le esposizioni. Le notizie che avevamo a riguardo erano poche e confuse. C’era chi diceva di prepararci a temperature estreme, a escursioni termiche da inferno dantesco e ad altre leggende. Per cui, con la mano sempre sul freno a mano, facciamo i primi passi nel deserto, andando a scoprire cose abbastanza ovvie e altre un po’ meno.

La prima è che l’umidità è ovviamente inesistente e che, anche se fa caldo, non si suda, quindi c’è sempre un buon grip! La seconda è che l’escursione termica nel deserto è forte, ma non estrema come alcuni dicono. O quantomeno, la nostra esperienza è stata di notti fra i 5 e i 10 gradi (a volte anche di più) e giorni tra i 25 e i 28.

In tutto questo, spesso le nostre guide Tuareg ci guardano un po’ straniti: sembrano non comprendere appieno ciò che facciamo. Non capiscono perché non vogliamo tornare per pranzo e si raccomandano di portare molto cibo con noi. Tuttavia, sono estremamente cordiali e rispettosi e, malgrado il gap linguistico, troviamo subito un’ottima sintonia.

Il secondo giorno ci spostiamo a Adaouda, e anche qui partiamo subito per una bella via sulla parete ovest: Le Grand Diedre (Kollop, Troksiar – 1951), che ci impegna per mezza giornata. Da qui ci dirigiamo verso il Tizouyag Sud, che ci richiede una lunga giornata di pista fuoristrada tra oasi, distese di pietra infinite e qualche raro dromedario che ci guarda incuriosito. All’arrivo, la sorpresa è grandiosa: una bellissima parete di colonne di trachite che ci divide secondo le nostre passioni. Io che sbinoccolo solo le fessure, gli altri che guardano più ai pilastri e alle placche. Poco male, ce n’è per tutti. Con Martinelli ci regaliamo una veloce ripetizione della Nouvelle Lune (Franc, Gaudin, Petit, Robert – 2002). La notte è più fresca, qui siamo intorno ai 2000 metri, ma il freddo è ben altra cosa!

Abdoullah ci prepara una buona cena, e il giorno dopo, arricchiti dall’esperienza del giorno precedente, tentiamo l’apertura di una nuova via. Partiamo motivatissimi, ma una delle linee logiche era già stata presa da altri. Così, pieghiamo leggermente a sinistra e troviamo un pilastro vergine che cominciamo a salire con determinazione. La roccia, in alcuni punti, ci suggerisce cautela. I gradi sono tranquilli, Vallata buca dove serve, anche perché la trachite non è sempre esattamente solidissima e qui non è il caso di farsi male! Ciò nonostante, a un certo punto Federico entra in modalità "risparmio spit", prende il comando della cordata e parte per dei runout che metteranno a durissima prova i nervi dei ripetitori. Nasce così Federico non ti è amico.

La sera, riguardando i buchi del trapano col binocolo, scuoto la testa. Su delle placche improteggibili ci sono runout di 15 metri, a volte forse 20. Certo, la scalata è facile e su prese buone. Ma 20 metri… Queste considerazioni, insieme ad altre più interessanti su donne e governi, allietano la nostra giornata e mezzo di trasferimento verso le zone granitiche del nordest di Tamanrasset, dove visiteremo prima la zona del Tissalatine e successivamente ci dirigeremo verso l’Éléphant e il Garet el Djenoun. Federico è sempre allegro e canterino, e il nostro autista sembra gradire, ridacchiando felice con un forte accento: "Adriano Celentano! Ah! Ah! Ah!".

Sulla nord della Rhinocéros, dopo la veloce ripetizione di un bel itinerario (Dulac, Touvet – 2003), scoviamo una linea che sembra non essere stata precedentemente percorsa e ci ingaggiamo. Ne esce la divertente A nord di nessun sud, via di stampo decisamente mellico, con un caminone non banale, una traverso in placca facile ma pressoché improteggibile, e una bella fessurina che richiede impegno. Tre tiri di carattere per un pomeriggio intenso e uno dei soliti incredibili tramonti dalla cima di una parete, con un panorama pazzesco e le luci che si spengono sul deserto. Incredibile!

Il mattino dopo siamo già in movimento verso il gruppo del Tesnou. Un lungo viaggio sulla A1, la Transahariana, ci porta a queste incredibili cupole di granito che dominano il deserto, che si estende per centinaia di chilometri in direzione del Mali. Qui riusciamo subito a sbagliare una via. Nel senso che non la troviamo nemmeno! Vaghiamo per placche di quinto grado alla ricerca della linea, ma i conti non tornano. E infatti, dopo un lungo girovagare e varie consultazioni, capiamo di aver sbagliato tutto. Troviamo la linea corretta (La Porte des Sables – Dupuis, Hagenmuller – 1981) e in men che non si dica siamo in cima all’Éléphant, un monolite granitico davvero pazzesco. Non sapendo esattamente come scendere, improvvisiamo disarrampicando su quanto di più facile troviamo. La sera scopriamo di essere scesi da una via di quarto e quinto grado! Varrà come ascensione?

In un giro perlustrativo con Abdoullah, vediamo poi una linea logica sul versante nord-ovest dell’Éléphant: placche, fessure e diedri che sembrano non essere ancora stati saliti. Pare che tocchi a noi l’onore di provarci! E così partiamo per l’avventura. Dopo una serie di facili fessure, delle placche compatte sembrano portare a un diedro e poi a delle placche più abbattute. Una fessurina che sembrava poter essere la soluzione trad risulta inizialmente cieca. Poco male: Martinelli mette il turbo al piedino e piazza tre spit con un obbligato decisamente audace, prima di raggiungere la fessura e il successivo diedro. Un altro paio di tiri con logica mellica ci portano alle placche finali, dove improvviso un traverso che ricorda molto quello di Polimagò e… cuociamo l’ultima punta del trapano.

Brutti pensieri annebbiano le nostre menti. Saremmo potuti uscire in giornata, e invece forse non riusciremo a finire la via. Per fortuna, Ayoub è uno spirito buono, e la benzina qui costa un decimo che da noi! Parte per un viaggio della speranza verso Tamanrasset alla ricerca di punte buone.

Ci vorrà un giorno intero. Abdoullah ci dice di nutrire poche speranze: quello che arriva qui è poco, e quel poco è di qualità bassa, cinese. Il giorno dopo, malgrado tutto, Ayoub torna con delle punte buone, e riusciamo a finire la via! Si chiama Les Hommes Bleus, e se fosse dalle nostre parti sarebbe destinata a diventare una classica. Qui… chi può dirlo? Speriamo di sì!

Dopo una giornata di altri giri esplorativi, decidiamo di partire alla volta di una parete che abbiamo visto lungo la pista all’andata e che le nostre guide Tuareg chiamano Tufrac (su Google "Al-beik"). Da lontano sembra molto promettente, anche perché fino a poco tempo fa si trovava in una zona militare. I nostri sogni, purtroppo, si infrangono contro la dura realtà. A parte una normale, il resto si sviluppa su roccia decisamente marcia e troppo pericolosa, e dopo un paio di tentativi decidiamo che rischiare di tirarci frigoriferi in testa per aprire una via che sarebbe quantomeno dubbia ha poco senso!

Un po’ abbacchiati, passiamo questo ultimo giorno nel deserto guardandone i panorami e chiacchierando del più e del meno con i nostri nuovi amici, prima di dirigerci a Tamanrasset, dove ci imbarcheremo per tornare a casa.

Itinerari correlati




News correlate
Ultime news


Expo / News


Expo / Prodotti
Ferrino Viedma Jacket - giacca alpinismo
Giacca alpinismo uomo Viedma Jacket di Ferrino, con l'innovativa imbottitura PrimaLot Gold insulation Luxe.
C.A.M.P. Storm - casco per arrampicata
Un casco al top di gamma, superleggero ed estremamente confortevole
HDry - Ferrino X-Dry 15+3
Ferrino X-Dry 15+3 è uno zaino da trail running. Grazie alla membrana HDry, lo zaino è completamente impermeabile.
Zaino Scott Patrol Ultralight E2 25 - zaino da valanga
Il Patrol Ultralight E2 25, realizzato con tessuti leggeri in Dyneema, è lo zaino da valanga di Scott più leggero di sempre.
Calza da Sci Alpine Nature Arancia Rossa
Calza da Sci Elbec in Lana Merinos Organica
Moschettone a ghiera KONG HMS Classic Auto Block
Moschettone a ghiera dotato di sistema Keylock.
Vedi i prodotti