Gipsy Ice Tour 2014 - Parte 2. Di Marcello Sanguineti
I problemi sono altri: ci risulta che nessuno sia ancora stato nella valle dove si trova "il mostro" (all’interno del Parc des Hautes Gorges de la Rivière Malbaie), le temperature sono molto basse ed è previsto vento forte. In effetti, alcuni giorni prima più di un local ci aveva detto che è un po’ presto per la Pomme d’Or, di solito tentata a fine marzo/primi di aprile. Tra l’altro, la gran quantità di neve presente (come ci viene confermato dalla direzione del parco), ci costringerebbe a batter traccia fino alle ascelle dal punto di arrivo delle motoslitte fino a dove si piazzano le tende. Mentre, fino a qualche anno fa, le motoslitte depositavano quasi di fronte alla cascata, le restrizioni di accesso successivamente imposte dall’amministrazione del parco, infatti, rendono necessario un lungo avvicinamento. Siamo in Canada e le distanze sono, appunto, su scala canadese: si tratterebbe di "navigare" in una gran quantità di farina per 13 chilometri, fino al punto più adatto per le tende, senza tener conto del pendio per arrivare dal campo alla cascata… probabilmente un delirio… Se, poi, la cascata non fosse in condizioni (non ci sono info in proposito) e/o le temperature fossero basse, come sembra, il tutto si risolverebbe in un "gran mazzo" senza portare a casa nulla durante la seconda parte dell’ice tour, anche perché i giorni rimanenti sono contati… Dopo non pochi ripensamenti e consultazioni, decidiamo di rimandare il tentativo alla Pomme d’Or al prossimo viaggio oltreoceano, da posticipare a fine inverno/inizi primavera, per avere maggiori probabilità di successo.
Fulvio&C decidono di restare in Québec e si trasferiscono da Québec City a St.-Raymond. Lì, a causa della "festa della neve" in programma nel weekend, trovano posto a fatica in un grazioso hotel del paese, grazie alla disponibilità della commessa del negozio dove hanno noleggiato le ciaspole. L’indomani, grazie alle ciaspole riescono ad arrivare nella zona della Chute à Guy, al Bras du nord de la Rivière Sainte-Anne, dove Fulvio e Giulio scalano Aurorae e Marco e Pier una linea più a destra di quest’ultima, non censita nella guida. La prima delle due è color caramello, la seconda azzurra; in comune hanno il ghiaccio marmoreo, senza l’ombra di un passaggio precedente, che fa rimpiangere le scale a pioli a cui gli inverni avari di ghiaccio ci hanno ormai abituati nelle nostre Alpi.
Il giorno successivo è la volta di scoprire il canyon di Pont Rouge, noto per le competizioni di arrampicata su ghiaccio. Quest’anno, nonostante le temperature polari, il fiume in che si trova sul fondo del canyon presenta diversi tratti non gelati, ma la voglia di portare a casa qualche gioiello di queste strutture spesso strapiombanti è tanta. Così, dopo un dietro-front dal basso per via di alcuni sinistri scricchiolii della superficie semi-ghiacciata, Fulvio&C optano per calarsi dall’alto, dopo un "ravanage" nel bosco, su una superba linea che prende il nome dalla Route 41 di Ponte Rouge. Il giorno dopo, uno splendido lunedì di sole, la voglia di "abbracciare" un flusso gelato dalle proporzioni immani porta i nostri amici nel Parc de la Mauricie. Lì, dopo un attraversamento stile "cuore in gola" di un fiume gelato, si aggiudicano Topaze, una gigantesca cascata dal curioso color caffelatte. Infine, chiudono i giochi sulla Rivière Mastigouche. Il breve avvicinamento non fa risparmiare abbastanza energie per affrontare i festoni marmorei di una sorta di "X Ice Park versione canadese", che, a differenza di quello di Ceresole Reale, quest’anno sembra non aver ancora visto il passaggio dei "cannibali del ghiaccio". Alla Rivière Mastigouche Fulvio&C si portano a casa La Mastigouche dx e sx e Mastigrooves.
Il Dodge bianco di Claudio&C, invece, si dirige nuovamente verso il confine con gli States e arriva in Vermont e poi New Hampshire. Il nostro piano è semplice: quattro giorni per spremerci come limoni in altrettante zone, fino a "campionare" anche il ghiaccio dello Stato del Maine. In serata siamo a North Conway. L’indomani è la volta di Frankenstein Cliff, nel Crawford Notch, dove scaliamo alcuni must del New England: Dracula (sx e dx), Welcome to the Machine e Dropline (proprio vero che a volte l’ingordigia non conosce limiti).
Decidiamo di dedicare le due giornate successive a quelle che gli americani chiamano "backcountry climbs" (= salite in zone non facilmente accessibili e poco battute, con avvicinamenti medio/lunghi, in buona parte "da inventare"). Dapprima è la volta della Painted Wall, nel Kancamagus ("The Kanc", per i local). Il nome deriva dai nativi del New England. Kăn-cẳ-mä-gǔs ("Colui che non ha Paura") era il nipote di Passaconaway ("Figlio dell’Orso"), un capo indiano pacifico morto nel 1669, che riunì in una confederazione più di diciassette tribù di quello che attualmente è il New England centrale. Kăn-cẳ-mä-gǔs fu l’ultimo a guidarla , finché l’arrivo dei colonizzatori Inglesi portò (tanto per cambiare) alla guerra e alla dissoluzione della confederazione, intorno al 1691. Nel "Kanc" scaliamo Way in the Wilderness, il cui nome ben si adatta al contesto: due ore e mezza di avvicinamento ci portano ai piedi di una stupenda linea, che parte con un lungo tiro su ghiaccio ricco di cavolfiori, incassato in una gorgia. Qui ho una bella soddisfazione: le ciaspole rosa, che i miei amici mi hanno affibbiato divertiti (con la scusa che erano le ultime disponibili per il noleggio in negozio), si rivelano più efficienti delle loro (soprattutto di quelle di Claudio, che, a dispetto dell’aggressivo e mascolino color nero, non hanno neppure il sistema di fissaggio del tacco e lo fanno penare non poco…). L’esposizione del primo tiro di Way in the Wilderness garantisce luce perfetta per le foto, ma anche la doccia è assicurata: arrivo in sosta letteralmente scolato.
Il giorno dopo è la volta della "toccata e fuga" in Maine, sulla Squaredock Mountain, dove puntiamo a Big Science. Qui la nostra ingenuità rischia di farci prendere un pacco: dall’auto si intuisce la parete dove si trova la colata, ma, una volta iniziato l’avvicinamento nella foresta, non si capisce più un granché e noi, avidi di ghiaccio, procediamo a testa bassa senza prestare attenzione all’orientamento. Risultato: quasi tre ore di avvicinamento invece dell’ora preventivata, dopo una sorta di "giro dell’oca" con vari sprofondamenti nella neve abbondante, nonostante le ciaspole. Rientriamo al Dodge con il buio, ma soddisfatti di quella che i local definiscono "la versione backcountry di Repentence".
Chiudiamo la seconda trasferta negli USA ritornando nella Saco River Valley, in New Hampshire: abbiamo un conto in sospeso con "Remission", la mitica linea che aveva calamitato i nostri sguardi la settimana prima, quando avevamo scalato Repentence. Se Repentance è meravigliosa, Remission è di una bellezza incommensurabile. Stanchi dopo la giornata piena sulla Squaredock Mountain, con annesso viaggio a/r in Maine, puntiamo la sveglia un po’ più tardi del dovuto e facciamo colazione rilassati. Quando guardiamo l’ora, ci rendiamo conto che dobbiamo fare in fretta: dopo la salita ci aspettano più di cinque ore d’auto per Montreal, dove abbiamo appuntamento con Fulvio&C, e si è pure messo a nevicare! Non c’è tempo per scalare la stessa linea in quattro, quindi Claudio e Francesco optano per Super Goofer. Nel frattempo, io mi butto con ingenua voracità sul primo tiro di Remission e solo al ritorno alla base della cascata mi rendo conto di essermi ingaggiato sull’attacco diretto, il mitico Remission Direct Start. Una bella legnata (per la difficoltà di proteggersi), ma di enorme soddisfazione! Gian Luca unisce poi un paio di tiri, fra cui la splendida candela finale (aperta nel 1976 con le staffe), in modo da arrivare in coppa in tempo utile per il viaggio di rientro in Québec. Dopo l’ultima doppia raggiungiamo di corsa Claudio e Francesco, già arrivati al parcheggio, e saltiamo in macchina con scarponi, imbracature e ferraglia al completo: per cena abbiamo appuntamento con i nostri amici a Montreal e non vogliamo farli aspettare…
Arrivati in città, ci rendiamo conto che in soli 11 giorni il nostro Dodge ha percorso poco meno di 3000 chilometri. Niente male, tenuto conto che fra uno spostamento e l’altro non abbiamo certo oziato…! Ho appena messo a riposo le piccozze e preso possesso della camera in albergo, quando le fotocellule difettose delle porte di un ascensore mi procurano un bernoccolo e un taglio in fronte di 3 centimetri, quasi per compensare tutto il ghiaccio che sono riuscito a non prendere in testa durante la vacanza… no comment!
Concludiamo il nostro "Gipsy Ice Tour 2014" in un ristorantino di Montreal. Il ricco bottino di salite accumulato durante i pochi giorni di permanenza oltreoceano merita sicuramente una serie di brindisi!
di Marcello Sanguineti
THANKS:
Grazie ad Air Canada e Lufthansa per la preziosa collaborazione e il supporto logistico.
Alcuni di noi hanno avuto supporto da:
Karpos/Sportful
Grivel
Climbing Technology
Trango World
Geoborders Italy: vendita, noleggio e assistenza di dispositivi satellitari
Kong
CAI Sezione di Biella
Gipsy Ice Tour 2014 - Parte 1