Diecimila anni, anno più, anno meno - Biologia dell’alpinista maschio: un appello al sesso forte di Silvia Petroni
«La vita si restringe o si espande in proporzione al coraggio di ciascuno» (Anaïs Nin)
Avete presente quando, nel cassetto della biancheria, cercate il calzino destro del vostro paio preferito, quello fashion a righe di tonalità pervinca, e invece trovate il tanga leopardato dato per disperso mesi addietro? (Ed era la sera di mesi addietro che vi serviva, quel benedetto tanga, mannaggia…!)
Ecco, questo è un tipico esempio di serendipità nelle scoperte scientifiche: cercando altro (il calzino destro a righe), gli scienziati hanno scoperto un aspetto cruciale (il tanga leopardato) che riguarda il cromosoma Y, che è il cromosoma dei maschi. Ma andiamo per ordine. Come mai il “sesso a due” ha avuto così tanto successo? Intendo dal punto di vista evolutivo (vi immagino già tutti a sogghignare…).
Nonostante io condivida l’opinione dello scrittore Edgar Wallace, secondo il quale “Un intellettuale è una persona che ha scoperto qualcosa di più interessante del sesso” (la condivido – è vero – come è vero che, in condizioni di astinenza prolungata da tale aspetto ludico dell’esistenza, i miei occhi diventano pallati di luce bianca come quelli di Tempesta, la testa inizia a rotearmi come nell’Esorcista e dalle dita mi spuntano gli artigli di Wolverine…), è pur vero che la domanda del perché l’esistenza dei due sessi ha avuto così tanto successo è tutt’altro che sciocca o scontata, da un punto di vista prettamente evoluzionistico.
Ma andiamo nello specifico: perché esistono due sessi? In particolare: il sesso maschile è sempre esistito? La risposta è no. Almeno per circa 3 miliardi e mezzo di anni. Infatti, se la vita sul nostro bel pianeta ha iniziato a comparire più o meno 4 miliardi di anni fa, il genere maschio ha cominciato a prendere forma soltanto intorno a 500 milioni di anni fa. A questo punto la domanda sorge spontanea: come diamine si divertivano prima di 500 milioni di anni fa gli esseri viventi che popolavano la Terra? Perché, intendiamoci, non solo non c’era il sesso, ma neppure la Fisica Quantistica! E aggiungo (per non apparire come la solita “campanilista”), che al tempo non c’erano neppure la filosofia e la letteratura, non parliamo poi della storia… Omero non aveva ancora scritto i suoi poemi sotto l’ispirazione di muse e dive e, prima di lui (tra i 60 e i 70 mila anni fa), Homo sapiens si era prodotto nel cosiddetto “pacchetto modernità”, che comprendeva, sì, strumenti musicali, pitture rupestri, sepolture rituali, ma poco altro ancora. Insomma, per quanto ne sappiamo, del periodo anteriore al mezzo miliardo di anni fa, virus, batteri, alghe, muschi e licheni hanno lasciato ben poco della loro produzione letteraria e scientifica. Dunque, in assenza sia di sesso che di un buon libro, cosa combinavano, dopo il crepuscolo, le specie viventi che popolavano la Terra decine e centinaia di milioni di anni fa? Nel Settecento, come risposta alla domanda, gli zoologi (un po’ bacchettoni, lasciatemelo dire…) avrebbero risposto: fornicazione. Mi spiego.
In natura è diffusissima una soluzione sessuale che io trovo fantastica, assolutamente geniale: l’ermafroditismo. Tuttora è presente in migliaia, forse milioni di specie. Lo stesso individuo biologico ha, al suo interno, sia le cellule sessuali maschili che quelle femminili; così, quando gli prendono i cinque minuti di travolgimento erotico (o i pochi secondi, non è che siamo tutti fortunati allo stesso modo…), l’animale che vuole generare una discendenza non deve fare altro che autofecondarsi. Pensate: nessun frenetico affaccendarsi in preamboli conditi da mazzi di fiori, inviti a cena, infine a guardare la propria collezione di farfalle… Le chiocciole terrestri, le lumache comuni, sono un esempio di animale ermafrodita sufficiente: se ne mettete una, da sola, in un terrario, dopo un po’ essa darà luogo a una generazione successiva.
Intendiamoci bene, 500 milioni di anni fa non vi era soltanto la “fornicazione” degli animali ermafroditi: la sessualità in natura mostrava (e mostra tutt’oggi) le più svariate sfaccettature. Esisteva, naturalmente, il “non-sesso batterico”, la scissione di un individuo in due esseri geneticamente identici al genitore, o anche la riproduzione diretta di alcune piante attraverso la gemmazione di una singola parte di loro, e così molte altre. Per la maggiore andava la partenogenesi (etimologicamente “generazione virginale”), ovvero la clonazione femminile (esempi animali si trovano nei rettili, nei crostacei, negli insetti; persino i tacchini in rari casi fanno partenogenesi), che è una soluzione molto economica, efficiente e assai poco rischiosa.
Insomma, la storia evolutiva del nostro pianeta ci racconta che l’esistenza dei due sessi riguarda l’ultimo spicchio della vita sulla Terra e che non è affatto una condizione necessaria. Proprio così, sono i biologi e gli evoluzionisti specialisti del settore ad esprimersi con estrema chiarezza: in migliaia di specie biologiche, le femmine fanno tutto da sole senza bisogno del maschio; in altre parole: Il maschio è inutile (è il titolo di un libro scritto dal Prof. T. Pievani, evoluzionista e filosofo della scienza, in collaborazione con F. Taddia; cfr. Bibliografia).
Non solo, la conclusione che gli studiosi traggono è ben più tranchant: in natura il sesso primario, il sesso forte è, senza alcuna ombra di dubbio, il sesso femminile. Nel processo di sviluppo, infatti, (detto molto in semplicità) tutti “partiamo femmina”; dopodiché, quelli tra di noi che hanno delle differenze genetiche come il cromosoma Y (che fa innescare il processo di diffusione del testosterone) da un certo punto innanzi deviano e diventano maschi. È questo il motivo per cui, per esempio, i maschi di Homo sapiens hanno i capezzoli: quei bottoncini rosati si formano prima della deviazione verso il maschio. Detto altrimenti, le simmetrie corporali fondamentali – compresa quella dei capezzoli – si sono già formate allorché parte la diffusione del testosterone. (Per gli interessati, la presenza dei capezzoli nei maschi – inutili! – era uno dei crucci di Charles Darwin, il quale, non avendo a disposizione le recenti scoperte genetiche ed essendo convinto che ogni tratto dell’evoluzione dovesse essere adattativo e funzionale a chi lo possedeva, non riuscì a venire a capo della questione).
Ma, allora, perché le femmine si sono “inventate” i maschi? Il motivo lo si evince finanche dal comportamento degli animali ermafroditi. Se non la mettete da sola nel terrario, la lumaca di prima, ma in una situazione ambientale in cui sono presenti partner sessuali, lei sceglierà di riprodursi con un altro conspecifico piuttosto che da sola. In questo modo, avrà infatti la possibilità di mescolare il proprio genoma con quello di un altro individuo e generare, così, figli tutti diversi uno dall’altro e tutti un po’ differenti da entrambi i genitori. Aggiungo una piccola parentesi. Quando due individui ermafroditi “si piacciono”, avviene che uno dei due dà la parte femminile alla parte maschile dell’altro e l’altro dà la parte femminile alla parte maschile del primo. Si tratta di un accoppiamento incrociato e doppio, ovvero un’unione sessuale nella quale si ha una totale equità dei ruoli; un esempio di perfetta “par condicio”. Non so immaginare un comportamento sessuale più poetico e romantico: deve essere un’esperienza magnifica! (Che io sia un po’ pervertita?) È in virtù di tale fascinoso rituale sessuale che, nel Settecento, Carl Linnaeus (italianizzato in Linneo) ha pensato bene di appellare con il nome “a tema” di Crepidula fornicata (!) il povero Gasteropode.
Ad ogni modo, il punto della questione è il seguente: il sesso, altro non è che un generatore di ricombinazione, ovvero di diversità biologica. È un vaccino naturale. Un antidoto per far sì che le generazioni successive abbiano più chances di resistere agli attacchi di virus e batteri e agli insulti ambientali. Il sillogismo, la conclusione logica, è che, se in natura non ci fossero i virus e i batteri o i mutamenti ambientali, i maschi – semplicemente – non esisterebbero.
Assodato questo (non da me – ripeto per chiarezza! – ma dagli specialisti di settore), veniamo, adesso, alla condizione del maschio in natura. (Attenzione: la lettura delle righe seguenti è altamente sconsigliata ai minori per i suoi contenuti horror!)
Prendiamo la specie della rana pescatrice (il pesce marino di profondità anche noto come coda di rospo). In essa, il dimorfismo sessuale è elevatissimo: mentre la femmina può raggiungere il metro di lunghezza, il maschio si attesta a malapena attorno ai pochi centimetri (sto parlando del maschio intero!). Orbene, quando due innamorati si incontrano, il maschio furbescamente addenta la prescelta, e lei, con pronta solerzia, secerne una sostanza vischiosa che trattiene il maschio attaccato a sé. A questo punto, la femmina risucchia e scioglie tutti gli organi interni del maschio, compreso il sistema nervoso (consapevole della inutilità del cervello per il neo consorte), e lascia al poverino soltanto – e ovviamente – le gonadi, ovvero gli organi riproduttivi, i testicoli. Da notare che le femmine ne sanno una più del diavolo, come si suol dire, difatti le vediamo vagare nelle profondità marine con attaccati al corpo dai quindici ai venti maschi (quelli che, con amabile ironia, il Prof. Pievani appella come “scroterelli ambulanti”). In tal modo, quando la bella innamorata decide che è per lei giunto il momento di accoppiarsi, non deve fare altro che scegliere il “maschio-testicolo” di turno, comandargli (tramite apposito rilascio ormonale) di secernere gli spermatozoi e il gioco è fatto. Cambiando ogni volta partner, molto astutamente la femmina garantisce alla prole la appropriata variabilità genetica.
Altre femmine di specie differenti non sono meno degne di attestarsi sul podio degli animali meno romantici tra quelli che abitano il nostro pianeta. Capita spesso che il maschio, pur di accoppiarsi con una femmina, inizi a portarle dei doni nuziali, che per lo più consistono in cibo per lei prelibato. Ebbene, nel processo evolutivo è accaduto che, in alcune specie, la femmina abbia pensato bene di passare dall’accettare cibarie in dono al nutrirsi direttamente del maschio stesso, questo – va da sé – immediatamente dopo l’accoppiamento. Le femmine di mantide religiosa si cibano del loro consorte addirittura durante la copula (per il maschio, la prima della vita e, come nel caso della rana pescatrice, l’ultima), arrivando a staccare di netto la testa al maschio ancor prima che l’atto sessuale stesso si concluda (in questi casi avviene un meccanismo che i biologi chiamano “di assuefazione”, nel senso che – detto in semplicità – si innescano delle condizioni ormonali grazie alle quali il maschio non capisce più niente e, pur decapitato, conclude l’atto sessuale con piena soddisfazione della femmina che nel contempo si è ben nutrita). Il Prof. Pievani sintetizza tali comportamenti naturali con emblematica chiarezza scientifica: “In natura tocca fare di tutto per rimediare un amplesso!” In ultimo, come se tutto ciò non bastasse, i maschi hanno un ulteriore problema, quello cha dà il titolo all’articolo. Mentre le femmine sono perfettamente simmetriche dal punto di vista biologico, ovvero hanno i cromosomi ben appaiati (cromosoma X con cromosoma X), per i maschi, che possiedono un cromosoma X e uno Y, questo appaiamento non è possibile. Con il risultato che, mentre nelle femmine i cromosomi sono tutti in grado di ricombinarsi gli uni con gli altri, fatto che li arricchisce geneticamente, nei maschi ciò non può avvenire (l’X e l’Y sono spaiati e la ricombinazione può avvenire soltanto tra cromosomi omologhi). Il cromosoma Y è un po’ il reggiseno leopardato che non può più ricombinarsi con il tanga omologo spaiato di cui parlavamo all’inizio. Trasmettendosi, il cromosoma Y tende quindi a impoverirsi da un punto di vista genetico, ad atrofizzarsi. Ebbene, il biologo britannico Steve Jones ha proposto un calcolo secondo il quale il cromosoma Y dovrebbe riuscire a sopravvivere ancora circa diecimila anni, dopo di che, per i maschi, non ci sarebbe più storia.
Visti i seri problemi dei maschi, appare evidente che la natura ha trovato una situazione di compromesso che è tutt’altro che perfetto. Tra l’altro, tante malattie ereditarie, come la distrofia muscolare, colpiscono per lo più i maschi, proprio perché risiedono geneticamente sull’X, e quindi, mentre nelle femmine molto spesso il difetto non compare (perché il cromosoma X malato si è ricombinato con un X sano), per il maschio (che ha l’asimmetria genetica di possedere un solo X) non c’è salvezza se è portatore della malattia.
Dunque il maschio, che è servito inizialmente per vaccinare le femmine, adesso sembra andare incontro a seri problemi. D’altro canto, l’evoluzione non prevede il futuro: non decide – a un certo punto e a tavolino – di generare il maschio (e perciò figli tutti geneticamente diversi), per prevedere chissà quali malattie; semplicemente “il sesso a due” è stata probabilmente una risposta contingente a un attacco concreto di virus e batteri. Di fronte a una situazione del genere, la femmina che si clona si ammala molto di più della femmina che si accoppia con un altro da sé e che genera, perciò, figli tutti diversi, molti dei quali non contraggono la malattia.
In siffatta apocalittica condizione biologica del maschio, concentriamoci adesso in maniera specifica sulla situazione del maschio alpinista della specie Homo sapiens. Mi rivolgo dunque a voi. A voi che siete il sesso primario, il sesso forte, il sesso biologicamente imprescindibile. Amiche alpiniste (minuscole, medie, grandi, wonder women che siate), amiche che amate scalare in qualsivoglia modo, abbiate comprensione quando, insieme alla vostra compagna di cordata, raggiungete un luogo di scalata con in spalle, ciascuna, la mezza corda ben in evidenza, e il maschio di turno – con lo sguardo sbigottito di chi avesse appena visto comparire vicino a sé un piatto di melanzane alla parmigiana senza parmigiano, vi domanda: “Ma siete soleee?”
Abbiate comprensione quando, raggiunto il rifugio d’alta quota prima del vostro compagno di cordata, il maschio di turno, con gli occhi sgranati come se avesse appena visto comparire vicino a sé la marmellata senza il barattolo, vi domanda: “Ma sei solaaa?”
Abbiate comprensione, quando la coppia di alpinisti maschi di turno ferma sul sentiero il vostro compagno di cordata per chiedergli dettagli su una via che presume voi due abbiate appena salito, mentre voi venite totalmente ignorate, sia dai loro sguardi che dalle loro parole, come foste la Susan invisibile dei Fantastici Quattro.
Abbiate comprensione, quando la solita coppia di alpinisti maschi chiede al vostro compagno di cordata il nome della via che intendete salire e, nel mentre, dirige verso di voi uno sguardo compassionevole che sottintende: “Poverina, chissà dove la porterà, questo…” e, subito dopo gli domanda: “Non conosco la via, è di V?”, che sottintende: “Se tu, uomo, porti con te una donna, allora difficilmente intendi salire una via che avrà più del V grado”. “Sì, è una via di V!”, rispondetegli voi, anche se scalate sul IX.
Frasi come: “Ah, ma brava, vedo che arrampichi anche da prima!” sono all’ordine del giorno… Se riusciamo meglio di un maschio in un passaggio su placca, allora: “Eh, fortunate voi donne, che siete più snodate di bacino rispetto a noi uomini!”; se riusciamo meglio in un passaggio in strapiombo: “Eh, fortunate voi donne, che siete più avvantaggiate rispetto a noi uomini con il rapporto peso-potenza!”; se scaliamo una via che il tale maschio in questione non si è ancora sentito di ripetere, allora non ha nemmeno più senso che ci vada, poiché evidentemente – se la abbiamo salita noi – la via è più semplice del previsto e non è più meritevole scalarla; se riusciamo meglio in apertura di una via, cioè se dimostriamo più coraggio del tale maschio-tutto-testosterone, allora: “Voi donne siete totalmente incoscienti, non vi rendete conto del rischio che correte!”
Amiche, abbiate comprensione quando il presidente della sezione del Club Alpino, della quale siete membro attivo, cura un volume atto a festeggiare un importante anniversario della sezione stessa e per esso sceglie il titolo: Le nostre Alpi. Uomini e luoghi dell’alpinismo […]. Sceglie la parola “Uomini”. Non “personaggi”, “personalità” o simili. Congratulatevi, dunque, con la assoluta coerenza in virtù della quale all’interno del testo non viene inserito nessun nome di alpinista donna.
Abbiate comprensione quando, nelle guide alpinistiche edite su scala nazionale, trovate scritto che una delle rare ripetizioni della tal via è stata realizzata da Pippo, Pluto & Co., dove Pippo e Pluto sono i nomi di due alpinisti maschi e la dizione “& Co.” sta a indicare il nome dell’unico terzo membro della cordata: una donna.
Che dire… Se non che, da che mondo è mondo, l’individuo in pace con se stesso (e, se l’individuo appartiene al genere “maschio”, in pace con la propria virilità) è colui il quale non avverte la necessità di cogliere ogni occasione per ricordare agli altri, con implacabile insistenza, le proprie qualità, presunte o reali che siano, e, al contempo, per affossare meticolosamente le attitudini e i meriti dei suoi consimili.
Il discorso è il medesimo che vale per il sesso: da che mondo è mondo, gli uomini che parlano tanto di sesso, sono quelli che lo fanno ben poco (parlo del sesso condiviso in due). A tal proposito, mi sono sempre chiesta se i maschi in questione sono gli stessi che denominano le soste di svariate vie con manifestazioni entusiastiche quali: “Viva la t..a” e “Viva la f..a” (a seconda della regione italiana di provenienza). La domanda che in questi casi nasce spontanea è: “Ma se ‘Lei’ ti manca talmente tanto da sentire la necessità di prendere un sasso e imprimere il suo nome sulla roccia, perché mai, santo cielo, non te ne sei stato a casa a…”.
Del resto è nelle situazioni di carenza cronica che emerge il cosiddetto “chiodo fisso”… E le manifestazioni alle quali noi donne siamo costrette ad assistere appaiono davvero disperate: non si tratta soltanto di qualche sosta in Dolomiti o nelle Alpi Apuane: nelle falesie si trovano ovunque tiri di corda con il marchio dei machi-tutto-testosterone che non battono chiodo. A dispetto del passare delle decine di migliaia di anni di evoluzione, appare l’evidenza: dal tempo in cui i nostri antenati segnavano, sulle pareti delle loro grotte, scene di caccia condotte a buon fine, nella speranza che ciò funzionasse da auspicio propizio per i giorni seguenti, le cose in tempo moderno non sono cambiate poi molto...
Sembra che tutto giri intorno al “pacchetto virilità”. Noi donne non possiamo non interrogarci sul motivo in virtù del quale il macho-tutto-testosterone trova difficoltà a scalare a comando alternato con una creatura di genere femminile. Che venga afflitto, nei tiri dove sale da secondo, dal progressivo rimpicciolirsi del proprio “pacco-ego”? Mentre, quando passa al comando della cordata, probabilmente viene preso dal terrore che la visione che di lui si ha dal basso sveli la precarietà di “attitudini” ormai drammaticamente proiettate verso l’estinzione.
Forse è il “fattore gruppo” a non venire in aiuto dei maschi. «Though we adore men individually, we agree that as a group they're rather stupid!» («Sebbene adoriamo gli uomini individualmente, siamo d'accordo che in gruppo sono piuttosto stupidi!»), recitava uno dei canti delle Suffragette, come venivano chiamate le appartenenti al movimento di emancipazione femminile per ottenere il diritto di voto alle donne. En passant, nel Regno Unito il voto alle donne arrivò nel 1928, in Italia nel 1946 e, nella vicina Svizzera, soltanto nel 1971 (dopo Cristo).
Veniamo così alla scoperta scientifica recente collegata all’indebolimento genetico del cromosoma Y dei maschi, della quale parlavo a inizio articolo. Tra i sette e gli otto mila anni fa (ovvero in un’epoca molto recente dal punto di vista evolutivo), il cromosoma Y maschile (cioè di tutti i maschi del mondo, poiché è un dato genetico universale) ha avuto una riduzione drammatica di diversità genetica, ovvero si è impoverito moltissimo. Tale fenomeno (chiamato in biologia “collo di bottiglia”) ha come unica spiegazione l’enorme riduzione del numero dei maschi che si riproduceva (di più della metà). Ma perché, mai, è accaduto un fatto del genere? La spiegazione del fenomeno (fornita dagli studiosi) risiede nell’organizzazione sociale che avevano al tempo i nostri conspecifici. La società era strutturata in gruppi umani molto piccoli che avevano una forte endogamia; si trattava di gruppi parentali o di poche famiglie strettamente imparentate, ovvero di clan. Il livello di antagonismo e di combattività tra i diversi clan era molto alto e vigeva la consuetudine che i vincitori uccidessero tutti i maschi del clan rivale e prendessero le loro donne. In una tale dinamica comportamentale, è evidente che il numero dei maschi che si accoppiavano, e che perciò diventavano i padri della generazione successiva, era molto basso. Tirando le fila: a forza di farsi la guerra, di annientare i maschi dei clan rivali, di ridurre le loro donne come schiave, di riprodursi con chi volevano loro e di costruirsi attorno dei gruppi parentali ristretti, è accaduto che, per poco, i maschi umani non hanno terminato la loro storia evolutiva. Del resto, non è necessario andare così indietro nel tempo per imbattersi in fissazioni di gruppo indirizzate a selezionare artificialmente un’unica “razza” e a provvedere, al contempo, alla sistematica eliminazione dal pianeta della restante umanità. (Le virgolette sono obbligatorie, poiché la specie Homo sapiens non è suddivisibile in razze, come ci spiegano i genetisti di tutto il mondo, primo fra tutti il Prof. G. Barbujani, da sempre impegnato nel circostanziato lavoro di decostruzione di ogni teoria razziale; cfr. Bibliografia.)
Concludendo, quando presi in gruppo gli individui di sesso maschile non danno il meglio di sé, ma anche individualmente, taluni uomini sembrano possedere un cervello che non si è evoluto un gran che dal tempo in cui Homo sapiens correva nudo nelle savane africane berciando grugniti verso animali e consimili. Ciò nondimeno, le dichiarazioni generaliste non soltanto sono sciocche e inutili ma, soprattutto, tremendamente noiose. E qui termino, riportando le illuminate parole della scrittrice italiana Valeria Parrella; non prima di aver ricordato ai maschietti che, se l’ironia è una qualità affascinante dell’individuo, l’autoironia è – senza alcun ombra di dubbio – dannatamente sexy!
«Denudati. In apparato scimmiesco, denudati, così come vanno guardati: quando si rivestono dopo il sesso, perfino la donna più affettuosa e propensa alla comprensione, perfino quella ragazza bisognosa di protezione vedrà senza alcun dubbio che aveva riposto male le sue speranze: che non c’è nulla da cavare da questi qui e non è colpa loro. Fa parte della loro natura, sono il sesso debole.»
Due righe per ringraziare gli affetti della mia vita. Oltre a possedere la rara qualità di sopportarmi, sono uomini che traspirano virilità mentre rammendano i calzini con ago e uovo di legno, mentre puliscono le fughe delle piastrelle, mentre cucinano l’orata al forno e mentre viaggiano nel sidecar condotto da una donna. La traspirano né più né meno di quando scalano, si lanciano con il parapendio o corrono nei rally. Uomini che, in déshabillé, sono preziosi capolavori della natura.
di Silvia Petroni
https://www.facebook.com/silvia.petroni.338
Bibliografia e consigli di lettura
T. Pievani, F. Taddia, Il maschio è inutile, Rizzoli, 2014.
T. Pievani, Anatomia di una rivoluzione: la logica della scoperta scientifica di Darwin, Mimesis, 2013.
T. Pievani, La fine del mondo. Guida per apocalittici perplessi, Il Mulino, 2012.
L. Signorile, Il coccodrillo come fa. La vita sessuale degli animali, Codice Edizioni, 2014.
G. Barbujani, Gli africani siamo noi. Alle origini dell’uomo, Laterza, 2017.
G. Barbujani in Contro il razzismo, a cura di M. Aime, Einaudi, 2016.
G. Martino, Il cervello, tra cellule ed emozioni, Castelvecchi, 2017.
L. J. Rogers, G. Vallortigara, R. J. Andrew, Cervelli divisi. L'evoluzione della mente asimmetrica, Mondadori Università, 2016.
V. Girotto, T. Pievani, G. Vallortigara, Nati per credere: perché il nostro cervello sembra predisposto a fraintendere, Codice Edizioni, 2008.
V. Parrella, Enciclopedia della donna. Aggiornamento, Einaudi, 2017.