Cho Oyu per Diego Giovannini
Il 27/09/2003 Diego Giovannini, alpinista di Trento, ha raggiunto la vetta del Cho Oyu (8201 metri).
Il 27 settembre 2003 Diego Giovannini, alpinista di Trento, ha raggiunto la vetta del Cho Oyu (8201 metri), sesta montagna per altezza della terra. Questi i dati essenziali della salita inviatici direttamente da Giovannini: "Partito da solo dall'Italia l'8 settembre, mi sono unito a una spedizione internazionale pur rimanendo autonomo ed indipendente. Il mio progetto era raggiungere la cima in stile alpino, senza aiuti da parte di sherpa o con uso di ossigeno. Il 16 settembre ho raggiunto il campo base avanzato, e il 19 piazzavo il campo 1 a 6400m ed il 20 il campo 2 a 7100m, ritornando poi al campo base. 5 giorni di mal tempo e quindi, il 25 settenbre, sono ripartito raggiungendo il campo 1, e il 26 il campo 2. Il 27 è stato il giorno della cima (e ritorno al camp 2): sono partito alle 2,30 dal campo 2 e ho raggiunto la vetta alle 10,30, in compagnia dello svizzero Marcel Kraaz e con buone condizioni meteo. Il diario del summit day e ritorno Sabato 27 settembre "La sveglia suona, è luna di notte; non voglio partire prima delle due ma ci sono parecchie cose da fare. Ogni gesto comporta il suo tempo e il freddo complica le cose. Voglio alimentarmi bene e ci impiego parecchio. Preparo lo zainetto, il mio fido trab (gli ho promesso di portarlo in cima, una Thermos da litro di thè e la telecamera (le batterie le tengo nel piumino al caldo). Poi, il gps, la macchina fotografica la maschera da sci. E quasi tutto pronto, mi vesto completamente in tenda, mi mancano solo i ramponi. Sono le due e trenta, i due greci sono già partiti da un pezzo e pure i tre svizzeri, li ho sentiti passare davanti alla mia tenda. Esco ed è unimpresa mettersi i ramponi, fa un freddo terribile e le mani sono subito insensibili. Vedo in alto le luci degli altri ma in un'ora li raggiungo e li supero. Sono passate due ore e sono già al campo 3. In alto vedo altre luci: alpinisti partiti dal campo tre coi loro sherpa; meglio così troverò la traccia battuta, so già che sono componenti di una spedizione commerciale e stanno usando lossigeno.
Una fascia rocciosa alta una quindicina di metri mi sbarra il cammino, non resta che agganciare il jumar alla corda fissa e tirare. Il ritmo è giusto, la fatica non eccessiva, ma il freddo comincia a farsi sentire, le mani e i piedi sono un pezzo di ghiaccio, e sono costretto a fermarmi per riscaldarli. Marcel mi raggiunge e proseguiamo assieme. 7900, 8000, ora ci aspetta linterminabile plateau finale. Ancora unora e dovrei essere in cima. E quasi piano e la fatica non si sente più di tanto. I dossi si susseguono uno dietro laltro e finalmente lo vedo: lEverest è lì sullo sfondo; ed allora sono arrivato, allora sono proprio in cima. Guardo lorologio, sono le 10,30. Sono felice, so che questa grande montagna mi ha lasciato salire, io, puntino in questa immensità bianca. Mentre salivo mi scoprivo a parlare con questa Dea del Turchese, a chiederle di lasciarmi arrivare in cima, perché la sentivo viva sotto di me; non un blocco di ghiaccio inanimato ma una grande madre che devi rispettare, che devi affrontare con umiltà, dove niente deve rimanere del tuo passaggio. So di essere arrivato in cima lealmente, senza trucchi o inganni, solo con le mie forze e questo mi rende felice. Ho dei problemi alla vista, locchio destro si è congelato e vedo tutto offuscato. Ho messo la maschera troppo tardi, ed ora sono un po preoccupato. Purtroppo il mio occhio sinistro è miope e la situazione non è simpatica. Da lontano vedo solo i contorni. Mi faccio scattare alcune foto da Marcel e decido di scendere, la telecamera è bloccata e non posso filmare. Lo svizzero si ferma ad aspettare i suoi compagni e così mi avvio da solo verso il basso. Trovo Gianni che sale, ancora unora e sarà in vetta. Arrivo alle doppie: è un gran casino tra mancanza di vista e guantoni, ma alla fine giungo al campo 3. Ancora 400m di dislivello e sarò alla mia tenda .Sono le 12,30 e finalmente posso buttarmi nel sacco a pelo. Si scende domani..." testo e foto di Diego Giovannini
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