Catherine Destivelle, l'arrampicata e l'alpinismo lì dove è pericoloso sporgersi
E' pericoloso sporgersi... Chi arrampicava negli anni '80 non può aver dubbi: la visione è una sola. E' quella di una ragazza aggrappata con una mano alla roccia e sospesa sul vuoto. Indossa un'attilata tutina fucsia (che ricorda molto la Jane Fonda dei corsi televisivi di aerobica), sfodera un sorriso tra l'ironico e l'irresistibile e ha degli occhi così azzurri che ci si perde dentro. Lei naturalmente è Catherine Destivelle, la regina dell'arrampicata francese. Una delle donne che più hanno fatto sognare i climber, anzi che più è stata invidiata dagli arrampicatori maschi per la sua inarrestabile bravura.
Nel film di Robert Nicod, che nel titolo riprende la famosa targhetta ammonitrice dei finestrini dei treni, Catherine insieme a Monique Dalmasso affronta il vuoto immenso e straordinario del Verdon. E' il 1985. La via che la cordata delle due ragazze affronta è la famosissima Pichenibule con il suo celeberrimo Bombé. E' una prima femminile. In assoluto, è come superare degli esami di laurea, anzi un dottorato di ricerca in arrampicata. E Catherine dimostra una padronanza del gesto e una forza straordinarie, da vera caposcuola.
E' nata una stella. D'altra parte lei è una predistinata. Comincia a frequentare la montagna giovanissima. E' il 1973, lei ha 13 anni, quando chiede al padre di fare il giro dello Oisan. Lui l'accompagna a La Grave e va a riprenderla dopo 10 giorni. Ha fatto tutto da sola, e anche questo è un segno. Come il fatto che già a 12 anni è iscritta al Club Alpino francese e da subito, da parigina doc qual è, arrampica nella foresta di Fontainebleau. Come dire nella terra nobile del boulder dove si sono formati gran parte dei migliori alpinisti e arrampicatori francesi. E' brava, naturalmente, ma è anche una a cui piace stare davanti, esplorare la sua strada.
A 16 anni sale la Via Couzy-Desmaison sul Pic d'Olan e la Via Devies-Gervasutti sull'Ailefroide Occidentale. Poi arrivano i primi anni '80, quelli della nuova arrampicata di cui è tra i grandi protagonisti. Sono anche gli anni in cui studia e poi esercita l'attività di fisioterapista.
Nel 1985 è la star della prima gara di arrampicata Bardonecchia. Un successo che replica anche nei due anni successivi. In quelle prime gare è indiscutibilmente la donna da battere, insieme alla statunitense Lynn Hill e l'italiana Luisa Iovane. Quelli sono gli stessi anni in cui è grande protagonista anche in falesia: è suo il primo 8a+ femminile. E' il 1988, la falesia è Buoux, la via è la mitica Chouca aperta dal maestro Marc Le Menestrel.
E' una donna e una climber all'apice del successo. Ma Catherine non si accontenta. Ha un primo amore (e un'indole) che non può dimenticare. E' così che, agli inizi degli anni '90, ritorna alle sue montagne, all'alpinismo. Lo fa da par suo, rimettendosi in discussione, rilanciando la posta fin dove nessuno si sarebbe aspettato. E, come all'inizio, come quando era ragazzina, lo fa da sola. Nel 1990 sale in 4 ore, cioè come un missile, la via Bonatti al Petit Dru. E' la prima solitaria femminile.
Poi arrivano tre fuochi d'artificio ancora insuperati: firma la prima solitaria femminile delle tre grandi nord delle Alpi: Eiger nel 1991, Grandes Jorasses nel 1993 e Cervino nel 1994. Ma non è finita. Nel giugno 1991 apre una nuova via in solitaria sul Petit Dru, ci mette 11 giorni con difficoltà in artificiale che arrivano all'impossibile (e aleatorio) A5. Senza contare che nel '94 sale lo Shisha Pangma (suo unico Ottomila) mentre è del '99 la sua grande solitaria della vertiginosa Via Hasse-Brandler sulla nord della Cima Grande di Lavaredo.
Adesso Catherine è co-presidente del celebre Groupe de Haute Montagne. Come dire è a capo di uno dei gruppi alpinistici più prestigiosi dell'alpinismo mondiale. Non c'è da stupirsi, lei è nata alpinista, è maestra di quel mondo dove impera l'aria libera, lì dove è pericoloso e bellissimo sporgersi.
di Vinicio Stefanello
pubblicato su Il Manifesto InMovimento (maggio 2017)