Cani Randagi, nuova via nell'Ala Daglar, Turchia
Cani Randagi con i suoi 300m 6b max e 6a obbl nella "Cimbar Valley", non sarà mai una via simbolo o un emblema dell' arrampicata turca, non avrà mai la fila alla sua partenza o appigli unti dall'usura del tempo. Questa nostra prima via extra europea resterà però per sempre il concretizzarsi di un sogno, la realizzazione di un progetto rubato al tempo che corre sempre più in fretta, alla meccanica perversa della nostra società votata al consumo. In una terra dove forme e gente hanno ancora un sapore ancestrale per questo vive, per questo vere.
Certi viaggi non li decidi, ti scelgono.
Certe terre le senti lontane da te, poi impari a portartele dentro.
Certi giorni restano anonimi altri sopravvivono oltre il tempo.
Altre stagioni si aprono, certi periodi si chiudono
Forse è stato l'ultimo temporale
Di certo quello più intenso.
I semi li abbiamo gettati nel vento.
di Tommaso Salvadori
ALA DAGLAR 2013 di Jimmy Palermo
Sono lunghi minuti che fisso lo schermo e cerco di riordinare le idee per potervi trasmettere le sensazioni e le emozioni che abbiamo vissuto in questa brevissima settimana, ma le parole che mi vengono in mente mi sembrano inadeguate allo scopo. E’ difficile, quando si è così ebbri di immagini, scegliere cosa raccontare e cosa no. E’ difficile, ancora a mente caldissima, trovare l’essenziale, ma ho anche paura, a far sedimentare il tutto, di perdere particolari vividi. Di punto in bianco ci siamo catapultati in un mondo rurale dai mille contrasti... Germi di modernità in un mondo ancor contadino e addirittura pagano. Telefonini di ultima generazione a braccetto con il sacrificio di una pecora per far piovere e scongiurare un’eventuale siccità. Suv e carretti trainati da muli o cavalli parcheggiati sulla stessa strada. Palazzi modernissimi nelle città contro le grotte e gli anfratti in cui vivono i pastori in Emli Valley. La corrente elettrica che salta a ogni nuvola che fa gocciolare e segnale del telefonino praticamente sempre al massimo. Chilometri di piste sterrate spesso in cattive condizioni e stradoni asfaltati a doppio senso più larghi di una nostra autostrada.
Location: Turchia, massiccio dell’Ala Daglar, Anti-Tauro
Personaggi: Tommaso Salvadori, Ivan Testori ed io (Jimmy Palermo)
Periodo: dal primo al nove di giugno 2013
Trama: in pratica una sola settimana per riuscire ad aprire una nuova via
Sabato: Caravaggio International Airport, Orio al Serio, Bergamo... "Mi dispiace ragazzi ma avete sette chili di bagaglio in più!" "Ma come!? Non avevamo ben pesato questi sacconi? Ma che bilancia abbiamo usato?" "E ora cosa facciamo?" "Beh, gli spit e gli anelli di sosta pesano 6 kg, se li spostiamo nel bagaglio a mano, dovremmo farcela..." "E per passare dai metal detector e dai controlli come facciamo? Ci faranno passare?" Beh, o così o niente!" Dal check-in fanno una telefonata alla dogana e così abbiamo il si per passare i controlli... "Almeno partiamo."
Gokcen International Airport, Istanbul... Al metal detector siamo inevitabilmente fermi. Spiego al solerte doganiere turco a cosa ci servono gli spit. All’inizio è più propenso a sequestrarceli ma alla fine ci fa passare e ci raccomanda di non tirarli agli altri passeggeri (incredibile!) e, una volta sull’aereo per Adana, di non metterli nella cappelliera perché potrebbero cadere e ferire un occupante degli stretti posti a sedere. Alla fine partiamo con praticamente un’ora di ritardo ma, come si dice, meglio tardi che mai! Bisogna essere ottimisti!
In piena nottata, alle ormai 2:30 del mattino di Domenica, raggiungiamo il nostro comodo e desiderato chalet in quel di Marti nel campeggio gestito da Recep, il nostro uomo appoggio, dopo aver guidato, nell’ultimo tratto, per oltre venti chilometri sullo sterrato di una strada in costruzione e dopo aver incrociato, in ordine, cani randagi, ricci, una volpe e un furgone della polizia turca che con un’andatura di 30 km l’ora ci faceva da tappo. Superarli o non superarli? Alla fine siamo restati dietro con il pensiero fisso che aspettassero solo una nostra mossa per fermare questa sola macchina nel raggio di chilometri in giro dopo l’una di notte... Dopo poche ore di sonno e di riposo il sole sorge, il cielo leggermente velato e lattiginoso crea un’atmosfera ovattata. La sveglia suona crudele ma la colazione offertaci da Recep, arricchita, per la mia gioia, dalla Nutella (che mondo sarebbe senza Nutella?) ci carica a molla.
E’ arrivato il momento di fare un sopralluogo e di rendersi conto del potenziale e delle pareti presenti in Cimbar Valley o, in Turco, Vadisi. E così iniziamo a risalire questo meraviglioso canyon scavato tra alte pareti. Mi sembra di essere uno dei bambini protagonisti di Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato! Mi perdo a scrutare a destra e a sinistra della stretta valle, linee immaginarie e splendide pareti grigie, venate o ritoccate da colate rossastre di calcare compatto e abrasivo. In più siamo allietati dal gorgogliare allegro di un torrente di acqua cristallina e fresca che scorre a pochi passi dal nostro camminare sul fondo del canyon. Incontriamo, e sarà l’unica volta che incontreremo esseri umani in Cimbar Vadisi, un gruppetto di ragazzi turchi che, saputo che siamo italiani (ma cosa ci faranno mai tre italiani in un posto simile?), vogliono fare una foto insieme a noi. Il problema principale della "Cimbar" è che è come un’ipsilon sdraiata ai piedi del Demirkazik, la montagna più alta del gruppo, e quindi è formata da due gambe distinte... E così dopo aver risalito il lato che porta a Tekepinari, la curiosità ci porta verso la gamba che giunge all’Arpalik. In totale sette ore di sfacchinata per rimanere molto indecisi vista la grande abbondanza di linee logiche, di pareti, di nostre opinioni e di sogni! Ma l’emisfero destro del mio cervello, quello deputato alle idee, all’istinto, all’arte ringrazia di cuore per i sogni di vie che riesce a sviluppare... E’ proprio vero che i più grandi viaggi si fanno con la mente! (premetto, a scanso di equivoci, che non ho fumato o assunto niente di strano!).
Il giorno dopo, carichi come i muli che in queste zone si vedono ancora tirare i carretti di qualche contadino, avanziamo penosamente nel canyon fino a quella che fino al quel momento riteniamo la parete su cui aprire. Uno sguardo alla parete, qualche sguardo tra di noi e alla fine decidiamo di attaccare uno sperone sul lato opposto e appena prima... Eravamo proprio convinti!
Il primo tiro tocca a me. Friend, friend, spit, friend, spit, spit... Si sale riuscendo a proteggersi anche piuttosto bene. Supero un tetto sovrastato da una placchetta e dopo aver risalito un diedro mi ritrovo in sosta. 50 metri. Riparte Tommaso che dopo un diedro fessurato scova una bella rigola da seguire. 50 metri. Più si sale più la roccia diventa bella e aderente, più si sale più il calcare da grigio diventa rosso. Ivan e Tommaso aprono i due successivi tiri, su roccia commovente e lavorata, che offrono un’arrampicata tecnica e divertente mai faticosa. Altri 100 metri portati a casa. Ci ritroviamo su una larga cengia e vediamo la futura continuazione... Una torre rossastra che promette la cima. I nostri 200 metri di statica intanto sono finiti come le batterie del trapano. Ci caliamo velocemente... 12 ore di fatiche possono bastare!
Torniamo al nostro chalet cotti dal sole, stanchi e affamati. Ci dirigiamo quindi a Camardi, il paese più grande della zona, dove in un ristorantino (parola grossa) ci strafoghiamo di cibo con nomi per noi impronunciabili dal sapore forte e piccante. Naturalmente ci sediamo sotto la foto di Rolando Larcher e di Luca Giupponi in cima alla loro Red, Moon and Star scherzando sulla differenza di livello tra loro e noi.
La mattina seguente, stavolta scarichi, avendo lasciato tutto il materiale o alla base della parete o sulla cengia, in soli trentacinque minuti siamo all’attacco. Risaliamo le statiche e, come tradizione, mi accingo a partire per il tiro successivo. Ai miei occhi si presenta un tiro atletico, non certo il mio stile, ma mi faccio forza e mi ingaggio. Mi alzo, metto un friend, mi alzo ancora, metto due friends, mi alzo ancora un pochettino e metto, con tantissima fatica uno spit. Insomma, la faccio breve, mi ghiso e mi faccio calare. La palla passa a Ivan, che me la fa capire, concludendo un gran tiro, su roccia abrasivissima e pungente. Riparte Tommaso per un tiro che in falesia sarebbe uno di quei tiri che da solo vale una giornata, non tanto per la difficoltà, ma per la qualità della roccia. La fine della via è vicina e ora tocca a me. Ultimi trenta metri su roccia perfetta, cinque stelle! Li recupero in sosta, godiamo il panorama, ci facciamo i complimenti reciprocamente... Sappiamo però che abbiamo ancora da fare... C’è da disgaggiare, ripulire alcune zone da qualche ciuffo d’erba ma soprattutto scendere per poi tornare per liberare la via. Una volta alla base i sacconi ritornano a pesare sulle nostre spalle, ma i nostri occhi sono luccicanti, l’umore è alto e la fatica tantissima. In più siamo colorati come delle aragoste a causa delle splendide giornate di sole che abbiamo trovato in questi due giorni di apertura. Recep ci guarda con occhi sgranati, quasi increduli, e si complimenta con noi "Very fast!, very fast! Good job!" Ancora una cena pantagruelica a Camardi e a nanna. La mattina dopo inizia per noi il giorno di riposo e di cultura in Cappadocia. Visitiamo Goreme, con le sue splendide chiese rupestri e Derinkuyu con la sua impressionante città sotterranea. Non di sola roccia vive l’uomo!
Giovedì lo dedichiamo alla falesia. Il Kazikli canyon e il suo conglomerato ci regalano tiri divertenti e spettacolari. Tommaso e Ivan sono molto motivati, mentre io lotto con qualche problema di stomaco, e si portano a casa due tiri da antologia come Carnival e Duman’s song. Finiamo la giornata preparando una cena italiana, finalmente spaghetti!, e condividendola con Recep e Zeynep. Da loro l’ospitalità è stata meravigliosa, ci siamo trovati benissimo. E poi i loro chalet sono carinissimi.
Venerdì invece ci inoltriamo a piedi nella splendida Emli Valley. E’ una sorta di pellegrinaggio verso il Parmakkaia, uno spettacolare obelisco di 300 metri, una delle meraviglie di roccia del mondo. In più è anche un modo per rendere omaggio a Giovanni Quirici, come me membro del Gruppo Scoiattoli dei Denti della Vecchia, passando sotto la sua Diamonds on the Inside.
Ci sentiamo per l’ennesima volta come bambini in un parco giochi immenso, tutto per noi. "Guarda che linea!" "Lì ci starebbe una bella vietta!" "Va com’è lavorata lì la roccia!" "Sbinocola là che mi sembra di vedere una sosta e degli spit!" Ci troviamo poi in un deserto di roccia, in un ambiente lunare... Sfumature ocra, lavagne grigie, argentee, rossastre, ghiaioni a perdita d’occhio, chiazze di neve bianca con sfumature di sabbia dorata e solo noi tre in giro. Se stiamo zitti possiamo sentire il rumore del silenzio... Un sasso che cade, il vento che ulula, i corvi che gracchiano e attimi di niente... Impressionante!
Sabato è il nostro ultimo giorno di permanenza. Si va a ripetere la nostra via. Il tempo non è certo super, anzi, minaccia temporali ma noi "dobbiamo" andare. Come al solito parto io. "Secondo me il tetto non lo fa in libera neanche se scende il Signore dal cielo e lo prende per le orecchie" dice Tommaso che non fa in tempo a finire la frase che, hoooop, supero lo strapiombo e arrivo in sosta. E’ bello avere la fiducia dei tuoi amici! Due tiri io, due tiri Tommaso, tre tiri Ivan e siamo di nuovo in cima alla nostra via. Vediamo l’arrivo di spaventosi nuvoloni neri e nella Cimbar Vadisi rimbombano cupamente i suoni di alcuni tuoni di preavviso. Ci caliamo velocemente e quando inizia a diluviare siamo già quasi alla macchina. Ci ripariamo in un grottino. Discutiamo del fatto che il riparo in una grotta sia qualcosa di ancestrale, di primitivo, atavico, qualcosa che regala calma anche se fuori si scatena la natura con pioggia forte e qualche fulmine. I tuoni poi sono veramente impressionanti in questo canyon. Rimbombano in maniera cupa, il loro suono si espande e si comprime a seconda di come si allarga o si restringe. Fortunatamente il tutto dura poco e, raggiunta la macchina, possiamo andare a festeggiare! Direi che la birra Efes di cui avevamo il frigo pieno ce la siamo meritata! Un’altra abbuffata finale a Camardi e via a preparare i bagagli! Domenica la sveglia alle 3:15 del mattino ci ricorda che purtroppo l’avventura è finita... anche se il pilota del nostro volo, in atterraggio a Bergamo, decide di andare lungo sulla pista costringendo Tommaso ad una scena che non dimenticherò mai. Sceso dalla scaletta, si prostra e bacia il "sacro suolo italico". Insomma, una settimana densa, impegnativa,fruttuosa e indimenticabile.
di Jimmy Palermo
Ringraziamo il Gruppo Scoiattoli dei Denti della Vecchia, Exped, Mammut by Balmelli a Lugano, il Cai di Sesto Calende e Cinghiut per il loro sostegno, Matteo Bernasconi e Davide Spini per averci prestato le statiche lasciate da loro in deposito a Recep e l’Aladaglar Camping per la squisita ospitalità!
SCHEDA: Cani Randagi, Ala Daglar, Turchia