Basta un po' di fantasia e l'alpinista va su... di Massimo Marcheggiani
Scimmiotto una vecchissima canzone cantata da chissà chi. Faceva: “Basta un poco di zucchero e la pillola va giù, la pillola va giù, la pillola va giù…” forse era Mary Poppins? Può darsi ma non ne sono sicuro… Comunque: nel grande bordello che è stato creato nell’aprire vie nuove nella maggiore montagna appenninica, troppo spesso intersecando più vie preesistenti e a volte passando a un metro e venti da altri itinerari e creando, mi scoccia dirlo, una confusione bestiale nella ricerca di un itinerario X, il 18 e 19 Dicembre Lorenzo Trento ed io abbiamo aperto una via nuova sulla parete Ovest del Corno Piccolo nel massiccio del Gran Sasso. Assolutamente autonoma!
Pochi anni addietro, scalando con Paolo Senzacqua sul Pizzo Cefalone in mezzo a tonnellate di neve, motivo per cui dovemmo ad un certo punto rinunciare per il rischio valanghe, scattai una foto del versante ovest del Corno Grande e Corno Piccolo. Evidentissime linee di salita mai percorse rapirono la mia fantasia. Ci tengo a dirlo: nell’apertura delle mie vie nuove ho sempre sviluppato itinerari assolutamente autonomi. Guardando e riguardando quella unica foto avevo individuato idee da mettere in pratica. Già l’anno scorso Lorenzo, che ha 39 anni meno di me, ed io, avevamo concatenato quattro giorni prima dell’inverno ufficiale la salita delle tre spalle del Corno Piccolo. Scegliendo itinerari relativamente semplici ci eravamo divertiti un mondo, con un bivacco fantastico e una scalata in stile classicissimo. Ora che non ho più vent’anni dico che la bellezza dell’alpinismo non sta nel grado ma nell’avventura a tutto tondo che una scalata invernale può dare, soprattutto se si riescono a trovare ancora terreni vergini in una montagna relativamente grande o piccola che sia.
Lasciamo i 1450 metri di Prati di Tivo, deserti come non mai, verso le 9 e 30. La temperatura è molto rigida ma ci scaldiamo per bene fino a sudare risalendo, a metà della val Maone, il ripido fianco Ovest del Corno Piccolo senza traccia alcuna tra neve, mughi affioranti e pietrisco. Io sudo il doppio; superiamo circa 500 metri di dislivello ed il mio ginocchio destro mi avvisa che non ne vuol proprio sapere di fare il suo dovere. Da oltre due anni e un sacco di soldi spesi in terapie diverse mi fa vedere ancora le stelle. Riesco a fare tutto o quasi viziando il mio deambulare, ma questo anomalo incedere mi stanca molto più di quanto non dovrei. I pilastri di Intermesoli, alle nostre spalle sono assolutamente puliti dalla neve, e così sembra per la porzione di parete che stiamo andando ad affrontare. Mi dispiace questa penuria della bianca materia, io amo l’alpinismo invernale e principalmente il misto ma ha nevicato poco in questo autunno e le belle giornate hanno fatto il resto.
La foto che ho con me fa intuire uno stretto couloir incastonato tra due evidentissime creste. Noi vogliamo salire quella di sinistra. La scarsità di neve è tale che il canale si intuisce solo nella parte alta, mentre la porzione basale è a tutti gli effetti una ripida parete di buona roccia, incassata quel minimo da trasformarla in couloir quando la quantità di neve la ricopre. Zaino pieno di sacco piuma, ramponi che useremo solo in discesa e altro necessario quando si scala d’inverno (mancano due giorni all’inverno ufficiale). Superiamo circa 130 metri di ottima roccia sbucando sul filo di cresta. La salita è ora più facile e la quasi assenza di neve facilita la progressione.
Tutto questo versante, ad una certa altezza è attraversato dal sentiero P.P. Ventricini che passando sotto la seconda spalla va poi a morire alla Sella dei due corni. Quando lo intersechiamo è già pomeriggio inoltrato ed una cengia, larga quanto il corpo di un cristiano e lunga due corpi ci invita al bivacco. La salita è ancora molto lunga e vista la cengia ma soprattutto il corrimano d’acciaio della via ferrata non ci pensiamo due volte. Un po’ di piccozzate e la cengia diventa perfetta, scampoli di sole ancora ci scaldano ma alle 16 e 45 questo scompare e anche noi scompariamo dentro i sacchi piuma. “Ciao Lorè, ci vediamo domani…”
14 ore dopo senza esserci detti mezza parola per tutta la lunghissima notte inondata da stelle e uno scampolo di luna, bevuto un cattivo tè e messo tutto al proprio posto, prosegue la nostra scalata. La roccia è freddissima (Ovest pieno) ma le difficoltà contenute dentro il quarto grado o poco di più a noi ci fanno un baffo. Sappiamo scalare e scaliamo. Sono necessari ancora dieci tiri di corda dal bivacco per uscire in vetta e intanto il cielo da splendido del giorno prima è sempre più grigio e fa davvero freddo. Raggiungiamo la vetta del Corno Piccolo e da qui scendiamo per la via ferrata Danesi.
Abbiamo scalato con solo una corda da 8,2 mm e dobbiamo per forza rinunciare alle doppie sulla parete est della montagna. La Danesi è colma di neve farinosissima, poi ci aspetta la faticosa risalita alla Sella dei due Corni, la discesa al rifugio Franchetti deserto e ancora giù fino a rischiare di ammazzarmi sul sentiero. Il ginocchio è in crisi ed io con lui. Spesso mi cede accompagnato da fitte acute ed è a faccia avanti che cado, incontrollato e lasciando il mio selfie nella neve che per fortuna era molle e mi ha fermato lì.
Giunti alla seggiovia ovviamente chiusa le nostre strade si dividono: Lorenzo è un grillo e scende dritto per dritto sotto il ripido impianto funiviario, io non so bene cosa sono ma preferisco risparmiare i rimasugli di ginocchio e scendo per la più lunga ma poco ripida cresta dell’Arapietra. Le fantastiche gomme da neve permettono a Lorenzo di venirmi incontro sulla strada ghiacciata e concludiamo due belle giornate di sano e faticosissimo alpinismo con panini e birra. E pure il caffè.
di Massimo Marcheggiani
Primo sperone Ovest del Corno Piccolo.
Prima salita: Lorenzo Trento e Massimo Marcheggiani il 18 e 19 Dicembre 2016.
Dislivello da Prati di Tivo alla vetta: 1200 metri.
Lo sperone: 550 metri di sviluppo (abbiamo contato circa 15-16 tiri di corda)
Difficoltà: max 4°+.