Giulia Monego, quando la fortuna arriva in vetta!
Il racconto di Giulia Monego che ad ottobre è andata in Nuova Zelanda per un po' di sci alpinismo e sci ripido, che le ha fruttato la parete ovest del Mt Aspiring, un obiettivo rilevante in quanto è difficilmente in condizioni nonché abbastanza ripido!
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Sci ripido sul Mt Aspiring, Nuova Zelanda
Giulia Monego
Spesso alcune delle montagne conosciute più interessanti ed esteticamente più belle, sono poco sciate. Questo, non a causa delle loro elevate tecnicità, spesso a pari grado di difficoltà la differenza è data dalle condizioni meteorologiche della regione in cui si trovano e inoltre, quando si tratta di sci ripido, anche ovviamente della qualità della neve!
A volte mi chiedo che senso abbia passare la vita ad inseguire le famose condizioni ottimali, quei capricci di madre natura, osservabili in mille sfaccettature, la cui ricerca costante potrebbe rendere pazzo anche il più calmo spirito esploratore. La risposta è sicuramente nelle mia profonda motivazione e nel mio carattere. È una cosa intrinseca, che non si spiega con un semplice perché, ma che spiega chi sono e perché faccio quel che faccio. Il mio modo di andare in montagna e le mie scelte sulle destinazioni e discese da fare con gli sci sono degli obbiettivi ben precisi ed autentici, che mi attraggono come una calamita e mi spingono a provare tutto il possibile per poterli realizzare. È pura determinazione.
Quest’anno dopo una lunga stagione sciistica, conclusasi con il tentativo al Denali mi sono riposata nelle mie amate Dolomiti per ricaricare le batterie e progettare un nuovo obbiettivo. Per cercare la neve in autunno bisogna scendere nell’emisfero Sud, in Nuova Zelanda per esempio, dove non ho ancora avuto il piacere di andarci. Le due piccole isole, scarsamente popolate, racchiudono un terreno molto vario e spettacolare, che è unico nel suo genere. Le montagne dell’isola del Sud, sono chiamate le Southern Alps, per richiamare lo stile delle nostre Alpi: grandi dislivelli, ripide pareti, creste e pinnacoli affilati, roccee, ghiaccio e neve racchiuse in pochi chilometri di distanza.
Per trovare dei buoni obbiettivi di sci ripido, qualsiasi cosa che rassomigli alle Alpi, non può che essere un buon inizio. Alcuni anni fa, infatti, mi era capitata sottomano una fotografia del Monte Aspiring, la cui parete Ovest mi aveva lasciata stupefatta per la sua bellezza ed esteticità. La linea che si intuisce sciabile dalla cima è una perfetta linea di massima pendenza disegnata dal culmine della parete piramidale che termina ai suoi piedi affacciata al vasto ghiacciaio sottostante. Dalla fotografia frontale il pendio sembra quasi verticale, forse impossibile da sciare, ma come sempre succede cambiando l’angolo di visione si scopre che è un perfetto piano inclinato dai 40° ai 55°gradi a seconda dei tratti e dalle condizioni di ghiaccio e neve.
Con queste informazioni finalmente siamo in partenza per la nostra missione al Mt Aspiring. Partick è il mio compagno ideale per questo tipo di scalata e motivato quanto me a portare a casa una bella soddisfazione. Passate un paio di settimane ad acclimatarci alle temperature, agli sbalzi di umore del clima Neo Zelandese e al jet-leg, siamo a Wanaka in attesa di una finestra di bel tempo per salire al rifugio Colin Todd, situato a 1800 metri sotto la cresta N/O dell’Aspiring; punto di partenza per le classiche scalate primaverili ed estive.
L’accesso al ghiacciaio, come ci dicono le guide locali, viene solitamente effettuato in elicottero, per evitarsi un paio di giorni di avvicinamento in terreno poco conveniente a degli alpinisti/sciatori con scarponi e sci sullo zaino. Ne testeremo personalmente le ragioni poi al rientro, quando avremmo la certezza di quanto ne avesse valsa la pena il viaggio in elicottero!
Il 5 ottobre sembra il giorno ideale per salire in quota e sfruttare 3 giorni di poco vento e alta pressione stabile. Pagati i permessi di deposito in elicottero, il rifugio e firmate le solite carte, con gli zaini pesanti e le provviste necessarie siamo in un baleno seduti sull’elicottero che si sta alzando in volo. 10 min di volo non mi sono sembrati abbastanza per potermi guardare attorno, seguire il percorso di rientro con lo sguardo e orientarsi. In più bisognava fare le foto alla parete Ovest, al ghiacciaio, al rifugio, e cercare nel frattempo di capire che genere di neve avremmo trovato nella parete. Fare tutto ciò quando si è in una zona totalmente nuova diventa difficile da fare in pochi minuti di volo, ma con un po' di esperienza e buona memoria riusciamo ad avere un quadro abbastanza chiaro della situazione e del terreno che ci circondava. L’aiuto della carta topografica, poi, ci chiarisce ogni dubbio e ci sentiamo fin da subito abbastanza confidenti.
La presenza di altre cordate di alpinisti nel rifugio ci rassicura e rilassa, dandoci qualche ulteriore informazione sulla zona e rassicurandoci sulle condizione meteorologiche. Il tempo infatti è il grande ostacolo per l’alpinismo in questo periodo dell’anno. La primavera è generalmente mite, ma i repentini sbalzi di clima fanno alzare o abbassare le temperature in poche ore anche di decine di gradi. Il fenomeno del vento è la chiave delle perturbazioni. Qui può soffiare oltre 100km orari e in pochi minuti portare nuvole che fino a qualche minuto prima non si vedevano all’orizzonte. Per scalare e soprattutto sciare sul ripido ci vuole Fortuna con la F maiuscola.
Io, solitamente, quando parto per una salita, una discesa impegnativa o una giornata in montagna, cerco sempre di non dimenticarmi la fortuna a casa, come non devo dimenticarmi scarponi o sci. La buona sorte è importante chiamarsela a sé, ed essene consapevoli, e ancora di più qui, lontani da casa ha un’importanza ancora maggiore. Con spirito positivo e rilassato partiamo alle prime ore del giorno e ci avviciniamo alla base della parete. Ci vogliono un paio di ore, e l’attesa per scoprire che tipo di neve avremmo trovato nei 900m di parete mi fa fremere e accelerare il passo. Piccozze in mano iniziamo finalmente l’ascesa verticale del pendio e ci accorgiamo fin dai primi passi che la neve è dura, ma non ancora ghiacciata. Le tipiche condizioni primaverili di una parete Ovest.
La possibilità di sciare nel pomeriggio quando la neve con un po’ di fortuna si sarebbe surriscaldata e sciolta con i raggi del sole, era la sola possibilità che avremmo avuto per sciare in sicurezza la parete. Senza fretta dunque saliamo tutta la rampa centrale, andando ad assaggiare con i ramponi un po’ di qua e di là per avere una più chiara idea di come cambiasse la neve da zona a zona. Essendo molo esposta al vento, la neve di questo pendio, viene spesso spazzata e trasportata via depositandosi in altre zone, in strane forme, creando una superficie disomogenea e imprevedibile, difficile da sciare.
A man mano che la piramide si restringe verso l’alto, il pendio diventa più ripido fino a incanalarsi in un salto di ghiaccio di una ventina di metri verticali. Una goulotte, in gergo, che ci impone di fare un tiro ci corda e di preparare una sosta per la calata della discesa. Superato il ghiaccio vivo, gli ultimi 150 metri sotto la vetta sono ripidi e ghiacciati, con la neve lavorata dal vento ma che non sembra poter cedere ai raggi del sole che comincia a scaldare noi e la superficie. Arrivati in vetta, da soli, ci godiamo senza fretta il panorama che a 360° è da togliere il fiato. La giornata è spettacolare e come da previsione, non c’è un filo di vento o nuvole minacciose all’orizzonte.
Il bello di sciare una parete ovest, è che non c’è la minima fretta. Il sole arriva a illuminarla tardi nel pomeriggio dunque possiamo prepararci con calma e valutare la situazione della sciabilità. Godersi il panorama è la cosa che preferisco su una vetta, perciò mi rilasso e mi guardo attorno prima di pensare alla discesa. La parte alta sopra la goulotte è decisamente troppo ghiacciata per sciare, perciò decidiamo di scendere sui nostri passi fino al ghiaccio, fare una calata di corda doppia e mettere finalmente gli sci sotto il canale per sciare tutto il pendio fino al rifugio. La neve anche se non soffice da sufficiente tenuta alle nostre lamine che per fortuna sono ben affilate. La variabilità della neve, da zona a zona e metro per metro è da tenere sotto controllo e non permette la minima distrazione. Le curve sono controllate e abbastanza trattenute, ed è un peccato, penso, non poter sciare quel bellissimo pendio in scioltezza e fluidità. Anche se non è stata la migliore sciata in termini di neve, l’impegno generale richiesto dall’intera parete valeva la pena lo sforzo, il viaggio e l’attesa dei giorni prima. Una bella soddisfazione che ci rimarrà nella memoria per un bel po’ di tempo, poiché unica e, tutto sommato, fortunata.
Il giorno dopo ci svegliamo presto per iniziare il lungo rientro alla macchina che ci aspettava a una ventina di chilometri di distanza e 1300m più in basso. Scesi dal ghiacciaio il ripido sentiero in mezzo ai rami e ai scivolosi salti di roccia, ci ha fatto dimenticare la spesa dell’elicottero e ne ha aggiunto enorme valore. Alla fine della discesa, una lunga valle semipiana solcata da un fiume, sembrava non finire mai. Guado dopo guado, passo dopo passo, cercando di dimenticare i dolori che iniziavano a farsi sentire in ogni muscolo del mio corpo e nove ore più tardi siamo arrivati alla macchina e alla fine della nostra avventura in puro stile Kiwi. Anche dopo aver sciato la parete Ovest del Mt Aspiring in tre giorni la sensazione che maggiormente mi pervasa è: che fortuna!
A volte mi chiedo che senso abbia passare la vita ad inseguire le famose condizioni ottimali, quei capricci di madre natura, osservabili in mille sfaccettature, la cui ricerca costante potrebbe rendere pazzo anche il più calmo spirito esploratore. La risposta è sicuramente nelle mia profonda motivazione e nel mio carattere. È una cosa intrinseca, che non si spiega con un semplice perché, ma che spiega chi sono e perché faccio quel che faccio. Il mio modo di andare in montagna e le mie scelte sulle destinazioni e discese da fare con gli sci sono degli obbiettivi ben precisi ed autentici, che mi attraggono come una calamita e mi spingono a provare tutto il possibile per poterli realizzare. È pura determinazione.
Quest’anno dopo una lunga stagione sciistica, conclusasi con il tentativo al Denali mi sono riposata nelle mie amate Dolomiti per ricaricare le batterie e progettare un nuovo obbiettivo. Per cercare la neve in autunno bisogna scendere nell’emisfero Sud, in Nuova Zelanda per esempio, dove non ho ancora avuto il piacere di andarci. Le due piccole isole, scarsamente popolate, racchiudono un terreno molto vario e spettacolare, che è unico nel suo genere. Le montagne dell’isola del Sud, sono chiamate le Southern Alps, per richiamare lo stile delle nostre Alpi: grandi dislivelli, ripide pareti, creste e pinnacoli affilati, roccee, ghiaccio e neve racchiuse in pochi chilometri di distanza.
Per trovare dei buoni obbiettivi di sci ripido, qualsiasi cosa che rassomigli alle Alpi, non può che essere un buon inizio. Alcuni anni fa, infatti, mi era capitata sottomano una fotografia del Monte Aspiring, la cui parete Ovest mi aveva lasciata stupefatta per la sua bellezza ed esteticità. La linea che si intuisce sciabile dalla cima è una perfetta linea di massima pendenza disegnata dal culmine della parete piramidale che termina ai suoi piedi affacciata al vasto ghiacciaio sottostante. Dalla fotografia frontale il pendio sembra quasi verticale, forse impossibile da sciare, ma come sempre succede cambiando l’angolo di visione si scopre che è un perfetto piano inclinato dai 40° ai 55°gradi a seconda dei tratti e dalle condizioni di ghiaccio e neve.
Con queste informazioni finalmente siamo in partenza per la nostra missione al Mt Aspiring. Partick è il mio compagno ideale per questo tipo di scalata e motivato quanto me a portare a casa una bella soddisfazione. Passate un paio di settimane ad acclimatarci alle temperature, agli sbalzi di umore del clima Neo Zelandese e al jet-leg, siamo a Wanaka in attesa di una finestra di bel tempo per salire al rifugio Colin Todd, situato a 1800 metri sotto la cresta N/O dell’Aspiring; punto di partenza per le classiche scalate primaverili ed estive.
L’accesso al ghiacciaio, come ci dicono le guide locali, viene solitamente effettuato in elicottero, per evitarsi un paio di giorni di avvicinamento in terreno poco conveniente a degli alpinisti/sciatori con scarponi e sci sullo zaino. Ne testeremo personalmente le ragioni poi al rientro, quando avremmo la certezza di quanto ne avesse valsa la pena il viaggio in elicottero!
Il 5 ottobre sembra il giorno ideale per salire in quota e sfruttare 3 giorni di poco vento e alta pressione stabile. Pagati i permessi di deposito in elicottero, il rifugio e firmate le solite carte, con gli zaini pesanti e le provviste necessarie siamo in un baleno seduti sull’elicottero che si sta alzando in volo. 10 min di volo non mi sono sembrati abbastanza per potermi guardare attorno, seguire il percorso di rientro con lo sguardo e orientarsi. In più bisognava fare le foto alla parete Ovest, al ghiacciaio, al rifugio, e cercare nel frattempo di capire che genere di neve avremmo trovato nella parete. Fare tutto ciò quando si è in una zona totalmente nuova diventa difficile da fare in pochi minuti di volo, ma con un po' di esperienza e buona memoria riusciamo ad avere un quadro abbastanza chiaro della situazione e del terreno che ci circondava. L’aiuto della carta topografica, poi, ci chiarisce ogni dubbio e ci sentiamo fin da subito abbastanza confidenti.
La presenza di altre cordate di alpinisti nel rifugio ci rassicura e rilassa, dandoci qualche ulteriore informazione sulla zona e rassicurandoci sulle condizione meteorologiche. Il tempo infatti è il grande ostacolo per l’alpinismo in questo periodo dell’anno. La primavera è generalmente mite, ma i repentini sbalzi di clima fanno alzare o abbassare le temperature in poche ore anche di decine di gradi. Il fenomeno del vento è la chiave delle perturbazioni. Qui può soffiare oltre 100km orari e in pochi minuti portare nuvole che fino a qualche minuto prima non si vedevano all’orizzonte. Per scalare e soprattutto sciare sul ripido ci vuole Fortuna con la F maiuscola.
Io, solitamente, quando parto per una salita, una discesa impegnativa o una giornata in montagna, cerco sempre di non dimenticarmi la fortuna a casa, come non devo dimenticarmi scarponi o sci. La buona sorte è importante chiamarsela a sé, ed essene consapevoli, e ancora di più qui, lontani da casa ha un’importanza ancora maggiore. Con spirito positivo e rilassato partiamo alle prime ore del giorno e ci avviciniamo alla base della parete. Ci vogliono un paio di ore, e l’attesa per scoprire che tipo di neve avremmo trovato nei 900m di parete mi fa fremere e accelerare il passo. Piccozze in mano iniziamo finalmente l’ascesa verticale del pendio e ci accorgiamo fin dai primi passi che la neve è dura, ma non ancora ghiacciata. Le tipiche condizioni primaverili di una parete Ovest.
La possibilità di sciare nel pomeriggio quando la neve con un po’ di fortuna si sarebbe surriscaldata e sciolta con i raggi del sole, era la sola possibilità che avremmo avuto per sciare in sicurezza la parete. Senza fretta dunque saliamo tutta la rampa centrale, andando ad assaggiare con i ramponi un po’ di qua e di là per avere una più chiara idea di come cambiasse la neve da zona a zona. Essendo molo esposta al vento, la neve di questo pendio, viene spesso spazzata e trasportata via depositandosi in altre zone, in strane forme, creando una superficie disomogenea e imprevedibile, difficile da sciare.
A man mano che la piramide si restringe verso l’alto, il pendio diventa più ripido fino a incanalarsi in un salto di ghiaccio di una ventina di metri verticali. Una goulotte, in gergo, che ci impone di fare un tiro ci corda e di preparare una sosta per la calata della discesa. Superato il ghiaccio vivo, gli ultimi 150 metri sotto la vetta sono ripidi e ghiacciati, con la neve lavorata dal vento ma che non sembra poter cedere ai raggi del sole che comincia a scaldare noi e la superficie. Arrivati in vetta, da soli, ci godiamo senza fretta il panorama che a 360° è da togliere il fiato. La giornata è spettacolare e come da previsione, non c’è un filo di vento o nuvole minacciose all’orizzonte.
Il bello di sciare una parete ovest, è che non c’è la minima fretta. Il sole arriva a illuminarla tardi nel pomeriggio dunque possiamo prepararci con calma e valutare la situazione della sciabilità. Godersi il panorama è la cosa che preferisco su una vetta, perciò mi rilasso e mi guardo attorno prima di pensare alla discesa. La parte alta sopra la goulotte è decisamente troppo ghiacciata per sciare, perciò decidiamo di scendere sui nostri passi fino al ghiaccio, fare una calata di corda doppia e mettere finalmente gli sci sotto il canale per sciare tutto il pendio fino al rifugio. La neve anche se non soffice da sufficiente tenuta alle nostre lamine che per fortuna sono ben affilate. La variabilità della neve, da zona a zona e metro per metro è da tenere sotto controllo e non permette la minima distrazione. Le curve sono controllate e abbastanza trattenute, ed è un peccato, penso, non poter sciare quel bellissimo pendio in scioltezza e fluidità. Anche se non è stata la migliore sciata in termini di neve, l’impegno generale richiesto dall’intera parete valeva la pena lo sforzo, il viaggio e l’attesa dei giorni prima. Una bella soddisfazione che ci rimarrà nella memoria per un bel po’ di tempo, poiché unica e, tutto sommato, fortunata.
Il giorno dopo ci svegliamo presto per iniziare il lungo rientro alla macchina che ci aspettava a una ventina di chilometri di distanza e 1300m più in basso. Scesi dal ghiacciaio il ripido sentiero in mezzo ai rami e ai scivolosi salti di roccia, ci ha fatto dimenticare la spesa dell’elicottero e ne ha aggiunto enorme valore. Alla fine della discesa, una lunga valle semipiana solcata da un fiume, sembrava non finire mai. Guado dopo guado, passo dopo passo, cercando di dimenticare i dolori che iniziavano a farsi sentire in ogni muscolo del mio corpo e nove ore più tardi siamo arrivati alla macchina e alla fine della nostra avventura in puro stile Kiwi. Anche dopo aver sciato la parete Ovest del Mt Aspiring in tre giorni la sensazione che maggiormente mi pervasa è: che fortuna!
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