Vivere come se si fosse eterni ovvero l'etica del buon esploratore

Un'intervista a cura di Simonetta Radice con Luisa Mandrino, autrice di Vivere come se si fosse eterni, la prima biografia di Alfonso Vinci.
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Vivere come se si fosse Eterni, dedicato a Alfonso Vinci. Di Luisa Mandrino, Alpine Studio
Alpine Studio
Ci sono libri che vorresti non finissero mai. Rapiscono, portano lontano, aprono finestre su territori inesplorati del mondo e dell’anima, da cui si torna con la stessa malinconia di un viaggio diventato ricordo. Leggere come se si fosse eterni, verrebbe da dire parafrasando il titolo del libro di Luisa Mandrino dedicato ad Alfonso Vinci.
Vinci fu grande alpinista  - firmò alcune tra le più note vie degli anni 30 -  esploratore, cercatore di diamanti, comandante partigiano, scrittore e geologo. Fu ricchissimo e poverissimo, si laureò due volte, scoprì il più importante giacimento di diamanti del Venezuela, non volle mai una casa. Eppure non ebbe e non ha – almeno in patria – la fama che meriterebbe. 
Ne ho parlato con Luisa Mandrino, che ha dedicato ben sette anni a scrivere "Vivere come se si fosse eterni", pubblicato pochi mesi fa per i titoli di Alpine Studio. Un lungo viaggio quello di Luisa, il cui risultato è una biografia che si legge d'un fiato, come un romanzo.


Come hai conosciuto Alfonso Vinci? Che cosa ti ha portato a scrivere un libro su di lui?
Fu Mirella Tenderini a parlarmi per prima di questo personaggio che, tra le altre cose, era anche un grande scrittore. E ripercorrendo la sua incredibile vita, è nata l'idea di scriverne una biografia. All'inizio non è stato facile perché sembrava che Vinci avesse già scritto in prima persona tutto quello che c’era da sapere su di lui, e l'avesse fatto anche molto bene. Poi sono entrata in contatto con la moglie Elisabeth e la figlia Ialina, che custodisce tutto l'archivio del padre. Ho iniziato a cercare le persone che l'avevano conosciuto e loro mi hanno aiutato a conoscere un mondo che Alfonso Vinci non aveva ancora svelato nei suoi libri, anche se io, per una precisa scelta, ho tralasciato tutto ciò di cui lui non aveva deliberatamente voluto scrivere in vita, una cosa per tutte l'esperienza della guerra. Quello che ho riportato a riguardo è documentato negli archivi storici della resistenza, perché Vinci, come tanti che avevano vissuto quell'esperienza, non aveva mai voluto parlarne.

Quella di Alfonso Vinci è una figura complessa e poliedrica. E' il Vinci esploratore quello che ti ha affascinato di più? Perché?
Sì, da una parte l’Alfonso Vinci esploratore è quello che mi ha affascinato di più, ma dall'altra mi ha anche permesso di raccontare una storia che fosse mia e che spingesse i lettori a conoscere e leggere i suoi libri. Ho cercato di riunire tutto quello che sapevo di lui nel racconto di un viaggio su un fiume, un’esplorazione di un territorio ignoto che potesse diventare un percorso interiore, alla scoperta del personaggio. Lo stesso Vinci, del resto, sosteneva che l'esplorazione più importante fosse quella di se stessi e quest’affermazione, detta da una persona così attiva e così inquieta, mi ha sempre colpito molto.

Secondo te, oggi, c'è ancora spazio per l'esplorazione?
Durante i suoi ultimi grandi viaggi, fu proprio Alfonso Vinci a dire che il tempo dell'esplorazione era finito. In seguito, però, espresse anche pensieri molto belli a proposito del ritorno ai luoghi selvaggi più vicini a noi, alla cosiddetta wilderness. Lui stesso, in vecchiaia, tornò alle Alpi  per scoprire luoghi che da ragazzo non aveva mai visto. Una sorta esplorazione di ritorno,  che ben si adatta a tanti luoghi che fanno parte del nostro paesaggio ma che conservano intatto il fascino del remoto.

Nel libro racconti che il padre di Vinci scopre per caso della sua attività alpinistica. E quando gli chiede chiarimenti sul significato dell'espressione "Risolvere uno dei più grandi problemi delle Dolomiti"riferito alla Nord Ovest della Agner, lui minimizza dicendo che "Voleva solo divertirsi". L'alpinismo di oggi è ancora capace di divertirsi? O si prende un po' troppo sul serio?
Io spero che gli alpinisti si divertano come si è divertito Alfonso Vinci, perché l'alpinismo dovrebbe essere un modo per esprimere gioia di vita. Ai suoi tempi c'era probabilmente più goliardia rispetto a oggi grazie anche allo spirito di gruppo: c’erano quelli di Lecco, quelli di Como, quelli di Monza... c’erano di sicuro rivalità e senso di sfida, ma mancava la dimensione commerciale che oggi invece è importante almeno ai livelli più alti. La sua era poi una generazione che aveva dovuto scontrarsi con problemi drammatici: quando gli chiesero che cosa era stato più difficile per lui tra tutte le cose che aveva fatto, se l'esplorazione, l'alpinismo o la guerra, rispose che rispetto alla guerra tutte le altre cose non potevano che essere solo divertimento.

Leggendo il libro, una delle cose che colpiscono di più di Vinci è quello che emerge del suo rapporto con il denaro. A un certo punto gli fai dire: "amava la gente che se ne sta con le mani sprofondate nelle tasche girandoci dentro i pollici, guardandoti come se possedesse chissà quale tesoro perché non c'è tesoro più grande di una tasca vuota". Anche a te ha colpito questo lato del suo carattere?
E' un aspetto che colpisce molte persone, così come colpisce il fatto che non abbia mai avuto un’abitazione sua. Visse sempre in case a prestito e i suoi averi erano distribuiti tra i suoi amici.  Quando poi ebbe una famiglia, la mise in condizioni di vivere nel miglior modo possibile, ma non volle mai una casa propria. Una delle sue frasi che rimasero famose dice: "Non vado in giro per cercare diamanti ma cerco diamanti per andare in giro". I cercatori di diamanti, nel Venezuela di allora, erano persone molto povere o spesso dei fuorilegge. Cercavano di svoltare la giornata o addirittura la vita, ma difficilmente riuscivano a diventare poi stabilmente ricchi, perché finivano sempre col perdere tutto. Vinci, a suo modo, visse una parabola simile ma con grande consapevolezza e con grande libertà.

Perché secondo te oggi Alfonso Vinci è così poco conosciuto (incredibilmente non esiste una voce su Wikipedia su di lui)?
Alfonso Vinci lasciò prestissimo l'Italia. Fece le sue grandi imprese alpinistiche negli anni 30 (Lo Spigolo alla Cresta Sud del Cengalo, la prima assoluta alla parete Ovest dell’Agner per esempio) ma dopo la guerra preferì andarsene, per via del clima reazionario e di disillusione che aveva respirato chi, come lui, credeva fermamente negli ideali della resistenza. Penso che l’aver vissuto tanto tempo in un posto così remoto, insieme al suo carattere alieno ai sensazionalismi, lo abbia fatto dimenticare. In Venezuela, invece, Vinci è conosciutissimo ancora oggi, sia per la scoperta della miniera di Avequì sia per le imprese alpinistiche e la sfida al Pico Bolivar. In Italia, pur essendo entrato nella cinquina del premio Strega con Samatari, non ha mai avuto il successo che meritava nemmeno come scrittore. Forse, la sua è stata liquidata troppo velocemente come letteratura di viaggio, un genere che a torto è stato sempre snobbato dagli intellettuali di allora e che anche oggi riscuote magari successo, ma non prestigio.

Questo libro è il frutto di un lavoro che è durato sette anni. Hai incontrato persone, ascoltato storie, viaggiato. Se dovessi dire in poche parole che cosa ti è rimasto di questo viaggio, che cosa diresti?
Molte delle persone che ho incontrato si stupivano del fatto che volessi scrivere su un uomo che non avevo conosciuto in vita. Ho fatto molta ricerca, ho studiato tutti i suoi libri ma, a volte, gli incontri decisivi accadono quasi per caso. Leggendo una lettera di Vinci trovai il nome di Luciano Vincenzoni, che l'aveva conosciuto in un periodo molto felice della sua esistenza: era giovane, aveva da poco trovato una grande quantità di diamanti (che teneva in una bottiglietta di Cocacola ndr), era appena tornato da un viaggio avventuroso ed era nel pieno della sua esistenza. Vincenzoni è stata una delle persone che più mi ha illuminato su Alfonso Vinci e a lui  nel libro ho dato il ruolo del narratore.
Ma quello che più mi è rimasto della figura di Vinci è una cosa che inevitabilmente era in parte già nelle mie corde, ma che non ero capace di vivere fino in fondo: imparare ad accettare l'ignoto. E' diverso dal semplice non aver paura: si tratta di convivere nel miglior modo possibile con il fatto che ci sono cose totalmente al di fuori dal nostro controllo. Un tuffo nel fiume, sperando che coccodrilli e pirana siano lontani.

Infine, qual è il libro di Alfonso Vinci che vorresti leggessero i nostri lettori?
Agli appassionati di alpinismo consiglio "Cordigliera", che racconta tutte le sue avventure sulle Ande, quando ancora erano un luogo davvero selvaggio, ma se dovessi sceglierne uno per tutti direi "Lettere Tropicali", una raccolta di lettere che nel corso della vita Vinci scrisse agli amici, tutte. molto belle e spesso divertenti. Tra le tante virtù di Vinci, era senz'altro sua quella di saper scrivere lettere.

di Simonetta Radice

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Vivere come se si fosse eterni

Editore Alpine Studio
Autore: Luisa Mandrino



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