Le tracce bianche di Alberto Paleari e Erminio Ferrari: quando ciaspolare fa rima con alpinismo
"Tracce Bianche" è invece l’ultima fatica editoriale di Alberto Paleari, una guida scritta a quattro mani insieme all’amico di sempre Erminio Ferrari e dedicata a percorsi per scialpinisti e ciaspolatori in terra ossolana. Lo abbiamo incontrato per raccontarci qualcosa di questo libro e di una terra affascinante, l’Ossola, di cui è grande conoscitore.
Le ciaspole hanno conosciuto grande diffusione negli ultimi anni, ma la novità di questo libro è l'uso alpinistico della ciaspola non solo passeggiate ma anche cime, dunque…
Tracce Bianche è un libro che deriva soprattutto dalla mia esperienza di alpinista e, in particolare, dalle tante salite invernali che ho fatto. Negli anni 70, le "invernali" erano molto di moda e già allora, quando si trattava di salire un versante più tecnico e scenderne un altro più facile, la ciaspola veniva usata abitualmente, perché in tante situazioni risulta più maneggevole rispetto allo sci. La mia esperienza con le ciaspole si limitava quindi più o meno a questo, mentre Erminio Ferrari, che non sa sciare assolutamente pur essendo un ottimo alpinista, vive la montagna d’inverno solo con le ciaspole. Così, ci è venuta l’idea di andare in giro insieme e abbiamo creato una raccolta di escursioni adatte sia agli scialpinisti sia ai ciaspolatori. Per alcune di queste, che partono da altezze attorno agli 800 m (Valstrona, Val Cannobina) sono più comode le ciaspole, perché ci possono essere lunghi tratti nel bosco, altri invece sono più gratificanti con gli sci. Il libro raccoglie alcuni percorsi inediti e altri che invece sono dei gran classici e nel complesso è un lavoro che ci ha soddisfatto.
Ogni volta che succede qualche tragedia in montagna si parla di subito di divieti e di obblighi: il livello di consapevolezza di chi pratica alpinismo o scialpinismo negli ultimi anni è cresciuto secondo lei?
Devo dire che, in realtà, io mi stupisco di quanti pochi incidenti succedano. A me è capitato diverse volte – soprattutto con gli sci – di rinunciare alla gita perché ritenevo fosse pericoloso, e poi di leggere su Internet relazioni di chi sugli stessi itinerari, lo stesso giorno aveva fatto un po’ di tutto. Considerando anche il numero di persone che negli ultimi anni sono messe a praticare lo sci alpinismo – non si può certo dire che sia ancora uno sport d’élite, anzi – direi che gli incidenti non sono poi così tanti. Io stesso, peraltro, non credo di essere un esempio di prudenza, già due volte mi è successo di sopravvivere a una valanga, ma di sicuro ci sono persone che osano e rischiano più di me. E non è detto che non sappiano valutare, molto spesso probabilmente sono in grado di farlo, altrimenti gli incidenti sarebbero sicuramente di più.
Secondo il suo osservatorio di guida alpina ma soprattutto di grande conoscitore dell'Ossola, quali sono le maggiori difficoltà nella valorizzazione di questo territorio?
In questo periodo, passando in Val Vigezzo, ho notato che tre quarti degli alberghi sono chiusi, perché hanno completamente rinunciato alla stagione invernale. Ciò accade nonostante la valle sia meravigliosa per lo sci alpinismo e per le ciaspole, soprattutto in anni come questo, quando l’innevamento è perfetto. Purtroppo il comprensorio sciistico è limitato, ma è evidente che nessuno ha fino a oggi scommesso veramente su proposte alternative allo sci. La Val Vigezzo, come anche Macugnaga, ha poi il problema delle seconde case, che dopo un certo numero di anni finiscono per rimanere vuote e questo non aiuta certo il turismo. Macugnaga, per esempio, è un villaggio alpino di grande bellezza e potrebbe puntare sulla cultura alpina con una biblioteca e un centro dedicato alla storia dell’alpinismo, ai miti legati al Monte Rosa, alle epopee di chi lo ha vissuto. Del resto, i suoi percorsi alpinistici sono quasi tutti molto impegnativi e il comprensorio sciistico è ripido e relativamente piccolo, quindi la mossa vincente potrebbe proprio essere quella di valorizzare la cultura. La Val Formazza, invece, dovrebbe decidere se vuol essere una valle turistica o una valle mineraria, visto il numero di cave attive. Al momento la rivelazione turistica di tutta l’Ossola è l’Alpe Devero, che forse ha fatto delle scelte giuste, non avendo costruito altro rispetto all’esistente se non la strada, e riuscendo in ogni caso a isolare le auto. Adesso c’è un progetto relativo al collegamento sciistico con San Domenico, non particolarmente auspicabile a dire il vero, soprattutto essendo all’interno di un area-Parco.
Secondo lei che cosa cerca, oggi chi va in montagna?
Prima di tutto credo che chi va in montagna cerchi la vita all’aria aperta e il contatto con la natura. In questo senso per me l’arrampicata è l’attività che dà le sensazioni più belle, sia per l’idea di poter vincere il vuoto, sia a livello tattile, per il contatto con la roccia. Sicuramente poi entrano in gioco elementi come l’ambizione e l’emulazione ma credo che la prima delle cose che attrae chi va in montagna sia proprio la vicinanza con la natura. In Italia, le montagne sono gli unici spazi di contatto con l’ambiente, non abbiamo deserti o grandi praterie, se vogliamo isolarci e restare da soli nella natura tipicamente andiamo in montagna.
Se dovesse consigliare una "traccia bianca" tra tutte, quale sarebbe?
Sicuramente la Punta d’Arbola, che non è difficile e può regalare una bellissima due giorni dormendo al rifugio Margaroli, è un’ottima escursione sia con le ciaspole che con gli sci, e l’inverno è così benevolo da nascondere l’invadenza dei tralicci, di cui purtroppo la Val Formazza è rimasta vittima, pur restando un bellissimo posto.
Intervista di Simonetta Radice
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