Le più belle vie di roccia dell’Ossola dal I al IV grado
E' appena uscita la nuova guida di Alberto Paleari, “Le più belle vie di roccia dell’Ossola dal I al IV grado”. Una guida non usuale, per avvicinare, raccontare e “guidare” verso una montagna fatta di emozioni, paesaggi, spazi in cui immergersi per ritrovarsi, ricordare e riscoprire. Abbiamo chiesto all'autore di presentarcela chiedendogli il senso di questa sua ultima guida / racconto.
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Val Formazza sulla Cima della Freghera
Alberto Paleari
Alberto Paleari, alpinista, guida alpina, scrittore, a noi è sempre piaciuto. Ci è sempre piaciuto quel suo modo di raccontare la montagna e l'alpinismo mai slegati da ciò che sta loro attorno. Ci piacciono quelle sue visioni e quel suo raccontare una montagna semplice, vera, fuori dalle mode. Una montagna, insomma, diversa dai soliti depliant patinati, e perciò più nascosta, e perciò più vissuta e anche più vera. Per capire quello che diciamo, la cosa più semplice è rimandarvi ai suoi libri. Come Il viaggio di Oreste P.; Kerguelen; La casa della contessa; Ci sfiorava il soffio delle valanghe; Una valanga sulla est; Il giorno dell'astragalo. Oppure all'ultimo suo (splendido) romanzo Volevo solo amarti. Ma, allo stesso tempo, potremmo rimandarvi anche alle sue guide. Come la recente “Arrampicare, camminare, conoscere il Mottarone”. O "Le piu’ belle vie di roccia dell’Ossola dal I al IV grado", quest'ultima ancora fresca di stampa. Sì, perché anche nelle guide di Paleari troverete da leggere. Troverete stimoli per seguire una traccia. Per esplorare, prima con la fantasia, poi mettendovi lo zaino in spalla, la profondità della montagna. Aldilà del grado di difficoltà. Aldilà delle mode. Così, proprio in occasione dell'uscita di questa sua ultima guida sulle più belle vie (dal I al IV grado) dell'Ossola, ci è sembrato interessante proporre a Paleari non solo di presentarcerla, ma anche di spiegarci se (nell'era di internet) ha ancora senso una guida alpinistica su carta. E poi perché mai (nell'era in cui l'impossibile è dato per defunto) lui "spende" una guida per raccontare le vie con le difficoltà più "facili". Ecco le sue risposte che (crediamo e speriamo) vi porteranno lontano... in montagna.
La guida alpinistica nell’epoca della sua riproducibilità digitale di Alberto Paleari
Ha ancora senso scrivere guide alpinistiche nell’era di internet? Questa è la domanda che mi ponevo due anni fa quando iniziai a scrivere la guida sul Mottarone. Domanda che ha avuto una risposta affermativa, ed è per questo che dopo quella sul Mottarone ho deciso di scrivere un’altra guida alpinistica: “Le più belle vie di roccia dell’Ossola, dal I al V grado” (volume primo) a cui seguirà, com’è naturale, il volume secondo (dal V verso l’infinito). Ma qual è il senso di una guida alpinistica scritta da un autore e pubblicata da una casa editrice su pagine di carta quando tutto, o quasi tutto, si può sapere cercandolo sui vari siti gratuiti costruiti collettivamente da migliaia di alpinisti e scrittori dilettanti, in tempo quasi reale, che raccontano le loro salite corredandole di relazioni tecniche, fotografie, cartine e disegni? A questa seconda domanda non voglio rispondere qui con lunghe argomentazioni, sono certo che i lettori sapranno rispondersi da soli, dico soltanto che la guida alpinistica e le relazioni trovate sui siti sono due cose diverse, e il senso della guida alpinistica sta soprattutto nella sua diversità dalle relazioni pubblicate sui siti.
Erminio Ferrari, scrittore raffinato e reticente di storie che stanno lì, come sospese, tra il Lago Maggiore, le valli e le montagne dell’Ossola, mi ha scritto: “ho finito di leggere il tuo libro di racconti intitolato come una guida” - ironico, l’Erminio, ma ha ragione, è vero - infatti per scrivere questa guida ho cominciato dai racconti, quelli delle mie salite (la prima fu a quattordici anni sulle rocce sopra il mio paese, Gravellona) quelli delle salite dei miei amici, quelli delle salite dei miei maestri, quelli delle salite dei pionieri, quelli delle salite dei miei allievi, storie che non ho letto sui libri ma (quasi tutte) o che le ho vissute, o che me le hanno raccontate i protagonisti. Poi queste storie le ho messe in fila, secondo un percorso che andava (quasi sempre) dalla più vecchia alla più nuova, e che (quasi sempre) raccontavano le vie dalla più facile alla più difficile. Poi, quando ho deciso che dall’inizio alla fine il racconto generale aveva un senso, e che il libro era non solo la descrizione dei personaggi, dei sentimenti delle idee, delle imprese, dei panorami, delle montagne della mia splendida Val d’Ossola e dell’incanto della sua natura selvaggia, ma era anche un percorso di iniziazione all’alpinismo, attraverso le sue cento insidie e mille meraviglie, sono partito. Sono partito con gli scarponi e la macchina fotografica e la matita e un pezzo di carta e ho ripetuto tutte (quasi tutte) le vie dei racconti, anche se quasi tutte le avevo già fatte. E’ stata una bellissima estate quella dell’anno scorso.
“Ciao Alberto, mi ha scritto Giorgio Bertone, amico che dal mare guarda le montagne e dalle montagne il mare, alpinista e navigatore, ordinario a Genova di letteratura italiana, suo “Lo sguardo escluso, l’idea di paesaggio nella letteratura occidentale” (da Cézanne a Blade Runner, aggiungo io) ho appena ricevuto la tua guida sull’Ossola. Proprio bella nel comporre stile antico (ma sempre vero perché franco) alla Rebuffat e stile moderno con disegni e dati tecnici e stelline. C’è qualcosa (e ben più) del bilancio di una vita intera, senza nostalgie, ma preparata al futuro da una proposta precisa ( i luoghi, il paesaggio, la roccia, l’arrampicata, l’andar per monti) diciamo così eco-esistenziale. Soprattutto c’è quello che non c’è nelle vite e biografie d’oggi: un senso. La capacità di racchiudere tutto in un discorso che è refrattario alla dispersione, che contrasta con la dispersione del senso che è la caratteristica della identità surmoderna, l’identità liquida, come la chiama Bauman”. (aggiungo io) la roccia è solida e solido deve essere anche l’alpinista e lo scrittore.
E Luigi Ranzani , alpinista e filosofo, ma soprattutto amico che come me tra i filosofi ama il Benjamin parafrasato nel titolo, e che all’Infanzia Berlinese di Walter Benjamin ha voluto con me intitolare una nostra via al Mottarone ( ma se su Google cominciate a digitare Walter vi apparirà per primo Bonatti) mi scrive: “caro Alberto: dopo aver guardato per bene tutte le foto, il tuo libro l'ho messo sul comodino e ogni sera mi leggo un racconto. Mi sembra infatti che alla fine lo si possa leggere sia come la tua autobiografia che come una biografia delle montagne. Mi piace ancora di più di quello del Mottarone. Oltre alla qualità letteraria credo che verrà molto apprezzato - comprato - per la novità della concezione (didattica): e va bene che era l'idea del Rebuffat e tuttavia è andata man mano scomparendo, credo anche per colpa delle vie tutte spittate; dei blog e dei siti internet, oltre che per i livelli sempre più alti di chi fa libri di arrampicata e guarda alla montagna solo dal (suo) punto di vista sportivo. Il non aver trascurato i gradini bassi - anzi l'aver evidenziato il loro valore iniziatico, per così dire - è stato un gesto di grande intelligenza e umiltà. Spero che in molti te lo riconoscano”.
Sì Luigi, i gradini bassi, le vie di I, di II grado; chi descrive più le vie di I e di II grado? Oggi le guide partono dal 5a, che è proprio dove finisce la mia. Gradini bassi che non vuol dire facili, sono proprio i primi gradini della scala quelli più difficili e, dico la verità, di tutti gli itinerari sono quella dozzina che non arrivano al III grado quelli che ho percorso più volentieri, sono quelli della Val Vigezzo, della Val Grande, della misteriosa Valle Isorno, quelli con meno roccia e dove bisogna camminare tanto per arrampicare poco. Le vie più selvagge, quelle dove non si rischia di trovare la folla, le più esclusive, e l’esclusività non la fa l’abilità nell’arrampicata ma la fatica.
E qui devo rispondere alla domanda che tutti mi fanno: delle vie di roccia più belle dell’Ossola qual’è la più bella? La risposta è che la più bella è anche la più famosa: lo spigolo Sud-Est della Rossa, all’Alpe Devero una via di III e IV grado aperta dalla guida di Domodossola Silvio Borsetti nel 1947, ma la via che più amo è la Parete Ovest del Pizzo Crampiolo Sud, sempre all’Alpe Devero V, V+, aperta nel 1956 dal’alpinista di Verbania Tino Micotti.
Le vie scoperte, o riscoperte, scrivendo la guida che più mi hanno dato soddisfazione sono la Cresta Sud-Est della Cima dei Campelli in Valle Vigezzo, di II e III grado, aperta nel 1926 da Aldo Bonacossa con la moglie Ester della Valle, e la Parete Est della Quota 2337 della Cima della Freghera, aperta dalle guide di Ornavasso e Gravellona Alberto Giovanola e Giuseppe Burlone, una via moderna, una delle poche con gli spit di tutta la guida, di V grado, sulla roccia più bella dell’Ossola, aperta in un luogo bellissimo, appartato e poco conosciuto.
Qualcuno ha detto che questo libro è un romanzo, il romanzo delle più belle vie di roccia dell’Ossola. Io, visto che ci sono 160 fotografie credo che alla fine sia diventato un fotoromanzo, ma confesso che fin dalla prima pagina, dall’iniziale invocazione alla musa, il mio proposito è stato quello di scrivere un poema epico in cui gli alpinisti comparissero come eroi omerici: tracotanti - modesti - astuti – generosi - audaci – codardi - instancabili – pigri – pii – blasfemi – rudi – delicati – miti – furiosi – sinceri – bugiardi – stupidi – intelligenti – testardi - infantili – narcisisti – umili – arroganti ma sempre, sempre, sempre , nei loro pregi e difetti personaggi esemplari, nobili, grandi, a volte anche eccessivi, perché non esiste alpinista che non sia stato toccato, influenzato, contagiato, dalla grandiosità, dalla nobiltà, dalla severità, dalla solenne immensità della montagne.
Alberto Paleari.
La guida alpinistica nell’epoca della sua riproducibilità digitale di Alberto Paleari
Ha ancora senso scrivere guide alpinistiche nell’era di internet? Questa è la domanda che mi ponevo due anni fa quando iniziai a scrivere la guida sul Mottarone. Domanda che ha avuto una risposta affermativa, ed è per questo che dopo quella sul Mottarone ho deciso di scrivere un’altra guida alpinistica: “Le più belle vie di roccia dell’Ossola, dal I al V grado” (volume primo) a cui seguirà, com’è naturale, il volume secondo (dal V verso l’infinito). Ma qual è il senso di una guida alpinistica scritta da un autore e pubblicata da una casa editrice su pagine di carta quando tutto, o quasi tutto, si può sapere cercandolo sui vari siti gratuiti costruiti collettivamente da migliaia di alpinisti e scrittori dilettanti, in tempo quasi reale, che raccontano le loro salite corredandole di relazioni tecniche, fotografie, cartine e disegni? A questa seconda domanda non voglio rispondere qui con lunghe argomentazioni, sono certo che i lettori sapranno rispondersi da soli, dico soltanto che la guida alpinistica e le relazioni trovate sui siti sono due cose diverse, e il senso della guida alpinistica sta soprattutto nella sua diversità dalle relazioni pubblicate sui siti.
Erminio Ferrari, scrittore raffinato e reticente di storie che stanno lì, come sospese, tra il Lago Maggiore, le valli e le montagne dell’Ossola, mi ha scritto: “ho finito di leggere il tuo libro di racconti intitolato come una guida” - ironico, l’Erminio, ma ha ragione, è vero - infatti per scrivere questa guida ho cominciato dai racconti, quelli delle mie salite (la prima fu a quattordici anni sulle rocce sopra il mio paese, Gravellona) quelli delle salite dei miei amici, quelli delle salite dei miei maestri, quelli delle salite dei pionieri, quelli delle salite dei miei allievi, storie che non ho letto sui libri ma (quasi tutte) o che le ho vissute, o che me le hanno raccontate i protagonisti. Poi queste storie le ho messe in fila, secondo un percorso che andava (quasi sempre) dalla più vecchia alla più nuova, e che (quasi sempre) raccontavano le vie dalla più facile alla più difficile. Poi, quando ho deciso che dall’inizio alla fine il racconto generale aveva un senso, e che il libro era non solo la descrizione dei personaggi, dei sentimenti delle idee, delle imprese, dei panorami, delle montagne della mia splendida Val d’Ossola e dell’incanto della sua natura selvaggia, ma era anche un percorso di iniziazione all’alpinismo, attraverso le sue cento insidie e mille meraviglie, sono partito. Sono partito con gli scarponi e la macchina fotografica e la matita e un pezzo di carta e ho ripetuto tutte (quasi tutte) le vie dei racconti, anche se quasi tutte le avevo già fatte. E’ stata una bellissima estate quella dell’anno scorso.
“Ciao Alberto, mi ha scritto Giorgio Bertone, amico che dal mare guarda le montagne e dalle montagne il mare, alpinista e navigatore, ordinario a Genova di letteratura italiana, suo “Lo sguardo escluso, l’idea di paesaggio nella letteratura occidentale” (da Cézanne a Blade Runner, aggiungo io) ho appena ricevuto la tua guida sull’Ossola. Proprio bella nel comporre stile antico (ma sempre vero perché franco) alla Rebuffat e stile moderno con disegni e dati tecnici e stelline. C’è qualcosa (e ben più) del bilancio di una vita intera, senza nostalgie, ma preparata al futuro da una proposta precisa ( i luoghi, il paesaggio, la roccia, l’arrampicata, l’andar per monti) diciamo così eco-esistenziale. Soprattutto c’è quello che non c’è nelle vite e biografie d’oggi: un senso. La capacità di racchiudere tutto in un discorso che è refrattario alla dispersione, che contrasta con la dispersione del senso che è la caratteristica della identità surmoderna, l’identità liquida, come la chiama Bauman”. (aggiungo io) la roccia è solida e solido deve essere anche l’alpinista e lo scrittore.
E Luigi Ranzani , alpinista e filosofo, ma soprattutto amico che come me tra i filosofi ama il Benjamin parafrasato nel titolo, e che all’Infanzia Berlinese di Walter Benjamin ha voluto con me intitolare una nostra via al Mottarone ( ma se su Google cominciate a digitare Walter vi apparirà per primo Bonatti) mi scrive: “caro Alberto: dopo aver guardato per bene tutte le foto, il tuo libro l'ho messo sul comodino e ogni sera mi leggo un racconto. Mi sembra infatti che alla fine lo si possa leggere sia come la tua autobiografia che come una biografia delle montagne. Mi piace ancora di più di quello del Mottarone. Oltre alla qualità letteraria credo che verrà molto apprezzato - comprato - per la novità della concezione (didattica): e va bene che era l'idea del Rebuffat e tuttavia è andata man mano scomparendo, credo anche per colpa delle vie tutte spittate; dei blog e dei siti internet, oltre che per i livelli sempre più alti di chi fa libri di arrampicata e guarda alla montagna solo dal (suo) punto di vista sportivo. Il non aver trascurato i gradini bassi - anzi l'aver evidenziato il loro valore iniziatico, per così dire - è stato un gesto di grande intelligenza e umiltà. Spero che in molti te lo riconoscano”.
Sì Luigi, i gradini bassi, le vie di I, di II grado; chi descrive più le vie di I e di II grado? Oggi le guide partono dal 5a, che è proprio dove finisce la mia. Gradini bassi che non vuol dire facili, sono proprio i primi gradini della scala quelli più difficili e, dico la verità, di tutti gli itinerari sono quella dozzina che non arrivano al III grado quelli che ho percorso più volentieri, sono quelli della Val Vigezzo, della Val Grande, della misteriosa Valle Isorno, quelli con meno roccia e dove bisogna camminare tanto per arrampicare poco. Le vie più selvagge, quelle dove non si rischia di trovare la folla, le più esclusive, e l’esclusività non la fa l’abilità nell’arrampicata ma la fatica.
E qui devo rispondere alla domanda che tutti mi fanno: delle vie di roccia più belle dell’Ossola qual’è la più bella? La risposta è che la più bella è anche la più famosa: lo spigolo Sud-Est della Rossa, all’Alpe Devero una via di III e IV grado aperta dalla guida di Domodossola Silvio Borsetti nel 1947, ma la via che più amo è la Parete Ovest del Pizzo Crampiolo Sud, sempre all’Alpe Devero V, V+, aperta nel 1956 dal’alpinista di Verbania Tino Micotti.
Le vie scoperte, o riscoperte, scrivendo la guida che più mi hanno dato soddisfazione sono la Cresta Sud-Est della Cima dei Campelli in Valle Vigezzo, di II e III grado, aperta nel 1926 da Aldo Bonacossa con la moglie Ester della Valle, e la Parete Est della Quota 2337 della Cima della Freghera, aperta dalle guide di Ornavasso e Gravellona Alberto Giovanola e Giuseppe Burlone, una via moderna, una delle poche con gli spit di tutta la guida, di V grado, sulla roccia più bella dell’Ossola, aperta in un luogo bellissimo, appartato e poco conosciuto.
Qualcuno ha detto che questo libro è un romanzo, il romanzo delle più belle vie di roccia dell’Ossola. Io, visto che ci sono 160 fotografie credo che alla fine sia diventato un fotoromanzo, ma confesso che fin dalla prima pagina, dall’iniziale invocazione alla musa, il mio proposito è stato quello di scrivere un poema epico in cui gli alpinisti comparissero come eroi omerici: tracotanti - modesti - astuti – generosi - audaci – codardi - instancabili – pigri – pii – blasfemi – rudi – delicati – miti – furiosi – sinceri – bugiardi – stupidi – intelligenti – testardi - infantili – narcisisti – umili – arroganti ma sempre, sempre, sempre , nei loro pregi e difetti personaggi esemplari, nobili, grandi, a volte anche eccessivi, perché non esiste alpinista che non sia stato toccato, influenzato, contagiato, dalla grandiosità, dalla nobiltà, dalla severità, dalla solenne immensità della montagne.
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