Yvon Chouinard, la Responsabilità Collettiva verso la Terra
Yvon Chouinard, fondatore dell'azienda america di capi per la montagna e l'outdoor Patagonia, spiega la sua politica ambientale.
Salviamo l'ambiente, salviamo la terra! Tutti siamo d'accordo, tutti lo vogliamo! Molto più difficile è capire qual è l'impatto sostenibile del nostro progresso sul pianeta e quale strada percorrere per far fronte a un'emergenza divenuta sempre più pressante. Yvon Chouinard, alpinista, surfista e pescatore, nonché fondatore e proprietario di "Patagonia" famosissima azienda america di capi per la montagna e l'outdoor, in questa lettera aperta ci spiega cosa lui e la sua Azienda da molto tempo cercano di mettere in pratica. Un progetto e un approccio alla "politica ambientale" che Chouinard definisce vitale per le aziende e che, senz'altro, interessa tutti noi. Scrive Yvon: 'Su un pianeta davvero in pericolo non ha senso parlare di azionisti, clienti, impiegati. Come amava dire l’ambientalista David Bower, «Non c’è modo di trarre risorse e profitto su un pianeta morto".' Come dargli torto? Ma cosa significa comportarsi responsabilmente verso l’ambiente? La Patagonia, ci spiega Chouinard, ha impiegato "quasi 25 anni di lavoro per arrivare a formulare questa domanda. E altri 15 di tentativi ed errori per scoprire la strada che Patagonia – e qualsiasi altra azienda votata alla causa ambientalista – avrebbe dovuto percorre per poter rispondere". La storia di questa ricerca ci sembra davvero un'esperienza da ascoltare, soprattutto per quanto propone e per quanto è applicata. Una strada, appunto, per cercare risposte e per rispondere con i fatti. LA RESPONSABILITA' COLLETTIVA VERSO LA TERRA di Yvon Chouinard Quando ero un’alpinista e producevo attrezzature per gli amici, non mi ero per niente calato nel ruolo di “uomo d’affari” e ho lottato con i demoni della responsabilità collettiva per un bel po’, fino a quando sono realmente diventato buisnessman. A chi devono rispondere in primo luogo le attività commerciali? Agli azionisti? Ai clienti? Ai propri impiegati? Sono arrivato a pensare che non si tratti di nessuno di questi. Fondamentalmente le attività commerciali sono responsabili dell’unica risorsa indispensabilie. Su un pianeta davvero in pericolo non ha senso parlare di azionisti, clienti, impiegati. Come amava dire l’ambientalista David Bower, “Non c’è modo di trarre risorse e profitto su un pianeta morto.” Ma cosa significa comportarsi responsabilimente verso l’ambiente? Ci sono voluti quasi 25 anni di lavoro per arrivare a formulare questa domanda. E altri 15 di tentativi ed errori per scoprire la strada che Patagonia – e qualsiasi altra azienda votata alla causa ambientalista – avrebbe dovuto percorre per poter rispondere. Penso di essere in grado di riassumere questo percorso in cinque passi. Valgono per ognuno di noi e per le aziende intenzionate ad evitare comportamenti dannosi e fare la differenza. Primo: vivere con consapevolezza e coscienza. La maggior parte dei danni umani all’ambiente sono il frutto di ignoranza. L’ignoranza diventa intenzionale quando evitiamo di affrontare i problemi: quando ci rifutiamo di imparare perché è più comodo dimenticare quel che l’esperienza ci insegna. Faccio un’esempio: quindici anni fa, non avevamo idea di quale delle quattro fibre di maggior consumo (cotone, lana, poliestere, nylon) causasse il maggiore danno ambientale . e di che entità fosse il danno. Davamo per scontato che il cotone “naturale” fosse il meno dannoso e il poliestere derivato dal petrolio il peggiore. Solo dopo avere commissionato una dettagliata ricerca sulle quattro fibre abbiamo scoperto la verità: il cotone coltivato convenzionalmente, cioè con l’utilizzo del 25% di tuttti gli insetticidi (l’8% di tutti i pesticidi agricoli), si dimostrò il peggiore. Da allora, ci siamo posti molte più domande che ci hanno portato ad agire – ad utilizzare il poliestere riciclato e tinture meno dannose e ad elimiare il PVC (polyvinyl chloride) nei tessuti delle nostre valigie. Secondo: agire in modo pulito. Una volta valutata la mole del danno ambientale, cercare di ridurla. E quando è possibile contenere i danni, farlo. Una volta appreso quanto dannoso fosse il cotone, abbiamo cercato una valida alternativa. E ne abbiamo trovata una. Il cotone organico non era dannoso, ma era difficile da acquistare (perché se ne coltivava poco) e da lavorare. Per aiutare la svolta a favore dell’organico, dovevamo costruire nuove infrastrutture, dai coltivatori agli sgranatori, dai filatori ai tessitori e ai magliai. Lo abbiamo fatto in due soli anni. Tutti noi di Patagonia, presa coscienza dei danni che avremmo potuto arrecare e dell’alternativa, abbiamo lavorato con entusiasmo per poter attuare quel cambiamento nel più breve tempo possibile. Come noi i nostri partner in affari. Alla gente, inquadrato un problema, piace sapere di fare la cosa giusta. Terzo: fare penitenza. Per quanto attenta, ogni azienda produce danni e inquinamento. La nostra iniziale ricerca tessile aveva chiarito che l’Antimonio, un metallo pesante dannoso, veniva utilizzato nella produzione della resina di poliestere. Eliminare l’Antimonio significava mettere in campo le maggiori aziende chimiche: era la battaglie di Davide contro Golia. Come qualsiasi azienda responsabile, Patagonia dovrebbe pentirsi delle proprie colpe e lavorare per trovare il modo di agire in modo alternativo. La nostra penitenza consiste in una sorta di volontaria “tassa sulla terra”. Per molti anni abbiamo devoluto una percentuale dei nostri profitti a piccole organizzazioni ambientaliste che lavorano per sanare e preservare l’ambiente. Nel 1996 abbiamo iniziato a donare l’1% delle vendite a queste organizzazioni, negli anni migliori e quelli peggiori, senza badare all’ammontare del profitto. Nel corso degli anni abbiamo donato circa 20 millioni di dollari a migliaia di gruppi. Quarto: sostenere la democrazia. E’ ovvio che che i governi e le collettività detengano molto potere, ma altrettanto ne possono avere i piccoli gruppi di persone che con passione si occupano di un singolo problema e si votano alla propria causa. I più signifiactivi movimenti sociali degli ultimi 200 anni – per la democrazia stessa, per i diritti della donna, per l’eguaglianza sociale, per la conservazione e la preservazione dell’ambiente – sono nati in seno a piccoli gruppi di persone impegnati a diffondere la propria parola e a coinvolgere altre persone. Oggi negli Stati Uniti, piccoli gruppi di kayaker e pescatori lavorano incessamente per abbattere le dighe; i cacciatori di anitre s’impegnano per preservare le zone palustri. E sono le loro madri a dare il contribuito maggiore per il ripristino di quelle piccole realtà naturali in pericolo. Dalla mia vita all’aria aperta ho imparato che la natura predilige la diversità e rifugge la monocultura e la centralizzazione. Migliaia di diversi gruppi di attivisti, ognuno impegnato a risolvere con passione un problema diverso, possono fare più di tanti boriosi, inconcludenti enti governativi e non-governativi, illusi di poter risolvere tutti i problemi in una volta sola. E anche se mi batto per leggi più radicali, non ho fiducia nel mio governo. Sostengo gli attivisti di prima linea, chi si batte per salvare un fiume o un gruppo di alberi, chi tenta di salvaguardare un piccolo angolo di terra o un pozzo d’aqua. Queste sono le persone che maggiormente mettono in scacco la collettività e incarnano la faccia onesta del governo. Questi sono i gruppi ai quali devolviamo i nostri soldi. Quinto (obbligato, se si segueno gli altri punti): coinvolgere altre aziende. L’azienda che trova il modo per essere maggiormente responsabile verso l’ambiente ha l’obbligo di diffondere la propria parola alle altre – di condividere la conoscenza di ciò che può essere fatto. I coltivatori di cotone organico, gli sgranatori, i filatori, i tessitori, i magliai e i produttori di abbigliamento che hanno risposto al nostro richiamo ne hanno ricavato nuove fonti di reddito. Di conseguenza il costo del cotone organico si è notevolmente ridotto con la commercializzazione. Alla gente, in fondo, piace fare la cosa giusta. Mike Brown, alla guida del nostro team ricerca ambientale negli anni novanta, è ora leader dell’organizzazione Eco-Partners, che riunisce i funzionari di compagnie diverse quali Nike, Mountai Equipment Co-op e anche Ford Mtotr Company, per lo scambio di informazione e conoscenza. Si, adesso stiamo lavorando nel settore tessile per eliminare l’uso dell’Antimonio (e di methyl bromide) nel poliestere. E inoltre abbiamo fondato l’organizzazione “1% for the Planet, Inc.” per incoraggiare altre aziende a dare il prorio contribuito agli ambientalisti che stanno facendo la differenza. Per concludere, la responsabilità sociale di Patagonia rimarrà sempre un nodo cruciale, e probabilmente non saremo in grado in breve tempo di creare un prodotto del tutto pulito (riciclabile a tutti gli effetti). Dobbiamo percorre tanta strada e non abbiamo una mappa – ma sappaimo bene leggere il terreno, e vogliamo andare avanti, passo dopo passo. Yvon Couinard Yvon Chouinard. Pioniere delle big wall nello Yosemite, ha all'attivo una miriade di prime salite, tra cui spiccano "North America Wall" e "Muir Wall" in Yosemite e "American Route" al Fitzroy in Patagonia. Definito spesso il padre dell'arrampicata americana su ghiaccio, nel '57 appena 19enne iniziò la sua attività commerciale producendo moschettoni e chiodi. Assieme a Tom Frost fondò la Chouinard Equipment, Ltd, (ora Black Diamond, Equipment), che rivoluzionò l'attrezzatura di montagna e diventò punto di riferimento per la qualità e design. La decisione di abbandonare la produzione di chiodi a favore di nuts negli anni 70, a causa dei danni che essi lasciano sulla roccia, tenne a battesimo l'era del "Clean climbing." Nel 1973 creò l'azienda d'abbigliamento Patagonia, di cui è proprietario e amministratore delegato. Nel 2001 fondo "1% For The Planet, Inc." una alleanza di aziende che dona almeno l'1% del loro reddito netto a organizzazione impegnate nella tutela dell'ambiente.. Foto dall'alto: Yvon Chouinard (foto Ted Wood): Cerro Torre, Patagonia (foto M. Cominetti); leoni di mare, Punto Valdez, Patagonia (foto N. Hobley); ghiacciao, Patagonia (foto M. Cominetti).
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