Wafaa Amer e l’arte di perfezionare ogni movimento

Intervista alla climber di origini egiziane Wafaa Amer, una donna libera. L'intervista è a cura di Jacopo Secchi, effettuata durante il Trento Film Festival 2024.
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La climber egiziana Amer Wafaa
archivio La Sportiva

Avevo letto alcune interviste di Wafaa Amer ma non l’avevo mai incontrata prima, e così decido di iniziare con le classiche domande "rompighiaccio": "Vuoi presentarti in breve?" … "Chi è Wafaa al di fuori dell’arrampicata?" La risposta arriva senza esitazione:

"Diciamo che cerco sempre di essere me stessa, anche all'interno del mondo dell’arrampicata. In realtà sono una persona molto alla mano, che scherza, ride, vive tutto in maniera "leggera". Sono una persona che ha molte passioni come l'arte, la pittura, la cultura musicale, il cinema, la moda, creare vestiti. Al di fuori dell’arrampicata, sono questa, una persona completamente appassionata di tutto e di più, che fa fatica a star dentro a tutto ovviamente."

Ti senti di confermare l’arrampicata come una delle tue passioni più importanti?
"Certo, per forza. È nata quando ero piccola, È proprio una passione, non c'è un altro modo per spiegarlo; e non è un’ossessione, questo è importante perché secondo me c'è sempre un confine sottile tra una passione è un’ossessione. Anche quando sono presa da mille cose e pensieri, se devo sfogarmi, la prima cosa che mi viene in mente è l'arrampicata. Non la pittura, non la moda, ma ho bisogno di arrampicare… Quindi è per questo che è la prima passione."

Una passione fortissima che porta a risultati e soddisfazioni ma che si interseca con situazioni non sempre semplici da gestire, infatti Wafaa non nasconde che "quando ho iniziato a scalare, questa comunità e rete di persone che mi hanno aiutata in tutto e per tutto a emergere, a dare valore a una cosa in cui sono brava, non è una cosa che era ben vista dalla mia famiglia. Non tanto da tutta la mia famiglia… Nello specifico da mio papà. In parte per via delle regole e dei limiti legati alla nostra cultura e in parte perché non abituato a quel genere di vita."

Vuoi condividere un aneddoto divertente legato all’arrampicata?
"Mia mamma e i miei fratelli, fin da quando ero piccola, avevano compreso questa mia passione e mi hanno aiutato moltissimo. Un aneddoto divertente di quando andavo a far le gare era quando ingannavamo papà. Al mio rientro, mio fratello fingeva di buttare la spazzatura, ma in realtà scendeva con il mio cambio e poi potevamo salire insieme indossando il pigiama. Ovviamente dopo un po’ di volte papà aveva capito, però tutta la parte divertente che si era creata nell’avere anche la maturità di vedere le cose in maniera positiva e di pensare «Ok, mio padre non mi lascia fare questa cosa che a me piace tanto, potrei starci male, ma riesco ugualmente a farlo con un piccolo inganno innocente»."

Come hai vissuto il senso del "proibito" allenandoti di nascosto? Frustrazione o esaltazione?
"Sono uno spirito ribelle fin da quando ero piccola, sono sempre stata controcorrente, e non posso negare il senso di frustrazione e che ci stavo male, ma mi dava anche carica. Quando dicono che sono le situazioni difficili che ti fanno fare "le ossa", è proprio vero. Se io dovessi tornare indietro nel tempo, lo ringrazierei mio padre, perché comunque è anche grazie a questa situazione in cui non mi era permesso fare tante cose che mi ero impuntata, perché per me era importante e continuavo a farla nonostante tutte le difficoltà. In falesia andavo a scalare presto con gli amici, e mentre loro potevano rimanere fino a tardi, io ero sempre di corsa. Dovevo sempre raggiungere casa prima dell’arrivo di mio padre, così che non potesse accorgersi che ero fuori. Anche quando ero in palestra o a far gare mi veniva l’ansia e la paura che mi scoprisse e ovviamente il dubbio di fare qualcosa di sbagliato. A 15 anni non hai la maturità di capire che stai facendo qualcosa di giusto o di sbagliato, quindi il dubbio mi veniva sempre. A volte pensavo «Ma chi me lo fa fare» eppure c'era sempre qualcosa in più che mi spingeva, era la mia grande passione per l’arrampicata."

Dai suoi racconti si intuisce che Wafaa è una donna completa e "Hura" (… questo termine lo lasciamo spiegare direttamente a Wafaa al termine dell’intervista) che oltre alla passione per l’arrampicata cura e si occupa di altri progetti e attività. Come la moda.

"Mi piaceva l'idea di creare dei capi d'abbigliamento che potessero essere utili nell’ambiente outdoor, ma allo stesso tempo che si potessero indossare tutti i giorni. Qualcosa che non apparisse come mirato esclusivamente alla scalata, ma anche di casual che si potesse indossare per un’uscita serale con gli amici. È una cosa molto difficile, però ho sempre avuto un po’ la creatività di creare capi di abbigliamento, già quando ero piccola li disegnavo. Mi capita di truccarmi anche quando scalo. Sentirmi bella anche nell'ambiente che mi fa star bene è passione, è amore per se stessi. L’unione di queste passioni sarebbe creare dei capi d’abbigliamento outdoor/casual. Alla fine è moda, creare uno stile proprio senza necessariamente seguire la massa. È arte e tutto ciò che è arte a me piace, quindi secondo me si possono legare volendo, è molto difficile ma si può."

Fast fashion e sostenibilità, cosa ci dici?
"Posso dire una cosa? Questa è la domanda più bella che mi abbiano fatto fino a ora, perché da persona ignorante quale ero prima di andare a studiare a Milano, non avevo idea di cosa fosse esattamente il fast fashion. Ho studiato "sociologia della moda" e di conseguenza tutti i materiali con cui si fanno i capi d’abbigliamento, dai materiali di origine animale a quelli naturali fino a quelli chimici creati in laboratorio dall’uomo. Non avevo idea di tutto questo e quando ho iniziato a studiare mi si è aperto un mondo. Come tutti i giovani senza grandi possibilità ero solita anch'io comprare quello che mi potevo permettere, e quindi la scelta ricadeva su capi dalle grandi catene, a tutti gli effetti "fast fashion". Ci sono delle alternative e l'ho imparato studiando e prendendo consapevolezza dei danni che provoca, dall’impatto sull’ambiente fino a quello relativo alle condizioni di lavoro delle persone del terzo mondo, per non parlare delle ripercussioni sulla salute. Dopo questa presa di coscienza, ho scoperto i mercati dell'usato e sono esattamente due anni che non compro in un negozio. Vado sempre al mercato dell’usato. Il più delle volte riesco a trovare delle cose uniche e quindi risultare completamente diversa dagli altri anche nel vestire. Adoro le cose strane e diverse dal solito. Spesso guardando l'etichetta mi accorgo che il più delle volte sono capi di qualità, Made in Italy. Comprando usato, aiuti; dalle persone che vendono alle bancarelle, fino ad arrivare all’ambiente perché sei sostenibile e così facendo non rientri nel ciclo del fast fashion. Personalmente non sono schizzinosa, le cose basta lavarle bene e poi così facendo riesco veramente a trovare delle chicche particolari, oltre a sentirmi meglio con me stessa ed il mondo."

Arriviamo alla domanda clou del 72. Trento Film Festival, quella legata al manifesto di quest’edizione: cosa ti viene in mente quando pensi alla montagna come donna?
"Mi viene in mente un cartone animato che ero solita guardare con un'isola con il volto di una donna, lunghi capelli e grandi braccia che avvolgevano una montagna. Mi ha sempre fatto pensare che la donna ha la capacità di accogliere, comprendere, sostenere. È una capacità che tutti hanno, ma la donna è anche in grado di generare vita. La donna è vita."

Siamo vicini al concetto di "inclusione" nel mondo dell’arrampicata o c’è ancora molto da fare?
"Secondo me la scalata è molto vicina al concetto di inclusione, lo dico per mia esperienza, per quello che ho vissuto, ma anche per quello che vedo. Per quanto mi riguarda include e accoglie persone di qualunque provenienza, senza distinzioni di genere, colore della pelle o abilità. La scalata non fa distinzioni o discriminazioni, è esattamente quello che mi piacerebbe che esistesse nel mondo. Tutti possono scalare."

Muri da abbattere e pareti da scalare, cosa accomuna o differenzia questi due concetti?
"Penso alla mia storia. Grazie all’arrampicata ho abbattuto molti preconcetti. Andando avanti li ho fatti abbattere anche a chi mi stava intorno, a mia mamma, alle mie sorelle e a tutte le donne della nostra cultura araba. Credo che sia proprio grazie all'arrampicata che ho buttato giù il limite nel pensiero che se sei donna, hai una "destinazione" precisa. Da dove provengo, la donna nasce, cresce, si sposa, ha figli e dedica la sua esistenza solo a quello e alla casa. È questo che intendo con "destinazione". L’arrampicata mi ha aiutato ad abbattere questo muro perché non accettavo tutto questo. Col passare del tempo ho deciso di distaccarmi completamente da molti aspetti della mia cultura di origine. Ho fatto molta fatica perché comunque in Egitto abbiamo ricevuto un determinato tipo di insegnamento. Quindi sì, l’arrampicata mi ha aiutata. Mentre scalo sto buttando giù un muro molto importante".

E rispetto a libertà e costrizioni che cosa ci puoi dire?
"Questa è veramente una bella domanda. Quali sono le libertà che sono riuscita a ottenere e quali erano le costrizioni a cui ho dovuto sottostare… La scalata per me è stato un viaggio in cui sono sempre stata alla ricerca di una dimensione mia, quella all'interno della quale puoi stare, e puoi stare bene. La cosa che mi aveva un po’ disturbato quando iniziavo a emergere nell’arrampicata, era il fatto di essere quasi costretta a dare sempre il massimo, a fare sempre gradi alti. Non esiste altro, devi concentrare tutta te stessa in quello. È una scelta di vita e ammiro chi ha questa determinazione. Io però ho fatto di tutto per uscire dalla mia cultura e per andare verso la mia dimensione, che sia giusta o sbagliata. Mi sembra assurdo che io mi debba rinchiudere dentro a un mondo che è la mia passione facendola diventare un mio limite. C'è stato un momento in cui mi sono sentita costretta a dover dare, a dover fare. Ma per quanto mi riguarda e per quella che sono oggi, non voglio che ci siano costrizioni in ciò che mi piace di più fare. Voglio vivere al meglio questa mia passione, questa mia dimensione. Ci sono delle volte in cui ho voglia di fare il grado duro, quello difficile, e allora mi impegno e lo faccio per mantenere il mio allenamento, perché comunque mi piace, è come lavorare a un'opera d’arte. È davvero un'opera d’arte il perfezionare ogni movimento per poter fare al meglio quello dopo, ma non voglio fissarmi solo sul concetto di "tiro duro" perché voglio vedere tante sfaccettature nell'arrampicata, tra cui la mia dimensione, quella in cui sto bene, in cui scalo per il piacere di scalare. Quindi una volta ho voglia di fare il grado duro, bene; un’altra ho voglia di scalare con i miei amici e basta, benissimo. Non voglio che ci sia una costrizione."

Un sogno nel cassetto che vorresti realizzare?
"Ce ne son tanti, però il più importante è quello di riuscire finalmente a sentirci, io e la mia famiglia, veramente parte di questo paese. Io non ho molte difficoltà da questo punto di vista, però vedo la mia famiglia che patisce e mi piacerebbe davvero tanto che le persone avessero più rispetto per il prossimo, per la nostra cultura. Non vedo perché la mia famiglia debba essere discriminata. Succede quasi tutti i giorni e non è una cosa bella. Quindi il mio sogno è che arrivi il giorno in cui finalmente potremo sentirci veramente parte di questo paese, perché io mi sento parte di questo paese nonostante le nostre origini ed il colore della pelle più scura."

Una parola in egiziano che ti rappresenta?
"Quella che mi sono tatuata sul braccio: "Hura" (Libera)."

di Jacopo Secchi




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