Intervista a Michel Piola: l'arrampicata sul Monte Bianco, la ricerca e una storia che continua

La storia del favoloso mondo di Babette, ovvero la meraviglia dell'arrampicata sul granito del Monte Bianco partendo dall'Envers des Aiguilles. Intervista a Michel Piola, uno dei più prolifici e forti alpinisti del mondo che in oltre 30 anni di attività ha lasciato un segno indelebile sull'arrampicata, aprendo vie di inestimabile valore sia per bellezza sia per stile d'apertura, soprattutto nel regno del Monte Bianco dove le sue vie sono state e rimangono tuttora un importante banco di prova per ogni generazioni di alpinisti. In questa rara intervista concessa a Maurizio Oviglia, Piola parla della sua arrampicata e della sua continua ricerca di linee ancora mai salite.
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Michel Piola sul quinto tiro di Le Marchand de Sable, Tour Rouge (Monte Bianco)
Pascal Strappazzon e Vincent Sprüngli
Verso la metà degli anni ottanta vi era un rifugio nel cuore delle Aiguilles de Chamonix, proprio sopra il placido fiume di ghiaccio della Mer de Glace, che catalizzava l’attenzione di tutti gli arrampicatori. Per la prima volta anche chi non era pratico di alpinismo si avventurava su vie di montagna, per la prima volta potevi vedere sul Monte Bianco scalatori arrampicare in t-shirt e variopinti collant. Questo rifugio si chiama Envers des Aiguilles ed allora era gestito da Babette, una donna energica e gentile nello stesso tempo, un vero mito della mia generazione. Allora, un rifugio gestito da una donna, era un caso più unico che raro nelle Alpi! Era il "magico mondo di Babette", un universo fatto di guglie di granito dorato, di vie bellissime, direi quasi perfette, dove l’arrampicatore soggiornava in rifugio anche per più giorni, concatenandone il più possibile. Una volta tornati in rifugio potevamo parlare con Babette di quello che avevamo fatto, delle nostre impressioni, persino avanzare timidamente delle critiche. Prima di dedicarsi alla omelette della cena lei annotava tutto su un quaderno che, si diceva, poi avrebbe mostrato a Michel Piola, non appena Lui sarebbe tornato. Ogni tanto sgridati ma anche coccolati da quella "gardienne" così informale, qualche volta sulla roccia dove non potesse sentirci ci lamentavamoun po’…. ma in fondo in fondo ci piaceva trovare una donna ad aspettarci, il rifugio tutto in ordine e pulito, le tendine curate alla finestra, la cena già quasi pronta; una che ci capisse, che comprendesse il nostro linguaggio, tanto da sembrare una di noi… Speravamo segretamente di incontrare un giorno colui che consideravamo l’artefice di tutto questo, il profeta del cambiamento, l’apritore che più di tutti era riuscito a coniugare etica ed estetica sulle rocce del Monte Bianco. Non lo incontrammo mai, nè avemmo la fortuna di vederlo all’opera, rimase insomma il nostro mito ideale. Del resto lui era sempre in qualche nuovo posto, era "avanti", mentre noi potevamo solo accontentarci di ripercorrere le vie aperte due o tre anni prima. Oggi quell’uomo è un tranquillo 56enne che divide il suo tempo tra montagna e riattrezzatura proprio di quelle vie che hanno reso popolare il Monte Bianco presso tutti gli scalatori del pianeta. Pur essendo un’icona dell’alpinismo mondiale non lo si vede spesso alle cerimonie ufficiali, nè lo si trova nei salotti virtuali o sui social network. E’ rimasto schivo come un tempo, ma pungente al punto giusto quando lo si stuzzica un po' sulle nuove tendenze dell’arrampicata. Michel fa un po’ parte della mia vita, sono cresciuto sulle sue vie, ho tentato di emularlo in tutti i modi, senza naturalmente riuscirci. Sono quindi fiero di poter oggi conversare con lui e di avere la libertà di provocarlo un po’. L’anno scorso mi ha scritto "mi piacerebbe aprire una via con te". E’ stato il più bel regalo per i 50 che potesse farmi, ma non ho potuto fare a meno di pensare a come avrei reagito se me lo avesse chiesto 30 anni fa! A quei tempi tentavo di suonare l’assolo di Stairway to heaven alla chitarra ma il mio cuore non avrebbe certamente retto se Jimmy Page mi avesse invitato a suonare con lui sul palco. Per questo, forse, è stato meglio così…

Maurizio Oviglia


Michel, vorrei farti delle domande a proposito dell’Envers des Aiguilles, il fantastico paradiso dell’arrampicata sulle Aiguilles des Chamonix. Sono più o meno 30 anni che tu ed i tuoi amici avete cominciato ad aprire delle vie su queste pareti. C’era un progetto preciso? Avevate immaginato cosa poi sarebbe diventato?
Era l’estate del 1982 e tornavo dalla parete sud del Fou, era la prima volta che avevo soggiornato all’Envers des Aiguilles: non potevo credere ai miei occhi, c’erano decine di pareti e speroni vergini…
In quell’epoca, del resto come spesso anche oggi, nessuno affermava che le Alpi fossero già sature, bastava alzare gli occhi…
Senza alcuna pretesa, dato che questo Eldorado era sotto gli occhi di tutti, ho subito immaginato che questo versante delle Aiguilles de Chamonix sarebbe diventato uno dei più grandi spots dell’arrampicata su granito.

Che peso hanno avuto le vie del Gran Capucin come Voyage Selon Gulliver nelle scelte etiche che voi avete poi adottato all’Envers? Avevate consapevolmente cercato di prendere una direzione più ludica e meno alpinistica, o non c’era una filosofia di base nelle vostre aperture?
Non c’è una grande differenza tra il Grand Capucin e le "big-wall" di 500 o 800 metri all’Envers des Aiguilles… La quota forse, ma all’Envers le giornate finiscono spesso all’ombra, i ghiacciai non sono meno crepacciati, e l’approccio non si può fare con gli sci dalla stazione di una funivia. Le vie vicine all’Aiguille du Fou o all’Aguille de la République resteranno sempre isolate ed impegnative! E’ piuttosto il contrario, abbiamo applicato al Grand Capucin quello che avevamo fatto all’Envers des Aiguilles, senza differenze di rilievo.
Dunque, no, non si può veramente dire che l’Envers sia meno "alpino" che le scalate nella Combe Maudite, in ogni caso almeno per le vie più lunghe. Semplicemente, all’Envers des Aiguilles c’è forse più scelta per potere migliorare gradualmente, con fortunatamente qualche via molto vicina al rifugio, senza approccio su ghiacciaio e su roccia eccellente, che potremmo definire "pedagogica" o, posso passarti il termine, "ludica"…

Il grande successo dell’Envers des Aiguilles è, secondo te, dovuto soprattutto alla presenza degli spits o ci sono diverse ragioni che hanno contribuito? Come siete arrivati a quelle scelte etiche che sono nel tempo divenute dei veri clichè?
Tu parli di "cliché" perchè vuoi forse dire che le vie "moderne" del massiccio del Monte Bianco sono piene di spit? Eppure la grande maggioranza (silenziosa) dei ripetitori ritiene che ce ne siano pochissimi, soprattutto sulle placche compatte delle vie degli anni '80, e che il mancato moschettonaggio degli stessi porterebbe a cadute molto pericolose, o potenzialmente letali. No, credimi, la reale scelta etica che ha rivoluzionato la scalata in montagna è il ricorso sistematico alle soste spittate, anche sulle vie di fessura, assicurandosi in ogni momento il ritorno in doppia. Da allora, lo spirito della scalata in montagna, e soprattutto l’accettazione del rischio è radicalmente cambiato. Ecco la ragione per cui alcuni possono avere l’impressione di un certo abuso di spits, ma io rifiuto nel modo più deciso questa tesi e resto convinto che l’idea del "semi-trad" (soste spittate, fessure vergini) è la sola via per garantire un futuro alla scalata su granito.
Tutti son capaci di fare una solitaria integrale su passaggi di 2 o 3 gradi inferiori al loro livello abituale, anche con una scaglia tagliente 5 metri sotto al culo: è fattibile per un ripetitore, non per un’apritore che non voglia vedere le proprie notti tormentate da una schiera di fantasmi…
Rimettiamo la chiesa al centro del villaggio: all’Envers come dappertutto nel massiccio, gli spit in posto sono indispensabili (provate a fare Monsieur de Mesmaeker all’Aiguille du Midi senza spits!), e talvolta essi permettono di evitare giri viziosi ed inestetici su cenge o scaglie pericolanti. Talvolta, eccezionalmente, essi servono da indicatori di direzione.
Per garantire questo spirito "sportivo", mi sono notoriamente battuto contro l’apertura dall’alto in montagna (essa si stava generalmente affermando come movimento di contestazione negli anni '85-'90, ricordiamolo!) e, più tardi, l’abuso di spit dovuto alla comparsa del trapano a batteria.

Mi ricordo che forse fui uno dei primi italiani a ripetere le tue vie in quell periodo. La custode del rifugio era Babette, che era sempre molto gentile con noi arrampicatori. Teneva un libro delle scalate con le statistiche di tutte le ripetizioni. Cosa ricordi di quei tempi? Ti senti ancora con Babette?
Restiamo in contatto via lettera: Babette era una grande personalità della Valle di Chamonix, con una mentalità nuova ed aperta nei confronti della scalata. Il successo dell’Envers des Aiguilles le deve molto!

Folies Bergeres era considerata tra le vie più difficili di quel periodo, un capolavoro della scalata in placca. Qualcuno dei miei amici aveva provato a ripeterla, una vera odissea! Mi ricordo di parecchie leggende a riguardo dell’apertura di queste placche, puoi raccontarmene qualcuna?
In effetti quella prima salita fu alquanto laboriosa: eravamo certamente al top della nostra "specializzazione" in placca (infatti eravamo diventati scarsissimi negli altri stili) ma nello stesso tempo là eravamo andati veramente al limite, soprattutto se pensi che aprivamo con il perforatore a mano! Dunque ho dei migliori ricordi delle vie che si "sviluppano" meglio, vie in fessura come "Une gueule du diable" o "Pedro-polar" e soprattutto tutte le vie di più di 500 m di altezza: "Oublie ta vie", "République bananière", "Subtilités dülfériennes", etc…

Secondo te quali sono state le più belle realizzazioni di questo periodo o quelle che ricordi con maggiore affetto?
Ho un debole per tutte le prime linee salite su una parete vergine, le vie dove nessun percorso parallelo aveva costituito il movente per aprire una via. Ce ne sono decine all’Envers des Aiguilles, e riconosco che come apritore sono stato fortunato, anche se, fortunatamente, continuo a scoprire pareti vergini quasi tutte le estati sempre in questo inesauribile massiccio che è il Bianco.

L’Envers des Aiguilles oggi. Una volta mi hai confidato che lavori molto alla riattrezzatura delle vie di quel periodo. Che peso ha per te questa eredità?
Un apritore deve essere fondamentalmente altruista, e dunque occuparsi della sicurezza e della manutenzione delle sue vie. Allora sì, io riattrezzo praticamente tutto quello che ho aperto: da 10 anni a questa parte esclusivamente a fittoni resinati, anche in alta montagna.
A questo proposito, mi piacerebbe che gli apritori ed i riattrezzatori prendessero veramente coscienza della loro responsabilità, abbandonando l’utilizzo dei fix e delle placchette, che si svitano e necessitano di continua manutenzione (è il mio grande rimpianto all’Envers: aver cominciato troppo presto e non essere riuscito a riattrezzare tutto a fittoni). Dall’inizio degli anni 2000, con la tecnologia dei "removable bolts" si può aprire dappertutto dal basso coi fittoni resinati, e sinceramente non capisco perchè io resti l’unico in Europa a praticare questa scelta.

Non hai paura che alcune belle vie cadano nell’oblio senza che nessuno pensi a riattrezzarle?
Le belle vie non troppo estreme sono e saranno riattrezzate, gli itinerari più duri finiranno per sparire dalla memoria collettiva… e non è poi una grossa perdita!

L’Envers dei giorni nostri è ancora un punto di riferimento nel Massiccio, secondo te? Come le nuove generazioni si pongono di fronte a queste vie?
Il fattore di successo più importante è l’esistenza di un punto d’appoggio, il Rifugio dell’Envers des Aiguilles, confortevole, accogliente e molto meno caro che i biglietti della funivia dell’Aiguille du Midi o della Punta Helbronner. Ma il successo viene anche, sicuramente dall’incredibile concentrazione di vie nei pressi del rifugio, che permette di ottimizzare al meglio i giorni a propria disposizione: si ha l’impressione di bivaccare alla base delle pareti stesse, senza essere mai "tagliati fuori" dal granito come può essere in altri rifugi in quota. All’Envers des Aiguilles, il rifugio è posto a nido d’aquila su uno sperone roccioso 50 m sopra agli ultimi pendii erbosi, ma sulla cresta Est della Tour Verte; un caso quasi unico per un grande rifugio delle Alpi. Ci saranno sempre delle cordate che ameranno quest’atmosfera così particolare, e il fatto di poter accedere a numerose vie senza dover per forza fare un ghiacciaio, un "approccio" apprezzabile nella pratica un po’ inquietante dell’arrampicata semi-trad.

Visto il ritorno negli ultimi anni del trad, pensi ancora di aver fatto la scelta giusta in quegli anni? O certe vie, se dovessero essere aperte oggi, sarebbero pensate e realizzate diversamente?
Non c’è nessun ritorno dell’etica "trad" per la grande maggioranza degli scalatori. Tutti vanno sempre di più sulle vie completamente attrezzate, e la piccola èlite che apre in questo contesto non è rappresentativa. Se si dovesse (ri)scoprire l’Envers oggi, sono certo che gli apritori farebbero a gara tra di loro a chi pianta più spit, piuttosto a chi fa vie trad…
Dovremmo allora capire cosa vogliamo dire col termine "trad" (puro trad ?!), uno stile che tende a scomparire, chiaramente più per causa dell’attrezzatura delle soste su spit delle vie storiche, veramente nefasto secondo me, che per un angolo dedicato alle vie "moderne" (in semi-trad…). A me sembra che queste cerchino piuttosto di preservare questo stile di scalata.
L’Envers des Aiguilles, in questa disputa, è il migliore tra gli argomenti.

di Maurizio Oviglia




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