Hervé Barmasse, intervista dopo il primo concatenamento invernale delle 4 creste del Cervino

Giovedì 13 marzo Hervé Barmasse, in solitaria, ha compiuto il primo concatenamento invernale delle 4 creste del Cervino e la prima solitaria invernale della Cresta di Furggen per la via degli strapiombi. L'intervista.
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Hervé Barmasse il 13 marzo 2014 durante il primo concatenamento invernale delle 4 creste del Cervino
Damiano Levati

Hervé, bella corsa… da dove nasce questo tuo progetto, più un obiettivo da primato o sogno?
Sicuramente un sogno, e se si vuole parlare di primato questo è solo un dettaglio. Ciò che rimane sono le emozioni provate prima, durante e dopo la scalata. Una grande opportunità che mi ha regalato la montagna, emozionante e personalmente di grande soddisfazione. Molto più avvincente di altre scalate fatte finora.

Salita della Cresta di Furggen (prima solitaria invernale della via degli strapiombi), discesa per la cresta dell’Hornli, traversata sotto la parete nord del Cervino e ancora in vetta per la cresta di Zmutt e poi giù dalla cresta del Leone, arrivo alla capanna Carrel e poi ancora giù fino a Cervinia… il tutto in 17 ore (fino alla capanna Carrel), da solo ed invernale. Per chi non conoscesse bene le creste del Cervino puoi tracciarci brevemente le difficoltà delle vie che hai percorso e del progetto?
Un inverno differente da quelli passati, ricco di precipitazioni nevose come non si vedevano ormai da tempo, ha reso la scalata dal punto di vista dell’ingaggio certamente più interessante, complicata e rischiosa. In ordine d’importanza delle difficoltà direi, la consapevolezza che se decidi di scalare in solitaria, sai che non puoi permetterti di sbagliare. Devi gestire il rischio, le tue paure, le tue forze e il ritmo della scalata. Creste affilate con neve sino alla vita e instabile, passaggi di 5, 5 superiore, a 4300m nel caso degli strapiombi e il freddo. Il materiale nello zaino centellinato: una borraccia d’acqua e due barrette, 4 friend, 40 m di corda che poi ho tagliato a 23 per ridurne il peso, 3 fettucce, 6 moschettoni e un chiodo da ghiaccio; oltre a piccozza e ramponi che ho tolto solo sul primo tiro degli strapiombi. E per finire, l’incognita della cresta di Zmutt che non avevo mai percorso.

Potresti riassumerci in breve la storia dei precedenti concatenamenti del Cervino? Date, cronologia, itinerari, tempi e nel caso alcune tue impressioni?
Questo concatenamento è il terzo assoluto dopo quello di mio padre e quello di Kammerlander accompagnato dalla guida svizzera Diego Wellig. Tre “sfide” differenti per impegno alpinistico, ingaggio, pericolosità e performance sportiva. Mio padre fu il primo in assoluto a riuscire in questo genere d’impresa, era il 13 settembre 1985. A lui va sicuramente il grande merito di aver ideato e offerto a chi è venuto dopo di lui l’eredità di un confronto con questo genere di exploit sul Cervino. Affrontò le 4 creste in solitudine compiendo anche la prima solitaria degli Strapiombi di Furggen. Ingaggio e rischio ma non solo, anche velocità. 14 ore circa alla capanna Carrel, 15 al rifugio Duca degli Abruzzi punto da cui parte la via italiana. Il percorso seguito fu: Furggen in salita, discesa dalla via normale Svizzera, attraversamento alla base della parete Nord, salita della cresta di Zmutt e discesa dalla cresta del Leone. Un periplo del Cervino elegante, compiuto senza mai tornare sui suoi passi e aggiungo, con i Galibier di plastica ai piedi e una corda da 12 mm in spalla.

E il concatenamento di Hans Kammerlander e Diego Wellig
Kammerlander e la guida alpina Wellig, rivolsero la loro impresa verso la ricerca di un nuovo record e/o concatenamento. Era il 19 agosto 1992. Il loro obiettivo erano le 4 creste del Cervino tutte in salita e in 24 ore. Partirono da quota 3424 m a mezzanotte scalando la cresta di Zmutt, scesero dalla via normale svizzera al rifugio Hornli, salirono la cresta di Furggen, scesero sulla via italiana sino alla capanna Carrel da dove, ripartirono per arrivare in vetta e nuovamente scendere sulla via normale svizzera, per poi risalire ancora dalla stessa e scenderla nuovamente arrivando poco prima della mezzanotte al rifugio Hornli. E’ stata indubbiamente una performance sportiva da ultra runner, ma un’esperienza oggettivamente diversa dal punto di vista dell’ingaggio alpinistico e del rischio per aver affrontato questo percorso in cordata e in estate. Io mi sono rifatto al percorso seguito da mio padre, mi piaceva l’idea di attraversare completamente questa montagna lungo le quattro creste, senza mai tornare indietro, seguendo un tracciato armonico e logico, non ho ricercato nessun record, ma solo una bella avventura e tanto ingaggio alpinistico; per questo motivo ho deciso di andare da solo e in inverno. Le 17 ore sono la conseguenza di un buon stato di forma, una lucidità mentale e del fatto che con il materiale ridotto al minimo e nessuna protezione adeguata al freddo, non potevo permetterti di rimanere troppo tempo sulla montagna. Una scelta che avevo ponderato bene. Obiettivi differenti, materiali differenti, stagioni differenti e scelte differenti, in cordata o in solitudine le rendono entrambe uniche.

Indubbiamente sei stato molto veloce considerando anche che era in invernale. Ci puoi dettagliare il tuo ruolino di marcia su ognuna delle 4 creste.
Sono partito alle 5.45 dal bivacco Bossi, alle 10.10 ero in vetta, dopo aver affrontato gli strapiombi autoassicurandomi solo sul primo tiro. Mi sono fermato circa 15 minuti. Alle 14.10 Sono arrivato all’Hornli. La discesa dalla via Svizzera è stata eterna per via dell’abbondante neve, in estate con i clienti la percorro impiegandoci la metà del tempo. Non pensavo di incontrare condizioni così brutte. Mi sono riposato un’ora e alle 15.15 sono ripartito e ho attraversato la base della parete Nord. Alle 16.00 circa ho iniziato a salire la cresta di Zmutt per arrivare nuovamente in vetta al Cervino alle 20.15. Anche su questa cresta, in particolar modo sui dentini di Zmutt e nella sua parte finale la neve profonda sino alla vita mi ha fatto tribolare non poco. Alle 22:45 ho guardato nuovamente l’ora. Ero già all’interno della capanna Carrel e mio padre, che mi aveva atteso in rifugio, stava cercando di scongelare una birra.

Qual era il grado di rischio in questo concatenamento e come l'hai affrontato?
In questo caso direi alto, decisamente alto per la neve instabile. Avete presente la scena di gatto Silvestro che scivola sul vetro lasciando il segno delle unghie? Per 4 volte la neve polverosa staccandosi dal pendio mi ha fatto provare quel tipo di emozione… Per fortuna mi sono fermato in tempo.

Ci puoi dire come interpreti questo alpinismo di "corsa", o meglio che tipo di alpinismo è questo? Com'è il tuo atteggiamento, ti accorgi di quello che hai attorno, della montagna, del panorama? Come sai alcuni dicono che l'alpinismo dovrebbe essere anche "lentezza", ponderazione, godersi la montagna e l'esperienza. Cosa ne pensi?
L’evoluzione dei materiali e delle tecniche di allenamento, la maggiore conoscenza dei pericoli della montagna, permettono oggi di correre là dove una volta si saliva in più giorni. Io ritengo che la velocità sia una qualità che l’alpinista deve possedere per riuscire a gestire situazioni a rischio o scalate particolarmente difficili da realizzare con zaini troppo pesanti, o dove il freddo o la quota associati alla lentezza renderebbero pericolosissima la salita di una montagna. Per ora, non ho mai concepito una scalata all’inseguimento di un record, confrontandomi con il cronometro, ma rispetto chi lo fa. Ognuno di noi in montagna deve perseguire il proprio stile e il proprio divertimento rispettando il passato e la natura.

Tu hai aspettato a dare la notizia per rispetto a quanto è accaduto a Marco Anghileri sul Pilone centrale. Quando hai saputo di quella bruttissima notizia? E qual è stata la tua reazione?
Ho saputo della morte di Marco tramite il soccorso alpino valdostano di cui faccio parte. Una grande perdita per tutto il mondo alpinistico, un vuoto incancellabile per tutte le persone che gli volevano bene, per la sua famiglia. Sono un alpinista e comprendo pienamente cosa ti spinge ad andare, cosa ti porta a farlo in solitudine. La sua morte mi ha ricordato, ancora una volta, quanto siamo fragili e quanto è importante cercare di vivere fino in fondo la nostra vita, inseguire i nostri sogni e cercare di essere noi stessi, senza paura. Così come stava facendo Marco.

Cosa cercherai per il futuro, nell'alpinismo e non?
Lo scopriremo assieme?





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