Fabio Valseschini, intervista dopo la prima solitaria invernale sulla Civetta

Fabio Valseschini parla della sua recente (grande) prima solitaria invernale della Via dei 5 di Valmadrera sulla parete NO della Civetta (Dolomiti), ma anche del suo alpinismo e della sua passione per la montagna.
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Valseschini sulla parte bassa della Via dei 5 di Valmadrera, Civetta, Dolomiti
F. Valseschini

Ci sono salite che toccano più di altre il cuore ma anche l'immaginario degli alpinisti. E, senza alcun dubbio, la prima invernale solitaria di Fabio Valseschini sulla Via dei 5 di Valmadrera è una di queste. Certo, si potrebbe dire che ciò sia successo per quegli 8 bivacchi passati sulla montagna. E anche per quei 1300m di VI+ e A3 nel cuore della Nord Ovest della Civetta, la parete simbolo dell'alpinismo dolomitico e non solo. E ancora si potrebbe aggiungere che Valseschini e la sua salita ricordano il grande alpinismo, quello delle imprese di un tempo. Tutto giusto e insieme tutto relativo. A noi, dopo questa intensa intervista, sembra che ci sia anche dell'altro, molto altro...

Fabio, come hai scelto di fare questa prima invernale solitaria?
Quando parti per una salita fai una scelta istintiva. E sono tante cose messe assieme che ti spingono a farla. Così ho sempre fatto per tutte le mie salite: sono tutte scelte partite dal cuore.

Certo è che quest'ultima tua salita ha avuto una grande eco, forse superiore alle altre...
Sì, anche se in realtà non ho mai capito come certe salite abbiano più risalto di altre, colpiscano di più. Per me il 6° grado delle Dolomiti è uguale al 6° di altre pareti, come quelle nostre, qui nelle Alpi centrali. E' chiaro, poi, che se le affronti d'inverno, da solo e non sei a casa tua, sulle tue montagne, può essere diverso e in qualche modo più difficile...

Torniamo a quello che ha fatto scattare la molla di questa tua prima invernale solitaria sul Civetta...
Come ti dicevo, la scintilla che fa scattare un progetto non è mai ben definita. A volte sono cose improvvisate, e sono tanti i fattori che fanno scattare la molla. E' difficile spiegare... anche perché a volte ti metti in testa di fare delle salite e poi le circostanze ti portano a fare tutt'altro. Poi la scelta di una parete, di una via, dipende da molte cose e può venire da lontano. Per esempio la prima volta che sono stato in Civetta era il 2003. Se devo essere sincero non sapevo neanche cos'era la Nord Ovest, non ne conoscevo nemmeno la storia. Quella volta, Marco Perego, il mio indimenticabile compagno di cordata, mi aveva proposto di fare la Philip-Flamm alla Punta Civetta. Per dire, allora quella via non mi diceva più di tanto. Fatalità ha voluto che fosse lo stesso giorno in cui Claudio Moretto e Rosy Buffa stavano facendo la 2a ripetizione della Via dei 5 di Valmadrera. Marco mi disse che era una via difficile, ma io allora mi limitavo a conoscere solo la "rivalità" alpinistica tra Valmadrera e Lecco, non molto di più. Forse è stato proprio Marco con quelle parole a muovere la mia curiosità, a mettere nei miei pensieri quella via e quella linea, come una possibile salita da affrontare.

E poi cos'è successo?
Un altro episodio che ha preparato questa storia è stata la mia prima solitaria invernale su Pilastro Est-Nord-Est della Via del Fratello al Pizzo Badile, nel 2006. Dopo la salita stavamo festeggiando proprio con la "banda dei 5" a casa di Gianni Rusconi (apritore sia della Via del Fratello sia della via I 5 di Valmadrera ndr) – e qualcuno ha buttato lì che anche la via in Civetta mancava della prima solitaria invernale. Ecco è partito tutto così, quasi per caso. Così un po' alla volta, tassello su tassello, la mia curiosità cresceva.

E quindi, dove ti ha portato la tua curiosità?
All'anno scorso, al mio primo tentativo su I 5 di Valmadrera. Quell'esperienza mi ha fatto conoscere nuove persone, nuovi amici. Lo stesso è successo l'estate scorsa, quando ho deciso di salire la Via degli Amici (a fianco de I 5 di Valmadrera ndr). Anche lì sono nate delle amicizie fondamentali per la solitaria invernale. Tutte queste persone sono state parte di questa mia salita, del risultato finale. E' questa la cosa che ho avuto sempre presente.

Cosa ti ha fatto capire il tentativo fallito di un anno fa?
Che non era il momento giusto. Avevo fatto due tiri quando sono stato sfiorato da un grande distacco di neve. Ancora una volta avevo avuto un angelo custode accanto che mi aveva protetto: evidentemente non era il momento giusto.

Poi un mese fa hai ritentato con condizioni non proprio buone...
Sì. E alla fine anche questo mi ha fatto pensare che le scelte e una salita sono una “battaglia” composta di tanti elementi: anche un mese fa avevo in mente di concretizzare il tutto per me ma anche per quegli amici che mi avevano aiutato.

Infine sei partito per la volta buona, avevi un po' d'ansia?
Parto dal presupposto di non essere presuntuoso. E per me è impossibile programmare quella buona dose di fiducia che ti consente di partire a cuor leggero. Ma quando parto sono deciso. Ci credo fino in fondo. Poi ci sono cose che uno capisce al volo: si sente quando la voglia di concrettizzare i sogni, gli allenamenti, i tuoi sforzi e quelli degli amici che ti hanno aiutato, si sposano con il momento giusto. E per fortuna così è stato.

Allora adesso è il momento di raccontarci come hai vissuto questa I 5 di Valmadrera... ce la descrivi?
E' una via logica. Gianni e Antonio Rusconi insieme a Gianbattista Crimella, Giambattista Villa e Giorgio Tessari hanno avuto la visone giusta. E' una grande via con dentro tre mondi diversi. Nella prima parte fino alla cengia c'è il vero misto. Quello che in alcuni passaggi non proteggiabili devi affrontare “chiudendo” gli occhi e prendendoti dei rischi. E' una sezione che ti fa sognare. Lì, con scarponi e ramponi, ti sembra di essere in una di quelle grandi fotografie che immortalano i professionisti dell'alpinismo. L'ambiente è tale che ti sembra proprio di esserlo un alpinista professionista; ti immedesimi nella parte anche se non lo sei.

Poi, dalla cengia in su...
Dalla cengia inizia la parte strapiombante che ho affrontato con le scarpette. Qui devi capire come chiodare. Inventarti come superare i passaggi, improvvisare anche. Sembra facile, ma io non sono abituato a questo tipo di artificiale... e per me è stato davvero come inventarmi dei numeri da “circo”.

Quindi c'è l'ultima sezione...
La terza e ultima parte della via ti proietta da tutt'altra parte. Devi trovare la strada giusta tra speroni, pilastrini, crestine, devi uscire ed entrare nella parete. Sei in un ambiente di alta montagna e a me sembrava di essere dall'altra parte del mondo, in Himalaya. Insomma, è una parete e una via che mi hanno regalato un viaggio completo e mille sensazioni.

Un lungo viaggio! Tanto che in molti si saranno domandati a cosa pensavi in quegli 8 giorni passati in parete...
Devo dire che quando sono in parete riesco a concentrarmi al 100% sull'arrampicata. Penso a come fare un passaggio. A Come mettere una protezione. Poi ci sono tante cose da fare: preparare il bivacco, fare da mangiare, controllare il materiale... Poi quando mi rilasso, quando sono nel sacco a pelo, penso a tante cose. Ai posti dove sono stato, a dove mi piacerebbe andare, anche aldilà dell'alpinismo. Penso ai viaggi, penso alle immersioni l'altra mia grande passione. Ho la fortuna di riuscire a dormire abbastanza... e prima di addormentarmi ascolto musica, in genere rock. E alla fine non resta molto per pensare.

Appunto, quali erano i tuoi pensieri da bivacco?
Sembrerà strano, ma dopo 10 anni di attività alpinistica - nel 2000, a 30 anni, ho fatto il corso di roccia - mi è venuto da pensare che magari è arrivato il momento di lasciare questa cosa, l'alpinismo, per farne un'altra. Magari dedicarmi all'apnea, un'attività che mi attrae tantissimo. Non è che sia stanco dell'alpinismo ma quando hai due grandi amori è sempre difficile scegliere

Hai avuto qualche momento di difficoltà particolare?
Come ho detto prima, quando scalo sono completamnente immerso nella salita. Non penso a niente se non a scalare. Ma su un punto dell'ultima parte della via, in una zona di 10 o 15 metri strapiombante e un po' friabile, ho guardato almeno 10 volte la relazione. Mi sembrava impossibile che fossero passati di là. Poi andando avanti ho capito che gli apritori avevano avuto l'occhio lungo... avevano avuto l'intuito dei grandi: la via passa assolutamente di là!

Abbiamo detto del gran risalto che ha avuto questa tua solitaria invernale, ma tu come la collochi rispetto alle altre tue salite?
In realtà penso che tutte le salite siano diverse e uguali allo stesso tempo. Alla fine voglio sempre divertirmi e godere della giornata o della settimana che sto in parete. Voglio trovare la mia giusta dimensione. Poi so che non tutto è uguale; le invernali per esempio: è chiaro che non sono uguali ad una salita in estate. Ma il punto è che tutte ti aiutano a conoscere te stesso. Anche in questo sta quello che io chiamo il divertimento.

Dunque che alpinista e uomo sei?
Non sono né tutto pregi né tutto difetti. Sono una persona normalissima e la montagna è la mia passione. So che ad alcuni posso sembrare scorbutico o selvaggio... il perché non lo so. Forse perché posso parlarti appassionatamente di montagna e alpinismo per un'ora, ma se subisco uno sgarbo allora tutto cambia. Probabilmente non conosco le mezze misure, le mezze tonalità: per me una cosa o è bianca o è nera. Sarà perché sono iuventino ;-)

Adesso la domanda stupida e (quasi) d'obbligo: perché scali in solitaria?
Di certo non faccio solitarie perché, come dicono alcuni, sono immaturo o complesso. Per me scalare in solitaria vuol dire sentirmi ancora legato a Marco Perego, il mio amico e il mio compagno di cordata che non c'è più. Scalare con lui mi regalava sensazioni che non riesco a descrivere. Ci si capiva senza parlare. Aveva più esperienza di me, però mi lasciava andare avanti, come quella volta sul Philip-Flamm... Quando vivi questi legami ti diverti ancora di più. Ora quando scalo da solo è come ritornassi a scalare con Marco. Me lo porto ancora dentro... per questo dico che tante tante vie le scelgo prima di tutto con il cuore.

Altra domanda d'obbligo... come affronti i rischi che salite come le tue comportano?
Ci metto il massimo impegno. E la massima attenzione e considerazioni per i pericoli, i rischi. Però tutto è rischioso... ad esempio, molte volte lo è purtroppo anche il lavoro in fabbrica.

E quegli 8 giorni sulla Civetta come sono stati?
Non 8 giorni di sofferenza. Magari è difficile capire, crederci, ma per me non è stata una sofferenza, una fatica. Non è una frase fatta: io mi sono divertito. Mi diverto a testarmi. E mi diverto anche quando capisco che ho sbagliato. Altrimenti non lo farei. E' chiaro che poi mi fa piacere anche essere considerato come alpinista, ma non lo faccio per questo.

Degli altri alpinisti cosa pensi?
Prima di tutto rispetto tutti gli alpinisti. Alcuni che ho la fortuna di conoscere, come Dario Spreafico, Marco Ballerini, Ivo Ferrari, Rossano Libera, Marco Anghileri, li considero dei fuoriclasse e per me lo resteranno sempre. Da loro cerco di imparare. Di tener conto dei loro consigli. Anche degli “insultii” a volte se non riesco a superare un passaggio in falesia. Li prendo tutti ad esempio. E non penso di arrivare al loro livello, ma se uno è bravo mi stimola a far meglio, ad arrivargli più vicino.

Loro, ma non solo loro, definiscono imprese le tue salite...
Non mi sento di definire come imprese le mie salite. Ma se qualcuno di loro, di quei miei amici fuoriclasse, me lo dice, beh l'accetto... D'altra parte sono convinto che le imprese nella vita sono ben altre.

Cosa vorresti che restasse di questa tua solitaria invernale?
Vorrei che la gente riuscisse a capire che uno fa queste salite non per mettersi in mostra. Perché per farle ti devi veramente divertire per una settimana. Occorre saper godere di quel mettersi alla prova, di quel ricercare la propria dimensione. E poi vorrei che si capisse che bisogna rispettare le scelte che uno fa...


Fabio Valseschini ringrazia: Sport Specialist, Climbing Technology, SoleVistaSport, Adidas Eyewear (sponsor tecnici); Millet e Scarpa (collaboratori). Tutti gli amici che lo hanno aiutato in questi anni.


Note:
Fabio Valseschini, alpinista lecchese, compirà 41 anni a maggio 2011. Ha iniziato ad arrampicare da 10 anni. In questi anni il suo alpinismo non ha mai avuto sosta: tante solitarie, tante invernali. Tra queste, oltre alla solitaria invernale dei 5 di Valmadrera sulla NO della Civetta, si distinguono le prime solitarie invernali della Via degli inglesi sulla parete ENE e la Via del fratello, entrambe sul Pizzo Badile.

Links Planetmountain
Fabio Valseschini: 1a invernale solitaria NO Civetta



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