(S)legati - intervista a due voci a Mattia Fabris e Jacopo Bicocchi
Giovedì 19 giugno 2014 alle 21:00 la palestra Rockspot di Pero (Milano) si trasforma in immenso teatro per proporre al mondo multiforme della montagna, dell'arrampicata e dell'alpinismo, (S)legati, pièce teatrale ispirata a "La Morte Sospesa" di Joe Simpson, l'avvincente e incredibile storia vera che Joe Simpson e Simon Yates hanno vissuto nel corso della prima salita della parete Ovest del Siula Grande (6.344 m) nelle Ande peruviane. Intervista di Nicola Noè ai due protagonisti: Mattia Fabris e Jacopo Bicocchi.
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Un momento dello spettacolo al Melloblocco 2014
archivio Melloblocco
Che cosa vi ha convinto a produrre questo spettacolo?
Mattia: Appena abbiamo incontrato questa storia ne siamo stati stregati. Per tante ragioni. Ci sono storie che, per il loro carattere simbolico, sono capaci di contenere tutte le nostre piccole storie. Il teatro ha bisogno di storie così, storie grandi e paradigmatiche, nelle quali ci si possa specchiare e riconoscere. La vicenda di Joe e Simon è senz’altro una di queste. E poi ci sono tutti gli ingredienti che fanno gola ad una storia: suspence, azione, sentimenti, valori... insomma, c’è proprio tutto.
Jacopo: Si una storia che come dice Mattia ci ha letteralmente rapiti, per il tema trattato e per i significati profondi che contiene: uno su tutti il valore della corda, che lega, che ti fa percepire non più da solo. La corda come una madre, un prolungamento di noi stessi come se fosse un cordone ombelicale verso l'altro. Un legame così profondo e sacro da farci capire l'importanza che può assumere quel gesto di essere costretti a tagliare. Un gesto così netto ma a volte capace di salvarci e di salvare. E poi la certezza di credere che in questa storia ci siano contenuti oltre ai valori della montagna anche quelli della vita, delle relazioni umane. Una storia che parla a chi è appassionato di cime e vette, ma capace di farlo anche con chi della montagna non ne ha mai avvertito il richiamo.
Perché un impianto scenico minimalistico?
Mattia: Per varie ragioni. La prima è “poetica” per così dire: crediamo che il teatro, oggi, in un mondo in cui il cinema e la televisione sono in grado di mostrare in ultra hd il mondo reale, debba fare leva sull’immaginazione dello spettatore. Servono dunque elementi che possano evocare più che mostrare e rappresentare. Come del resto diceva già Shakespeare nel prologo dell’Enrico V: “lasciate che noi [...] operiamo sulla forza della vostra immaginazione”. Nello spettacolo usiamo solo una corda, il terzo grande attore della nostra rappresentazione.
Jacopo: La seconda ragione invece è pratica: lo spettacolo è nato insieme all'idea della tournée nei rifugi per cui avevamo l'esigenza di viaggiare più leggeri possibili. L'impianto scenico avrebbe viaggiato con noi, sulle nostre spalle. Questo "problema" in realtà ci ha aiutato a realizzare al meglio la nostra “poetica” spiegata da Mattia.
Cosa avete capito dell’alpinismo mettendo in scena lo spettacolo?
Mattia: Difficile dirlo. Sicuramente abbiamo incontrato l’alpinismo. Girando tra sedi Cai, rifugi, comuni d’alta quota, palestre di arrampicata, associazioni di montagna... abbiamo conosciuto e siamo entrati in dialogo con molte persone che la montagna la frequentano e la amano. Conoscere loro, scoprire e scambiare storie, ascoltarli... è stato senza dubbio conoscere un po’ di più questo mondo.
Jacopo: Per quanto mi riguarda ho capito che l'alpinismo è qualche cosa di più di un gesto tecnico. È più di un raggiungimento di una vetta, più di un record nuovo da conquistare a tutti i costi. In realtà, mentre scaliamo una montagna, stiamo scalando noi stessi.
Cos’è cambiato per voi?
Mattia: facendo lo spettacolo soprattutto fuori dai teatri abbiamo riscoperto il senso profondo di raccontare una storia. Il pubblico che ci vede fuori dai teatri è un pubblico sincero, libero dai preconcetti e dagli schemi del pubblico teatrale. Allora la cosa importante diventa essere lì, assieme e condividere una storia, un emozione, un sentimento. Come sempre dovrebbe essere il teatro.
Jacopo: In questi ultimi anni spesso ho sentito dire che il teatro è in crisi, questo spettacolo e soprattutto questa nostra operazione dimostra al contrario che il teatro in sé non è assolutamente in crisi, che il teatro è eterno, come dice un grande uomo di teatro Paolo Poli: “Finchè ci sarà una nonna a raccontare una storia a un nipote il teatro non morirà”. Questo cosa vuol dire? Che quello che è in crisi semmai è il sistema, il modo di fare il teatro. Noi abbiamo portato con questa storia il teatro in montagna, e di conseguenza la montagna è venuta a teatro. Ora le distanze sono molto più vicine.
Quest’anno avete recitato al Melloblocco, tra i boulderisti. Quali le sensazioni?
Mattia: Fantastico. Non sapevamo come avrebbe reagito la comunità del Mello ed eravamo un po’ preoccupati. È stata una scommessa. Direi che la standing ovation finale ha dimostrato ampiamente che l’abbiamo vinta!
Jacopo: La standing ovation alla fine è stata una delle più belle e inaspettate da quando abbiamo cominciato a fare questo spettacolo.
Quali le differenze con il pubblico di alpinisti del Progetto Rifugi?
Mattia: beh i “melloblocchisti” sono una comunità forte e molto caratterizzata. Nel mio immaginario sono più simili agli skaters, writers, bikers... ci sono dei tratti comuni con chi frequenta i rifugi ma sostanzialmente nei rifugi trovi un po’ di tutto: dalla famiglia con bambini all’alpinista famoso. Al Mello invece eravamo di fronte ad una comunità ben definita, molto giovane e senza alcun carattere “borghese”. Una comunità meno “buonista” dunque, che non te la manda a dire se la cosa non la convince.
Jacopo: Il rapporto e la confidenza che si crea con il pubblico nei rifugi è qualche cosa di unico. Oltre allo spettacolo si condividono tavoli, bicchieri di vino, letti, stanze e la strada... Siamo lì, tutti, a raccontaci storie a condividere un luogo che è tutto tranne che quotidiano.
Due parole su di voi...
Mattia Fabris: mi sono diplomato alla civica scuola d'arte drammatica Paolo grassi. Nel 1996 ho fondato l'Associazione Teatrale Indipendente per la Ricerca A.T.I.R, con la quale lavoro all'interno di pressoché tutti gli spettacoli. La compagnia gestisce il Teatro Ringhiera di Milano. Parallelamente ho lavorato anche con registi esterni come Cristina Pezzoli, Gabriele Vacis, Bob Wilson in qualità d’attore. In qualità di regista dirige Chiara Stoppa nello spettacolo "il ritratto della salute" del quale è anche autore.
Jacopo Bicocchi: Mi sono diplomato alla scuola del Teatro Stabile di Genova con il quale inizialmente ho cominciato a lavorare, per poi passare in seguito al cinema e alla televisione. A teatro ho lavorato con Cristina Pezzoli e Fausto Paravidino, per il cinema con Giuseppe Piccioni, Renato De Maria, Daniele Vicari e Maria Sole Tognazzi. Per la televisione ultimamente ho collaborato con Pupi Avati. La svolta della mia carriera? Nel 2008 ho conosciuto Mattia ... che è diventato subito "la mia cordata".
Per informazioni sulla serata del 19/06/2014 al Rockspot di Pero (Milano): http://www.rockspot.it/p2/home.php
(S)LEGATI - IL PROGETTO RIFUGI
http://youtu.be/H1a5yMyTtw8
Quando abbiamo incontrato la storia di Joe Simpson e Simon Yates eravamo a Bolzano. Una città circondata dai monti. Era inverno. Tutte le cime erano innevate. Un paradiso per due amanti della montagna. Immediatamente siamo stati stregati dalle vicende di questa incredibile impresa e altrettanto immediatamente è nato in noi un sogno: poter raccontare questa storia non solo nei teatri, ma anche e soprattutto, sui monti, sulle cime. E come? Nei rifugi. “Facciamo una tournée nei rifugi! - ci siamo detti - di giorno camminiamo, e la sera, arrivati al rifugio raccontiamo questa storia, il giorno dopo si riparte, si raggiunge un altro rifugio, si riposa e si racconta nuovamente la storia ad altri avventori”. Quale modo migliore per coniugare le nostre due passioni, il teatro (che è anche una professione per entrambe) e la montagna? E poi, quale luogo migliore, se non la natura selvaggia delle cime per raccontare questa stupefacente vicenda? E così ci siamo messi all’opera. E, durante l'agosto 2012, ha avuto luogo la prima tournée a piedi nei rifugi delle Alpi Orobie. L'operazione ha ottenuto la sponsorizzazione del marchio Montura e il sostegno economico e organizzativo del CAI di Bergamo, nonché il supporto logistico dei rifugisti coinvolti. Sul blog www.slegati.wordpress.com è possibile visualizzare e leggere un resoconto dell'esperienza fatto dagli attori e dal pubblico durante i 15 giorni della tournée.
(S)legati è una storia vera. È una storia di alpinismo estremo.
È una storia di sopravvivenza.
È la storia di un impresa. È la storia di un amicizia.
È la metafora di una storia d’amore.
È una storia d’amore: per la vita, per l’uomo, per la montagna.
È un monito di insegnamento per quando dobbiamo affrontare difficoltà che sembrano insormontabili.
È la storia di un impresa eroica, impossibile, sovrumana ma anche profondamente umana.
È una storia piena di ingredienti: gioia, dolore, coraggio, paura, coscienza, incoscienza, morte, vita: perfetta per il teatro.
È una storia così vera, ma così vera….da sembrare finta: perfetta per il teatro. Per l’arte tutta.
E questa è “solo” la storia…in teatro poi ci siamo noi: Mattia e Jacopo.
Che siamo amici. Tanto. A raccontarvela.
La storia della “Morte sospesa”
Siamo due amici.
Siamo due attori
E siamo due appassionati di montagna. Meglio: arrampicatori della domenica.
Circa tre anni fa ci siamo imbattuti nell’incredibile storia vera degli alpinisti Joe Simpson e Simon Yates.
E’ la storia di un sogno ambizioso, il loro: essere i primi al mondo a scalare il Siula Grande, attaccato dalla parete ovest.
Ma è anche la storia di un amicizia, e della corda che, durante quella terribile impresa, lega questi due giovani ragazzi.
La corda che mette la vita dell’uno nelle mani dell’altro. Come sempre avviene in montagna
C’è dunque una cima da raggiungere.
C’è la estenuante conquista della vetta.
C’è la gioia dell’impresa riuscita.
E infine, quando il peggio è passato, e la strada è ormai in discesa, c’è la vita, che fa lo sgambetto e c’è la morte, che strizza l’occhio: un terribile incidente in alta quota. Joe durante una banale manovra si rompe una gamba.
Da quel momento in poi, tutto cambia. L’impresa diventa riuscire a tornare vivi: a 5.800 metri, la minima frattura si può trasformare in una condanna a morte, i due ragazzi ne sono consapevoli, ma nonostante le condizioni disperate tentano un operazione di soccorso.
Tutto sembra funzionare finché, proprio quando le difficoltà paiono superate ecco che c’è un altro imprevisto, questa volta fatale: e c’è allora il gesto, quel gesto che nessun alpinista vorrebbe mai trovarsi obbligato a fare: Simon è costretto a tagliare la corda che lo lega al compagno. Un gesto che separa le loro sorti unite. Che ne (s)lega i destini per sempre.
Quell’atto estremo però, in questo caso miracoloso, salverà la vita a entrambi: tutti e due, riusciranno a tornare vivi al campo base. E a ritrovarsi insperatamente lì dopo 4 giorni.
E’ la storia di un miracolo. Di un avventura al di là dei limiti umani
Ed è al contempo una metafora: delle relazioni, tutte, e dei legami. La montagna diventa la metafora del momento in cui la relazione è portata al limite estremo, in cui la verità prende forma, ti mette alle strette e ti costringe a “tagliare”, a fare quel gesto che sempre ci appare così violento e terribile, ma che invece, a volte, è l’unico gesto necessario alla vita di entrambe.
La morte sospesa - il film
La morte sospesa - il libro
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