Solo noi e il vento. Avventure verticali oltre il circolo polare artico
Estate del 2012, dal 19agosto al 4 settembre. Due giovani studenti, con pochi soldi e mezzi a disposizione. Un viaggio verso il lontano Nord. E tanta voglia di bellezza, di scoprire e di arrampicare. Alice Lazzaro e Giovanni Zaccaria, esplorando spazi a loro sconosciuti, senza guardare ai gradi e ad impossibili imprese, hanno vissuto un'indimenticabile esperienza. Una vera avventura. Anzi semplicemente la "loro avventura", nel vento implacabile e nella meraviglia di essere "spersi" e soli nel grande Nord.
"E’ un’estate che partiamo e ritorniamo... Ritorniamo dai nostri monti e bastano due giorni per preparare uno zaino per due settimane lontano da casa. Abbiamo cercato di carpire qualche informazione utile a chi c’è già stato, ma la nostra “impresa” è originale e un po’ imprevedibile. 20 kg di materiale da arrampicata e altri 35 kg di tenda, pochi viveri e qualche vestito. Giusti giusti. Viaggiamo lentamente verso Nord… la nostra meta si fa attendere e desiderare. Dopo un aereo, due notti seduti, un treno di 23 ore, un traghetto e un pullman, carichi ed esausti piantiamo la nostra tenda tra il mare e le pareti delle isole Lofoten!
"Un posticino ventoso” ci avverte la nostra guida… e le cuciture della tenda se ne accorgeranno presto!
Il primo giorno ci sveglia una pioggerella leggera più debole della nostra voglia di arrampicare. Non rinunciamo quindi alla via prefissata: Solo mirtilli! Dire “solo mirtilli”, in Norvegia, è come dire “un gioco da ragazzi”, e lo si capisce facilmente camminando per un sentiero qualsiasi: raccoglierli è..l’opposto di cercare un ago in un pagliaio! Ma non siamo qua per imparare detti popolari. Bare blåbær (5-) significa solo mirtilli. Solo fessura, solo protezioni veloci, solo suole spalmate, solo solido granito. Non solo mirtilli. L’approccio con l’arrampicata norvegese non è proprio un gioco da ragazzi, ma iniziamo a prendere confidenza con gli incastri di mani e di piedi, per poi imparare a fidarci dell’aderenza sul granito nonostante l’umida giornata. Ma l’esperienza e la piogga esigono il loro tempo, così ci troviamo a calarci di notte, e mentre cuciniamo la nostra prima pasta norvegese, il cielo inizia a schiarirsi, dopo solo poche ore di buio. Non male come giornata di benvenuto al pianeta Lofoten!
Ci serve un giorno per ricaricare le pile, asciugare le scarpe, guardarci attorno e chiacchierare con qualche locale dalle mani rugose. Storie di mare e di vita. Forse è la stessa cosa. Insieme a sms di previsioni meteo contrastanti, arriva il giorno 3 alle Lofoten, anche se, guardando la nostra smisurata spesa ben stipata dentro la tenda, sembra che siamo appena arrivati. Salendo Gollum (5) e Guns n’ roses (6-) consumiamo per bene nocche e polpastrelli, su e giù per i cento metri della parete Gandalf. Scaliamo per tutto il giorno al ritmo della marea dietro di noi, ma il tepore del piumino ci fa passare qualsiasi voglia di bagno e asciugamano. Siamo in montagna! La roccia è fantastica, l’arrampicata mai banale, e ad ogni tiro impariamo sulla nostra pelle il significato di qualche termine tecnico arrampicatorio letto sulla guida in lingua inglese. Lo stomaco bussa scocciato, ricordando che è dalla mattina che vede solo frutta secca e cioccolato, ma alle otto e mezza di sera il sole non ne vuole sapere di tramontare, così, con un pensiero di scuse per il povero stomaco e uno sguardo di intesa fra noi, attacchiamo la terza via della giornata: Gandalf (5). È buio da poco quando torniamo alla tenda.
"La Norvegia ci prende in giro!” scherziamo guardando il cielo coprirsi e poi riaprirsi velocemente lasciandoci increduli e bagnati. Abbiamo imparato a fare progetti e a modificarli continuamente con la stessa velocità con cui cambia il tempo. E il tempo, alle Lofoten, decide tutto. Così decide anche di farci passare un giorno intero tra le quattro instabili pareti della tenda. Alienati e confusi siamo in balia del vento e della pioggia che non ci danno tregua.
Il giorno seguente scopriamo che oltre al meteo anche gli orari degli autobus sono di difficile comprensione, e ci costringono anch’essi a rivedere i nostri già flessibili programmi. Poco male, ripieghiamo su due viette toste vicine al nostro “campo base” a quota 0m. Lundeklubben, 3 tiri di 5-6, e Skiløperen (6-), un’estetica e sostenuta fessura di un tiro, tutto leggermente strapiombante. Con movimenti atletici imparati in palestra (Gio) o appesi come salami ad una sosta su due friends (Ali) conquistiamo anche questa parete di 30 metri esposti al vento. Stranamente col sole ancora sopra le montagne e le mani colme di mirtilli torniamo alla tenda per un insolito risotto fuxia e due pesci freschi regalatici da Michael, un pescatore tedesco, viaggiatore solitario del Nord. Provati dall’esperienza particolare della cena, decidiamo di fiondarci nei sacchiapelo perché, tempo permettendo, domani ci aspetta una grande impresa. Vestpillaren (6), questa famosa, lunga e impegnativa via da copertina (della guida) ormai è un sogno condiviso. Ci addormentiamo sperando che la notte culli il nostro sogno e che andandosene poi, lasci finalmente posto al sole.
Freschi come i pesci cucinati sul fornello ad alcol la sera prima, e freddi come la roccia che fra poco diventerà tutt’uno con le nostre mani, camminiamo verso “the Priest”. Dal basso appare come una verticale piramide, imponente e compatta. Da vertigini. La giornata è stupenda ed è tutta per noi. Vogliamo viverla appieno. La guida parla di 6-8 ore, e che una cordata affiatata può metterci anche meno. Ma a noi non interessa nessun record. Scivoliamo verso l’alto seguendo le fessure perfette della parete, uniche prese e uniche protezioni. Lo zaino intanto singhiozza e striscia sulla roccia sognando di essere un saccone. 12 tiri tutti eccezionali in 12 ore. 12 ore attaccati a una parete. Solo noi due e la Montagna. Ce la prendiamo con comodo, anzi, ci prendiamo il tempo che ci serve, il nostro tempo, il tempo per noi, per studiare la parete e per studiarci a vicenda. Noi, compagni di cordata non casuali, legati da qualcosa di più profondo e lungo di una corda. Agli ultimi tiri il sole ormai basso colora di giallo la roccia, lo spettacolo è unico, e si imprime negli occhi per diventare ricordo.
Agli amici alpinisti probabilmente racconteremo della pioggerellina al momento sbagliato, delle mani consumate, delle protezioni aleatorie e della coscienza che l’unica via di uscita è verso l’alto, ma i nostri occhi intanto brilleranno con la luce di quel tramonto.
Solo trad diremmo noi dolomitisti... chissà cosa direbbero i norvegesi delle nostre vie... oltre che “sono tutte marce”!
Basta spostarsi un poco e subito le nostre idee si relativizzano: la concezione della roccia, dell’etica dell’arrampicata…
Allora non è più “normale” trovare chiodi lungo la parete o cordini alle soste.
Le “protezioni veloci” diventano le nostre uniche protezioni, e impariamo a fidarci.
Arrampicare in Norvegia non è come arrampicare qui... smettiamo per un istante di confrontare, di cercare nomi complicati per descrivere. Viviamo quello che la differenza offre, godendone. Punto. I gradi, un più o un meno, la scala norvegese o francese, non hanno più un gran senso.
Saliamo solo in cerca di capire dove proseguirà la via, seguendo con il fiato sospeso la nostra fessura fino alla cima, fino a nuovi spettacolari panorami ed intense emozioni. Nonostante la guida parli di pareti frequentate, incontriamo, in tutti e 5 i giorni di arrampicata, una sola cordata, sulla parete Gandalf. Questa solitudine, unita alla difficoltà di individuazione dei sentieri, più simili a tracce di animali, ci fa sentire degli esploratori di un mondo lontano, reso ancor più misterioso dai nomi impronunciabili delle sue montagne. Guardarsi indietro significa spingere lo sguardo nel profondo del mare; uno specchio che provoca sentimenti contrastanti. La serenità del blu immenso, come la parete gialla e granitica sopra la testa. L’ansia dei misteri che racchiude, come le fessure nascoste che si susseguono chissà dove.
Con un pizzico di nostalgia lasciamo Henningsvær e il suo mondo sospeso fra mare, roccia e nuvole. Ed eccoci catapultati a Svolvær. La nostra ultima salita è forse la più famosa, anche per l’adrenalinico salto finale tra i due pinnacoli sommitali: “The Goat”, la capra, è stato il primo oggetto del desiderio degli alpinisti locali, e la sua salita era considerata in altri tempi un’impresa impossibile. Decidiamo di percorrere la via dei pionieri (1910 ruta (4+)), che per primi raggiunsero eroicamente la vetta lungo il tetro versante nord.
In cima, saltare da un corno all’altro è più una questione mentale che di gamba. Guardare dall’alto il cimitero laggiù, vedere la faccia del tuo compagno di cordata spaventato, che non crede possibile il passaggio, notare un pezzo di corno crollato... tutto questo non può che darti coraggio! E poi... un secondo e sei di là, sull’altro corno. Tutto in un secondo; ti serve solo quella spinta, quella forza che solo tu ti puoi dare. Nessun altro. Un istante e il sorriso.
La nostra avventura verticale finisce qui, ma il nostro viaggio continua. Un altro pezzo delle isole Lofoten ci aspetta per essere esplorato in altri modi. Ci dirigiamo quindi più a sud per incontrare nuove persone straordinarie ed ospitali, toccare spiagge deserte, respirare l’aria di fiordo da un traghetto, pedalare veloci contro la pioggia e lasciarci sospingere dal vento, che qui sembra non riposarsi mai…
Buone arrampicate e buone avventure a tutti!
Alice Lazzaro e Giovanni Zaccaria
Vorremmo lasciare qualche suggerimento pratico che a noi avrebbe fatto comodo, se per caso a qualcuno fosse venuta voglia di prendere la via del Nord!
Per le tue ascese norvegesi non dimenticare:
Mezze corde
Friends e nuts di ogni dimensione
2 paia di scarpe impermeabili
Giacca pesante anti-vento
Dizionario inglese (almeno da consultare prima!)
Nastro per le dita
Tenda bassa (vs vento)
La guida: Lofoten Rock, di Chris Craggs e Thorbjørn Enevold