Manolo: l'arrampicata e le scelte consapevoli
Quando ho incominciato a scalare non mi hanno detto di mettermi il casco, l’ho fatto. Semplicemente mi sembrava una cosa sensata e giusta. Era qualcosa che avevano tutti e faceva parte del corredo di un alpinista, come la corda i chiodi o i moschettoni. Tutti però avevano anche i pantaloni alla zuava, gli scarponi e la loro strana convinzione che il sesto grado fosse il limite estremo per l’uomo. Quasi subito dopo, me lo sono tolto... Lo trovavo terribilmente antiestetico e le uniche botte che prendevo sulla testa le ricevevo solo quando lo usavo. Tanto per intenderci, erano gli anni in cui si viaggiava in moto senza nulla. Non esistevano le cinture di sicurezza e nessuno sciatore e tantomeno ciclista pensava di metterselo.
Insieme al casco mi sono tolto anche gli scarponi e l’imbragatura completa. Non mi sono tolto i blue jeans ma in compenso con un paio di scarpe da ginnastica ho fatto immediatamente l’ottavo grado. Ho continuato a scalare per tutto il mondo e se devo essere sincero da quel giorno il casco l’ho messo solo quando praticavo il mio lavoro di guida. Lo consideravo una forma di rispetto, di educazione e di responsabilità verso gli altri. Del resto devo anche dire che scalando, non ho mai sbattuto la testa da nessuna parte (anche se ho fatto migliaia di voli), e non ho mai preso nemmeno un sassolino in testa. Anche se ho scalato su roccia orribile. Del resto sarebbe stata sufficiente una sola volta. Probabilmente la verità è che sono stato molto fortunato, ma il fatto di non avere niente in testa mi ha sempre costretto a una forte e costante attenzione. Un po’ come non avere un auto bloccante per fare sicurezza. Situazione che inevitabilmente richiede una costante e assoluta presenza.
Alcune regole non devono necessariamente diventare leggi e mi auspico che il buon senso prevalga. Non mi sento un emarginato se vado in bici senza il casco e nemmeno se non lo uso a sciare. Però sono consapevole di quello che sto facendo e dell’eventuale pericolo che corro e in alcuni casi mi adatto a metterlo. Io, come spiegato, arrivo da una generazione che lo ha quasi completamente rifiutato ma poi lentamente ha sviluppato una nuova educazione. Non mi scandalizzerei se nelle sale d’arrampicata il casco fosse obbligatorio fino a una certa età ma sarebbe meglio se non fosse imposto in questo modo. I genitori o i gestori in qualche modo dovrebbero intervenire in questo tipo di educazione. Queste generazioni potrebbero poi, in un futuro, trovare normale metterselo sempre.
Quando scalo in alcune falesie abbastanza affollate sono molto preoccupato, sempre più spesso vedo famiglie con giovani bambini che giocano allegramente alla base. In alcuni casi nemmeno il casco potrebbe servire ma è il minimo che dovremmo fare in quei casi.
Molte falesie possono apparire sicurissime. La saldezza della pietra e il comodo e preparato avvicinamento possono allentare l’attenzione. Ora aldilà di una responsabilità morale, molte pareti sono pulite solo fino al bordo e spesso quello che c'è oltre rimane un’incognita assoluta. Gli appigli non sempre sono solidissimi e anche i più solidi possono improvvisamente rompersi e cedere da un momento all’altro.
Naturalmente dare buoni consigli mentre continuo a dare cattivi esempi non è la cosa più credibile. Sicuramente ho avuto fortuna a sopravvivere ma proprio per questo mi sento almeno in dovere di farlo presente. C’è molta differenza fra emulare semplicemente qualcuno, o decidere attraverso una consapevolezza e uno spirito critico. Senza questo apprendimento, nessuna cintura e nessun casco vi proteggerà abbastanza. Anche perché non c’è niente di così sicuro nella vita, forse nemmeno la morte. Scegliete voi!
di Manolo
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