La scintilla e le vie a 5 stelle: Mario Prinoth ripete Cani Morti
07/2007 Mario Prinoth ha realizzato la terza ripetizione in libera di Cani morti (max 8b+, obbl. 8a) via aperta dal Maurizio “Manolo” Zanolla e Riccardo Scarian sulla parete nord dei Campanile basso dei Lastei, (Pale di San Martino, Dolomiti).
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Ciò che ti fa capire che sei sotto “Cani morti” è che ti agganci solo quattro rinvii. Nel tentativo di scaldarmi le dita cerco di ripercorrere tutti i movimenti della via, in particolare quelli che precedono i primi tre spit, perché un movimento sbagliato o un appoggio perso e Max sotto che fa sicura avrebbe ben poco da tenere.
Lorenzo Prinoth
Mario Prinoth ha ripetuto Cani morti (max 8b+, obbl. 8a) la via sulla parete nord dei Campanile basso dei Lastei, (Pale di San Martino, Dolomiti) aperta nell’estate 2003 e poi liberata l’anno successivo da Manolo e Riccardo Scarian. Questa è (solo) la terza ripetizione in libera di quest’itinerario che Prinoth inserisce tra le 5 vie simbolo dell’arrampicata sportiva moderna applicata alle grandi pareti; ovvero del concetto di itinerari che vogliono sperimentare e proporre la massima difficoltà “obbligatoria” possibile salendo dal basso.
Dopo le ripetizioni in libera della Larcher-Vigiani (max 8a, 7b obbl.) aperta e liberata da Rolando Larcher e Roberto Vigiani sulla sud della Marmolada, di “Solo per vecchi guerrieri” (8c/9a max), via aperta e liberata da Manolo sulla parete di "El Colaz" (Vette Feltrine), e di “Hotel Supramonte” (8b), la via di Larcher e Vigiani nelle Gole di Gorroppu, (Sardegna), con “Cani morti” Mario Prinoth ha fatto un poker a cui progetta di aggiungere la quinta di questa serie di “vie-simbolo con caratteristiche e stile che le rendono diverse tra loro e uniche...”. Cinque vie a cinque stelle che fanno scattare la scintilla dell’arrampicata e la voglia di superarsi…
La scintilla che scatta e le vie a 5 stelle
terza ripetizione in libera di Cani morti (Campanile Basso dei Lastei, parete nord)
di Mario Prinoth
La continua ricerca dei propri limiti e la voglia di dare sempre il massimo sono gli ingredienti necessari per intraprendere un certo stile di arrampicata. Queste sono le caratteristiche di “Cani morti”, via che si trova sul Campanile basso dei Lastei, aperta e poi liberata da Manolo e Riccardo Scarian.
La sua esposizione a nord le permette di essere baciata dal sole solamente nelle prime ore del giorno. Infatti, pur non essendo molto in quota nei miei quattro tentativi dell’anno scorso non ho mai scalato con una temperatura sopra i 10°. Il gran caldo di questo metà luglio dà l’ispirazione giusta per poter fare un buon tentativo sulla via; così, lunedì 16 decido di salire.
Dopo aver fatto la ferrata “De Marin”, percorro la suggestiva cresta con l’imponente spigolo dell’Agner alla mia sinistra mentre, volgendo lo sguardo verso destra, vedo chiaramente la Marmolada. L’avvicinamento si rivela così un valido aiuto per trovare la serenità e la concentrazione necessaria.
Arrivato ai piedi della parete, inizio a prepararmi. Controllo le corde, metto imbrago e scarpette: ciò che ti fa capire che sei sotto “Cani morti” è che ti agganci solo quattro rinvii. Nel tentativo di scaldarmi le dita cerco di ripercorrere tutti i movimenti della via, in particolare quelli che precedono i primi tre spit, perché un movimento sbagliato o un appoggio perso e Max sotto che fa sicura avrebbe ben poco da tenere. Il primo tiro rappresenta la parte cruciale della via per quanto riguarda la difficoltà. L’obbligatorio è rappresentato da una serie di movimenti su piccole scaglie: pur ricordandomi perfettamente la loro posizione, non riesco però a puntare correttamente quel piede che ti permette di affrontare l’ultimo movimento decisivo e così, in una frazione di secondo, mi ritrovo a metà tiro.
Mi faccio calare a terra e, aspettando che torni la giusta motivazione, scambio due battute con Max e dopo una buona mezz’ora riparto. L’aderenza è buona, la forma fisica è supportata da una concentrazione mentale totale; mi rendo conto che, in questa prima sezione, non patisco il freddo alle dita come le scorse volte, e che la serie di movimenti duri non è riuscita ad intaccare il mio massimale. I movimenti si fanno fluidi e naturali, così quest’ultima sezione che finora mi aveva sempre respinto si fa dominare… affrontando quell’ultimo e difficile movimento aleatorio, e così moschetto la catena come il senso della via richiede.
Fatta la parte più dura, rimangono quattro tiri di grado inferiore, ma non per questo da sottovalutare; sono infatti diversi dal tiro appena liberato: la parete è meno strapiombante, e si trasforma in calcare molto compatto. Da qui la roccia, a detta anche degli stessi apritori, diventa semplicemente “super”, e se riesci a scalare abbastanza tranquillo, senza controllare troppo le rarissime protezioni, ti puoi veramente gustare questo fantastico tiro. Arrivato alla sosta del secondo tiro, mi aspetta ora quello che definirei il “tiro-sorpresa” che, per definizione, è giusto che rimanga tale…
Questo terzo tiro l’anno scorso l’avevo scalato una sola volta,e così cerco di ricordare quanto più la mia memoria riesce a darmi; anche perché il pensiero di dover ripeterlo per la seconda volta non mi andrebbe proprio… Superato quest’ultimo mi aspetta l’incognito: infatti nei precedenti tentativi non ho mai provato questi due ultimi tiri. Questo mi aiuta a non abbassare la guardia, perché mi aspettano due tiri da fare a vista. Riguardo la relazione che dice semplicemente “… è un 7b di 55 mt. (3 spits)” e l’ ultimo: ”6C+,50 mt. (2 spits)”. Da qui in poi le difficoltà si abbassano notevolmente e la scalata diventa “psicologica”, ma la voglia di arrivare in cima a questo gigantesco cono gelato rovesciato è tantissima!
Guadagno la cima dedicando la via a chi so solo io. Mi sorprende la stranezza di un grosso masso incastrato tra due imponenti pilastri, che sembra impossibile sia arrivato lì da solo… chissà quali conformazioni rocciose c’erano un tempo… Nel cercare la sosta, mi accorgo che… è stata tolta! Così, come un gambero, scalo all’indietro per una quindicina di metri!
Dopo la “Larcher-Vigiani” nel 2005 e “Solo per vecchi guerrieri” nell’autunno del 2006, lo scorso maggio, ripetendo “Hotel Supramonte”, con “Cani morti” sono riuscito a fare il giro di boa al sogno che coltivo dentro di me: ripetere cinque vie a “cinque stelle”, accomunate dal fatto che a mio dire sono tutte vie-simbolo per questo genere di arrampicata, ma con caratteristiche e stile che le rendono diverse tra loro e uniche. Ora la mia attenzione si sposta verso l’ultima già definita “… una delle vie più desiderate, celebri e celebrate del mondo…”
Con questa descrizione della mia ripetizione di “Cani morti” non ho voluto raccontare un atto eroico, bensì ho la speranza di far “scattare quella scintilla” in tanti che, come me, dedicano all’arrampicata buona parte del loro tempo e vivono intensamente il vero senso della parola “scalare”.
Mario Prinoth
Dopo le ripetizioni in libera della Larcher-Vigiani (max 8a, 7b obbl.) aperta e liberata da Rolando Larcher e Roberto Vigiani sulla sud della Marmolada, di “Solo per vecchi guerrieri” (8c/9a max), via aperta e liberata da Manolo sulla parete di "El Colaz" (Vette Feltrine), e di “Hotel Supramonte” (8b), la via di Larcher e Vigiani nelle Gole di Gorroppu, (Sardegna), con “Cani morti” Mario Prinoth ha fatto un poker a cui progetta di aggiungere la quinta di questa serie di “vie-simbolo con caratteristiche e stile che le rendono diverse tra loro e uniche...”. Cinque vie a cinque stelle che fanno scattare la scintilla dell’arrampicata e la voglia di superarsi…
La scintilla che scatta e le vie a 5 stelle
terza ripetizione in libera di Cani morti (Campanile Basso dei Lastei, parete nord)
di Mario Prinoth
La continua ricerca dei propri limiti e la voglia di dare sempre il massimo sono gli ingredienti necessari per intraprendere un certo stile di arrampicata. Queste sono le caratteristiche di “Cani morti”, via che si trova sul Campanile basso dei Lastei, aperta e poi liberata da Manolo e Riccardo Scarian.
La sua esposizione a nord le permette di essere baciata dal sole solamente nelle prime ore del giorno. Infatti, pur non essendo molto in quota nei miei quattro tentativi dell’anno scorso non ho mai scalato con una temperatura sopra i 10°. Il gran caldo di questo metà luglio dà l’ispirazione giusta per poter fare un buon tentativo sulla via; così, lunedì 16 decido di salire.
Dopo aver fatto la ferrata “De Marin”, percorro la suggestiva cresta con l’imponente spigolo dell’Agner alla mia sinistra mentre, volgendo lo sguardo verso destra, vedo chiaramente la Marmolada. L’avvicinamento si rivela così un valido aiuto per trovare la serenità e la concentrazione necessaria.
Arrivato ai piedi della parete, inizio a prepararmi. Controllo le corde, metto imbrago e scarpette: ciò che ti fa capire che sei sotto “Cani morti” è che ti agganci solo quattro rinvii. Nel tentativo di scaldarmi le dita cerco di ripercorrere tutti i movimenti della via, in particolare quelli che precedono i primi tre spit, perché un movimento sbagliato o un appoggio perso e Max sotto che fa sicura avrebbe ben poco da tenere. Il primo tiro rappresenta la parte cruciale della via per quanto riguarda la difficoltà. L’obbligatorio è rappresentato da una serie di movimenti su piccole scaglie: pur ricordandomi perfettamente la loro posizione, non riesco però a puntare correttamente quel piede che ti permette di affrontare l’ultimo movimento decisivo e così, in una frazione di secondo, mi ritrovo a metà tiro.
Mi faccio calare a terra e, aspettando che torni la giusta motivazione, scambio due battute con Max e dopo una buona mezz’ora riparto. L’aderenza è buona, la forma fisica è supportata da una concentrazione mentale totale; mi rendo conto che, in questa prima sezione, non patisco il freddo alle dita come le scorse volte, e che la serie di movimenti duri non è riuscita ad intaccare il mio massimale. I movimenti si fanno fluidi e naturali, così quest’ultima sezione che finora mi aveva sempre respinto si fa dominare… affrontando quell’ultimo e difficile movimento aleatorio, e così moschetto la catena come il senso della via richiede.
Fatta la parte più dura, rimangono quattro tiri di grado inferiore, ma non per questo da sottovalutare; sono infatti diversi dal tiro appena liberato: la parete è meno strapiombante, e si trasforma in calcare molto compatto. Da qui la roccia, a detta anche degli stessi apritori, diventa semplicemente “super”, e se riesci a scalare abbastanza tranquillo, senza controllare troppo le rarissime protezioni, ti puoi veramente gustare questo fantastico tiro. Arrivato alla sosta del secondo tiro, mi aspetta ora quello che definirei il “tiro-sorpresa” che, per definizione, è giusto che rimanga tale…
Questo terzo tiro l’anno scorso l’avevo scalato una sola volta,e così cerco di ricordare quanto più la mia memoria riesce a darmi; anche perché il pensiero di dover ripeterlo per la seconda volta non mi andrebbe proprio… Superato quest’ultimo mi aspetta l’incognito: infatti nei precedenti tentativi non ho mai provato questi due ultimi tiri. Questo mi aiuta a non abbassare la guardia, perché mi aspettano due tiri da fare a vista. Riguardo la relazione che dice semplicemente “… è un 7b di 55 mt. (3 spits)” e l’ ultimo: ”6C+,50 mt. (2 spits)”. Da qui in poi le difficoltà si abbassano notevolmente e la scalata diventa “psicologica”, ma la voglia di arrivare in cima a questo gigantesco cono gelato rovesciato è tantissima!
Guadagno la cima dedicando la via a chi so solo io. Mi sorprende la stranezza di un grosso masso incastrato tra due imponenti pilastri, che sembra impossibile sia arrivato lì da solo… chissà quali conformazioni rocciose c’erano un tempo… Nel cercare la sosta, mi accorgo che… è stata tolta! Così, come un gambero, scalo all’indietro per una quindicina di metri!
Dopo la “Larcher-Vigiani” nel 2005 e “Solo per vecchi guerrieri” nell’autunno del 2006, lo scorso maggio, ripetendo “Hotel Supramonte”, con “Cani morti” sono riuscito a fare il giro di boa al sogno che coltivo dentro di me: ripetere cinque vie a “cinque stelle”, accomunate dal fatto che a mio dire sono tutte vie-simbolo per questo genere di arrampicata, ma con caratteristiche e stile che le rendono diverse tra loro e uniche. Ora la mia attenzione si sposta verso l’ultima già definita “… una delle vie più desiderate, celebri e celebrate del mondo…”
Con questa descrizione della mia ripetizione di “Cani morti” non ho voluto raccontare un atto eroico, bensì ho la speranza di far “scattare quella scintilla” in tanti che, come me, dedicano all’arrampicata buona parte del loro tempo e vivono intensamente il vero senso della parola “scalare”.
Mario Prinoth
Note:
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