Kalymnos, due vie nuove
12/2004, a Kalymnos, Giovanni Ongaro e Fabio Palma hanno aperto 'Cardiopalma' (max 8a, obbl. 7a) mentre Simone Pedeferri e Marco Vago hanno aperto e poi liberato 'L'uomo senza qualità' (max 8a, obbl. 7a).
Quattro climbers: Giovanni Ongaro, Fabio Palma, Simone Pedeferri e Marco Vago (incidentalmente tutti Ragni di Lecco). Due cordate: con Giovanni 'Giò' e Fabio a formare la prima, Simone e Marco, la seconda. Due vie nuove, da 120m ciascuna: L'uomo senza qualità (max 8a, obbl. 7a) e Cardiopalma (max 8a, obbl. 7a). Un'isola: Kalimnos. Tanta roccia: un mare in piedi, di tagliente roccia. E poi: riflessi di luce marina, un trapano e, soprattutto, la voglia di andare in cerca di ciò che abbassa o innalza. Com'è andata ce lo racconta Fabio Palma: KALYMNOS O DEL PARADISO DELL'ARRAMPICATA 4 climbers, due vie nuove e ciò che abbassa o innalza... di Fabio Palma Non enfatizzare, mi raccomando, sono solo due vie di 120 mt, mi raccomanda Simone. Ha ragione, abbiamo aperto due vie corte in unisola, Kalymnos, lontana, perfino nei colori, dalle immagini spesso violente di unimpresa. E stata dura, però, questo anche Simone me lo deve concedere. Ricordo benissimo cosa diceva lui stesso, luomo di punta, quando tornavamo al buio sul sentiero invisibile. Emozionante, appagante, anche divertente, ma dura. Un tiro al giorno, per me e Giò, ingannati da una binocolata ottimistica che prometteva buchi generosi, placche a gocce e canne facilmente proteggibili a friends; un po di impegno, qualche patema, su difficoltà che, ci dicevamo, saranno sì e no 7a al massimo. Giò parte con la sapienza dellesperto, i buchi ci sono, anche se su roccia a volte discutibile e vedo che si ferma a chiodare solo quando gli sembra che il volo potrebbe essere pericoloso. Inventerà un ristabilimento da par suo, molto granitico in stile e fiducia; niente di eroico e neanche di pericoloso, giusto una sottolineatura: siamo su via, non in falesia, un po di autocontrollo è richiesto. Lo raggiungo in sosta meno di unora dopo, ed il battesimo di apertura è quantomeno imbarazzante: lancio a una presa dalla forma rassicurante di una mattonella da bagno, mi resta in mano e, mentre Giò mi accoglie fra le sue braccia, al posto della piastrella compare... un pipistrello!! Ridono tutti, penso anche il pipistrello. Il tutti è riferito anche allaltra coppia, quella forte, quella che si è lanciata in direzione di uno strapiombo inquietante. Lo stanno studiando alla sua base, dopo un primo tiro di placca non banale e con chiodatura psicologica. Beati i forti, penso, e mi rilancio. Non elegantemente, e neanche con troppo successo, fino a che non decido di sollevare un pesantissimo piede sinistro e di sorpassare il punto di non ritorno. Niente di eccezionale, un passaggio di massimo 6c ma non ho niente a cui puntare, se non un non meglio identificato punto da cliff. Giò mi incoraggia (dirà che sono partito bello audace ), e trascorrono un paio di minuti in cui probabilmente disattendo tutte le regole del buon apritore. Come, non ti sei preparato abbastanza? Forse, risponderei, o meglio, è la prima volta in vita mia che mi ritrovo con un cliff sul corpo. Sul corpo, ribadisco, visto che prima di riuscire ad afferrarlo il malefico gancio si incastra in almeno tre punti dellimbrago, fra cordini di vario uso. La tacca su cui intanto, freneticamente, continuo a cambiare mano per non precipitare sul socio 4 metri più sotto si fa sempre più ostile, fino a quando non accoglie la pressione del primo cliff. Insomma, per farla breve, dopo qualche eterno minuto e ulteriori combattimenti con martello e chiave Giò commenta con un salvo lesito della lotta. Che si protrae per oltre unora e mezza, fino a quando un futuro monodito cede a tanta incompetenza e lascia scivolare lunico cliff su cui mi ero appeso. Oltre 7 metri di volo, risata di Giò, e cambio. Laltra coppia non vede ma ha udito, e se la ride. Loro, chiaramente, non volano mai, e Giò li apostrofa conigli. La parete si rivelerà sempre molto ostile ai cliff, lo capisco perché anche Giò lotta come un dannato per trovare anche piccole asperità. Spesso dobbiamo chiodare in bloccaggio, con avambracci che si tetanizzano fulmineamente, mentre il sudore imperla la mano che impugna il trapano. Uso anche il trucco di scaricarmi sulla punta del trapano appena conficcata, su consiglio del saggio compagno. Per amore della verità, allinizio avevo capito che dovevo appendermi al trapano, non alla punta, ma uno scricchiolio sinistro e un urlaccio mi riportano subito al gesto corretto. Avanzate lente le nostre, voli frequenti ma che succede intanto allaltra cordata, quella dei forti? Non hanno grossi problemi, se non quello marginale dellassenza di punti di cliffaggio. Marginale perché tanto loro riescono a bloccare ovunque, e il confronto è presto impietoso. Salgono con rapidità assordante, mentre Giò commenta bambini, chiodano ogni metro. La lotta sul terzo tiro è addirittura leggendaria, sento che i grandi apritori sarebbero fieri di me. O forse sghignazzerebbero, dopo che per tre volte Giò mi accoglie in sosta. Poi finalmente riesco a passare, e ad avanzare una decina di metri, prima di dare, esausto, il cambio. Davanti ora abbiamo una pancia costellata di buchi. Sarà 6b, penso, e lo stesso Giò si lascia andare a previsioni ottimistiche. Raggiungerà la sosta circa tre ore dopo, e un paio di chiodature a metà fra lesercizio di un contorsionista e un movimento degno di un climber di nome. La roccia è meravigliosa, direi superiore perfino a quella più lavorata toccata al Ratikon. Solo, è maledettamente tagliente ed esigente, nel senso che si ribella ad un livello, il nostro, chiaramente non allaltezza. Un commento di Giò (ma qui piove dal basso verso lalto? Le gocce vanno allingiù ) sintetizza bene i problemi incontrati. Che ci fanno qui, Ongaro e Palma? Soprattutto, che ci fa qui Palma? Il quarto giorno decido di ribellarmi alla mediocrità, così mi lancio in un run-out fra roccia rotta e vegetazione nellultimo tiro (ma non vi preoccupate, la via è poi stata ripulita anche in questo tiro), mentre Simone mi filma e tre volte, cortesemente e un po preoccupato, mi dice Fabietto, è meglio che ti fermi, Fabietto, guarda che ti resta in mano, Fabietto, se cadi arrivi in cengia. Comè carino, Simo il grande, a chiamarmi Fabietto; penso che gli faccia molta tenerezza, e non ho tempo di spiegargli che non riesco a fermarmi, in quel maledetto diedro; ecco perché sto andando avanti, per paura, non per eroismo. Diventerà, quello, il tiro più brutto della via, ma non mi importa: è un tiro tutto mio, e pure coraggioso. Logico che Giò proponga il nome poi ufficiale, mentre laltro nome arriva una serata in cui Marchino, proprio lui, si dice stufo di parlare dellarrampicata. Allora io parto col citare una frase di Sartre (esistere, ecco cosè: bersi senza sete), e poi di Musil (lunga, la metto alla fine ), ed ecco che la via dei forti diventa un omaggio al più bel libro che io abbia mai letto, fonte di riflessione per ogni arrampicatore. Perché chi scala, non ho dubbi, è proprio un uomo senza qualità, soprattutto chi scala con un pizzico di rischio. Come sono le due vie? Ogni scarafone è bello a mamma sua, chiosano a Napoli. Della nostra io dico che il secondo tiro è molto bello, e non solo perché lho salito poi in libera. Ma a Marchino, invece, non è piaciuto, mentre a me non sono piaciuti un bel po di 7c toccati nelle falesie dellisola, già compromessi dallunto. Questione di gusti, forse. Sul terzo, invece, non ci sono dubbi: è proprio un capolavoro della natura, dove abbiamo cercato di essere più discreti possibili. La via della coppia dei forti, invece, la ignoro: Simone lha liberata tutta al primo colpo, come è ovvio visto il suo livello; sicuramente è una via enormemente strapiombante, di grande estetica. E certo che avremmo potuto chiodare meno le due vie, rendendole più severe e forse più importanti. Spesso mi ritrovo a pensare che avrei potuto osare di più, ma poi ricordo i tanti momenti di respiro pesante, di vera paura, e devo riconoscere che su quelle difficoltà non ho il coraggio di andare oltre il mio limite. Così sono due vie difficili, ma scalabili a vista da arrampicatori che siano forti, precisi, sicuri negli avambracci ma anche nelluso degli arti inferiori. Essi apprezzeranno lobbligatorio di tutti i passaggi, costantemente sopra il 6c e qualche volta sul 7a. E Kalymnos? Lisola non è abbacinante come il Supramonte ed è paurosamente povera di alberi e spiagge, tuttavia è un vero Paradiso dellarrampicata, con falesie per tutti i gusti e tutti gli stili. I gradi, ormai è noto, sono generalmente turistici, ma non mancano puntigliose eccezioni. Abbondano gli strapiombi a canne, ma larrampicatore curioso troverà tutta la varietà che desidera. E, aggiungo con un po di presunzione, alcuni tiri delle nostre vie sono veramente unici, per disegni, stile e colori, anche nellofferta enorme delle falesie dellisola. Simone e Marco hanno voluto anche lasciare due firme di classe con i monotiri Mella e Padroni e pagliacci: il primo si trova, per ora solitario, su una falesia rosso fuoco alle pendici della parete Olimpic Games, quindi a 20 dalla falesia di Odyssey. Scalarla verso il tramonto regalerà emozioni intense. Il secondo costella con sobrietà di chiodatura il punto più bello della falesia Iliade, che ha roccia tagliente e aggressiva. Splendida, quindi, dico io, e so già che qualcuno rabbrividirà. Daltronde, esistono regole e gusti scritti in arrampicata ? di Fabio Palma Credo che se anche mi si dimostra mille volte che, per i motivi in vigore, una cosa è buona oppure bella, io sono e rimango indifferente, e lunico segno sul quale regolerò il mio giudizio è: se la sua presenza mi abbassa o mi innalza. Se mi desta la vita oppure no. Se soltanto la mia lingua ne parla o il mio cervello, oppure il brivido che sirradia fino alla punta delle dita Da Luomo senza qualità, Robert Musil |
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