I Friends di Ray Jardine, una tazza ed una busta blu
Se per molti di noi la nostra attività non è solo uno sport è perché la storia dell’arrampicata non è solo un elenco di numeri e di date, ma soprattutto una storia di uomini e di idee. Certo, si può scalare senza sapere nulla di tutto questo, ma da sempre la "cultura" che avvolge il nostro agire sulle rocce e sulle montagne è quel qualcosa in più che rende la nostra passione unica. Esistono centinaia di libri scritti sui personaggi o solo sulle idee che li hanno spinti a compiere certe imprese, ma molti aneddoti o fatti non sono mai stati scritti e si tramandano nella memoria degli arrampicatori. Ogni tanto escono sui social o in qualche forum, magari sono letti e fanno sorridere migliaia di appassionati, ma poi son destinati a scomparire... Magari son solo leggende, ma anche queste contribuiscono a far sognare ed alimentare una passione. Ad esempio qualche mese fa ho letto uno di questi aneddoti, ma davvero non ricordo più dove e neanche google mi è venuto in aiuto in proposito. So solo che mi ha strappato un sorriso…
Chi ha inventato i friend? Beh, non così difficile rispondere, è stato Ray Jardine, un arrampicatore americano famoso in Yosemite per aver effettuato alcune prime salite. Una tra queste è The Phoenix, una terribile fessura ad incastro: a proposito, lo sapevate che probabilmente è stato il primo 5.13 della storia, un "quasi" 8a… per chi non ha le tabelline sottomano? Nel 1977… fa venire i brividi pensare che in America si superavamo quelle difficoltà in quell’epoca! E per giunta assicurati da protezioni mobili… Molti pensano ancora che i primi a raggiungere questa difficoltà siano stati i francesi, negli anni ottanta, grazie agli spit! Ma Ray era riuscito soprattutto grazie all’invenzione dei friends, appunto, un’invenzione rivoluzionaria che aveva permesso di proteggersi nelle fessure parallele molto velocemente, senza bisogno di fare resting.
Ray era un ingegnere aereospaziale, ed ancora oggi potete visitare il suo sito, pieno zeppo di invenzioni di ogni tipo. Ispirandosi al cam-nuts inventato da Greg Lowe nel 1973, Jardine aveva iniziato a studiare un oggetto di questo tipo sin dal 1971. Aveva quindi realizzato un prototipo di protezione a camme che aveva cominciato a testare in gran segreto proprio sulle rocce di Yosemite. Con essi Ray nel 1974 ha tentato di scalare per la prima volta The Nose in giornata e ripetuto la famosa Separate Reality (liberata da Ron Kauk, n.d.r), che divenne poi la copertina del libro "7° grado" di Reinhold Messner.
Ma perché il nome friend? Si racconta che Jardine nascondesse i prototipi in una busta blu che estraesse solo quando non ci fosse nessuno in giro che potesse rubargli il brevetto. Era infatti ossessionato (forse giustamente) da questa idea. Ma un giorno c’era davvero troppa gente alla base della parete e Ray non voleva rinunciare alla sua salita. Così il suo compagno gli disse semplicemente: Ray, ti sei ricordato di prendere i friends? Alludendo al contenuto della busta blu… Da allora, quegli strani oggetti a camme, vengono chiamati così!
Non molti sanno che i friends non trovarono in America un produttore disposto a brevettarli (i fratelli Lowe non lo fecero mai) e, dopo alcuni frustanti anni senza successo, Ray fu costretto ad unire le forze con l'inglese Mark Vallance che fondò quindi nel 1977 in Gran Bretagna la Wild Country, la prima azienda a costruire e vendere gli "amici".
Ma veniamo all’aneddoto che ho letto e che ha ispirato queste mie righe… I primi tempi molti arrampicatori di Yosemite erano alquanto scettici sulla bontà della nuova invenzione. Un giorno alcuni tra i più famosi scalatori erano seduti a prendere il thè a Camp 4 ed arrivò Ray. Molti tra i presenti sollevarono dubbi sulla tenuta della nuova protezione. In tutta risposta Ray ne estrasse uno e lo infilò nella tazza del thè di uno degli scettici dicendo: "e adesso prova ad estrarlo senza tirare le camme!"
Ho regalato ad un amico i miei primi wild country a barra rigida, comprati nei primi anni ottanta quando sono arrivati in Italia. Son stato quindi costretto a chiamarlo e chiedergli di infilarne uno in una tazza per fare una fotografia un po’ insolita…
di Maurizio Oviglia (CAAI)
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