Federica Mingolla ripete Tom et je ris 8b+ in Verdon
Tre giorni per risolvere il primo 8b+. Già questo è singolare. Se poi aggiungiamo che quel primo 8b+ non si trova proprio dietro l'angolo, ma a centinaia di chilometri da casa in una falesia mai vista prima, allora il tutto diventa più interessante. Ancor di più se quella "falesia" si chiama Verdon, il regno del vuoto più totale, e quel primo 8b+ si chiama Tom et je ris, ritenuta una delle vie sportive più belle e famose al mondo, dove, per venirne a capo, bisogna prima calarsi in quell'abisso e poi sperare e credere di trovare la sequenza giusta per uscirne. Un banco di prova non indifferente a cui si è sottoposta, la settimana scorsa, Federica Mingolla: 20enne climber torinese che di mese in mese sta facendo conoscere il suo grande talento per l'arrampicata sportiva. Federica studia Scienze Motorie e, strano a dirlo, arrampica da soli cinque anni. Lo scorso maggio è riuscita a salire il suo primo 8b, Fuga dal Ghetto in Valle di Lanzo, mentre giovedì scorso è arrivata la rotpunkt di quel primo 8b+ nel Verdon. Non avrebbe potuto fare scelta migliore, come racconta Edoardo Falletta.
TOM ET JE RIS PER FEDERICA MINGOLLA di Edoardo Falletta
Cos'è Tom et je ris? Cosa evoca nell’immaginario degli arrampicatori questo nome che fa il verso ad uno dei più famosi cartoni animati per bambini? Anche se sei forte non è detto che tu sia in grado di confrontarti con questa linea che risalta così chiara e nitida agli occhi che dal belvedere panoramico la cercano nel centro della parete grigia sulla Rive Gauche. Roccia perfetta, vuoto mozzafiato, difficoltà nel raggiungere l'attacco e una complicata calata nel baratro per posizionare i rinvii sono gli ingredienti che rendono questo mono tiro di 60 metri un raro gioiello incastonato nel cuore delle Gorge du Verdon. Braccia muscolose e dita forti non sono affatto condizioni sufficienti per poter entrare nella ristretta cerchia di chi ha potuto toccare e salire le sue famose colonnettes di tufo. Ciò che conta davvero è la determinazione e una grandissima volontà che sono le indispensabili qualità di chi si appresta ad agganciare il discensore alla corda statica per iniziare la calata nel vuoto.
Più volte mi sono domandato se tutti i sacrifici che abbiamo fatto valessero davvero la pena per quella che in fondo non è che pietra gialla e grigia levigata dall'acqua e dai venti secchi che spirano dal fiume Verdon. Ma ho capito che se le tue mani almeno per una volta sono state sporche di magnesite e di sangue allora la risposta è si. Ne vale sempre la pena perché ogni sforzo sarà infine ripagato dalla gioia e dalla soddisfazione.
Queste righe non vogliono essere il racconto di come si scala un tiro ne di una linea di spit salita metro dopo metro. Questa è la storia di un sogno. Un sogno di una giovane ragazza che vive e studia a Torino. Una ragazzina che a ben vedere ha solo vent'anni ma che lasciando parlare i suoi gesti può insegnare agli adulti (o a quelli che si credono tali) cosa vuol dire essere determinati, forti nell'inseguire e realizzare i propri sogni e i propri obiettivi:
Tom et je ris nasce dalla felice intuizione di Bruno Clement che nel 2004 chioda la via dedicandola a suo figlio che ha da poco compiuto quattro anni. Il caso e il destino impiegano però dieci anni per fare incontrare Federica e Tom, che nel 2014 viene fotografato per la copertina di una rivista di arrampicata che finisce nella palestra dove lei si allena.
Il grado severo e l’elemento estetico che rendono questo tiro uno dei più suggestivi ed affascinanti di tutto il Verdon colpiscono subito Fede che dopo una rapida ricerca sul web capisce di poter davvero affrontare il lungo viaggio che partendo da una nicchia appena accennata nel bel mezzo della grigia parete ti porta ad uscire su un comodo balcone pieno di lavanda e timo che crescono endemici su questo alti piano.
Fede fin da subito intuisce che quei movimenti le appartengono, che una estenuante maratona verticale non la spaventa affatto. Salire 60 metri combattendo contro la ghisa scalando sempre sui piedi è uno stile che Fede ha imparato a fare suo e allora si è già a metà dell’opera… adesso bisogna andare davvero!
E’ la fine di maggio quando cominciamo a parlare concretamente del viaggio ma tra gare, esami all’università e l’estate che avvicinandosi rende torrido il clima del Verdon decidiamo che il mese ideale per partire è settembre. Arrivare in Verdon per la prima volta è davvero qualcosa di magico, di emozionante. Già in condizioni normali o quanto meno controllate la dimensione della verticalità non ammette alcun margine d'errore ma qui esitazione e improvvisazione non possono esistere. Qui a danzare sulla roccia ci si trova a cento metro da terra e ogni volo da rinvio a rinvio diventa più lungo e fa ancora più paura.
Il primo giorno sotto una pioggia incessante ma che non ci scoraggia riusciamo a trovare la sosta dove calarsi con la statica. Ovviamente la roccia è tutta bagnata e anche noi siamo fradici e infreddoliti. Decidiamo di tornare a La Palud, paesino di pochi abitanti che abbiamo eletto a nostro campo base. Il mattino che ci si presenta l’indomani è umido e grigio ma decidiamo di percorrere ugualmente il sentiero che in un ora e venti porta all'attacco.
La prima ricognizione su Tom et je ris serve per capire che l’inizio della via è in leggero strapiombo e che la scalata non sarà affatto facile. Dopo due giri per far proprie tutte le intense sezioni e capire dove riposare Fede arriva in sosta. Decidiamo comunque di rimandare tutto al giorno dopo, ormai si è fatto tardi e anche se lei vorrebbe fare un altro giro completo, dopo aver provato gli ultimi movimenti in top-rope ci incamminiamo sulla via del ritorno.
Quello che succede il terzo giorno è un segreto che solo Fede conosce e che sicuramente vorrà custodire gelosamente nel profondo del proprio cuore. Chi fa sicura su Tom, dopo pochi rinvii non vede più chi arrampica che allora si trova ad essere da solo immerso nel vuoto. Fede arrampica, fa quello che meglio sa fare, presa dopo presa, pinza dopo pinza. Lei sale. Si ferma per riposare cinque minuti, sono troppi questi minuti. Noi da sopra li contiamo passare lenti con il cuore in gola. I piedi in spaccata si spalmano sulla sfuggente roccia e poi, nello spazio di quello che pare un secolo e che poi si rivelerà un giro completo di orologio, la testa di Fede appare sulla cengia.
Non parla, non un fiato, non un grido. Tanto lo sappiamo che sarebbe superfluo, totalmente inutile. Gli occhi le brillano forte. Noi la guardiamo stupiti e in quel momento che conservo ancora nitido, stiamo a guardarci in silenzio ad un passo dallo strapiombo. Felici di aver faticato e sudato ogni mattina sul maledetto sentiero di avvicinamento, felici di aver portato sulle spalle zaini pesantissimi carichi di tanto e troppo materiale, felici di aver saltato pranzi e aver mangiato male a cene. Orgogliosi di essere li. Per Fede. Se lo merita.
Un ringraziamento speciale lo devo a Tommaso che pur non essendo uno scalatore non si è fatto scoraggiare dal vuoto del Verdon e ha fatto ronzare i suoi droni sulla testa di Fede per riprendere i bei momenti della scalata.
A Elio che con la sua esperienza ha reso più sicura la nostra permanenza sul bordo dello strapiombo della Rive Gauche e che con le sue meravigliose fotografie ha documentato questa grandiosa prestazione.
Ad Andrea che con la sua immensa gentilezza, disponibilità e simpatia ha fatto sicura a Fede quando ce n’era davvero (davvero… ma dai) bisogno.
L’ultimo ringraziamento va a Federica Mingolla che con la sua energia è sempre fonte di grande ispirazione per tutti noi che abbiamo l’onore e il privilegio di conoscerla e poterla chiamare nostra amica.
Si ringraziano inoltre gli sponsor che con il loro fondamentale contributo hanno permesso a Federica di fare questa bella esperienza; Petzl, Wild Climb, Bshopzone, Ferrino, Avrio Drone
Si consiglia inoltre di leggere www.blogside.it per i dettagli circa l’avvicinamento.
Arrampicare nelle Gorges du Verdon
Una selezione di fantasiche vie di più tiri nelle Gorges du Verdon, Haute-Provence, Francia.
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