Due spit alla fine, nuova via e libera sulla Cima d’Auta
Il 3/10 Maurizio ‘Manolo’ Zanolla, insieme ad Omar Genuin, ha liberato “Due spit alla fine” la via da loro stessi aperta quest’estate sulla parete sud della Cima d’Auta (Dolomiti).
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Due spit alla fine
arch. Manolo
“Due spit alla fine” è la nuova via aperta quest’estate da Manolo e Omar Genuin sulla parete sud della Cima d’Auta, e poi liberata da Manolo la scorsa settimana. “Due spit alla fine” è una via su una parete Doc con vie molto belle (come Spirit) e una roccia che definire stupenda sembra perfino riduttivo. Ma è anche una via che racchiude una sua piccola storia.
Sarà per caso (o per destino), tutto è nato dall’incontro fortuito di Omar e Manolo proprio su quella parete sud, quella che ogni giorno Omar vede dalla sua casa. Quel giorno avevano fatto vie diverse… ma intanto si erano conosciuti, e poi anche re-incontrati in falesia. E’ così che Omar ha esposto la sua idea (o meglio la sua scoperta) a Manolo: quella perfetta colata nera della Cima d’Auta che aspettava solo di essere salita.
Era una sorta di “regalo”: Omar infatti (che, anche se “viaggia” sull’8a, arrampica solo da 3 - 4 anni) non pensava di poterla salire quella linea, lungamente osservata con il binoloco. Invece Manolo non la pensava così: le idee contano sempre molto e vanno premiate. Così per Omar s’è realizzata un’esperienza che lui stesso non esita a definire “eccezionale”. Mentre, per Manolo, è stata l’occasione di mettere alla prova la sua spalla malandata, ma anche di ringraziare il “santo” fisioterapista che l’ha sistemata.
E’ così che è nata la nuova via. Nove lunghezze (molto belle) che, come scrive Manolo, è stata aperta “dal basso con spit e trapano senza integrare con niente altro, se non qualche clessidra, cercando come sempre di essere per quanto possibile ‘eticamente’ corretto… Il primo il quarto e l’ottavo tiro sono quelli più impegnativi gli altri sono più facili ma, a parte l’ultimo, mai banali.”.
Per quanto riguarda la difficoltà, invece, ecco la sua indicazione: “La via è più o meno un grado più impegnativa della vicina Spirit. Tecnicamente, fisicamente e mentalmente, non credo sia meno bella ma questo forse sarebbe un giudizio troppo soggettivo… quel vago grado in più credo valga anche per l’obbligatorio; per gli altri ormai preferisco quelli della birra almeno sono incontestabilmente scritti sull’etichetta”. Ai ripetitori dunque, e al tempo, la parola. Quel che è certo è che c’è un’altra (bella e difficile) via da scalare.
Due spit alla fine di Manolo
L’ambiente è davvero aperto e di grande respiro, sotto non c’è nessun ghiaione solo prati ripidi e verdi che si perdono nei boschi fin sopra la splendida conca di Falcade. E’ mezzogiorno e sono a due spit dalla fine. Siamo partiti poco dopo le nove: è il 3 ottobre ma potremmo anche dire che è la giornata “più calda dell’estate”. Per fortuna (!), l’altro giorno da queste parti nevicava.
Omar continuava ad insistere che c’era una bella linea ed io a cercare di fargli capire che avevo una spalla quasi staccata… E lui: ..si ma c’è una bella linea vieni a vedere. Andare a vedere… mi sembrava veramente di aggiungere dolore al male e allora andiamo a vedere ma, almeno portiamo un po’ di materiale e prenotiamo la salita, non si sa mai che un giorno. E così conobbi anche Remo suo padre; 53 anni due pistoni al posto delle gambe e più di mille volte sulla cima dell’Auta “record compreso, che ringrazio per l’aiuto.
Omar doveva sempre rientrare presto per il lavoro e quando aveva tempo o pioveva o lavoravo io, o aveva un corso, ma alla fine abbiamo salito quella benedetta bella linea sull’Auta. E’ davvero una bella linea: ci si poteva muovere in uno spazio quasi esagerato potendo scegliere la linea più facile per scardinare quella placconata grigia e così abbiamo fatto. La roccia è stupenda: muri verticali a buchi, insomma la classica roccia dell’Auta, a parte qualche tratto ogni tanto dove quei buchi… mancano.
Ho aperto la via dal basso con spit e trapano senza integrare con niente altro se non qualche clessidra cercando come sempre di essere per quanto possibile “eticamente corretto”. Data la conformità della roccia, piuttosto “bucherellata”, credo sia possibile integrare le protezioni con dei friends ma non potrei essere più preciso poiché non ne abbiamo fatto uso anche se, come sempre, col senno di poi una riflessione mi perseguita… era possibile senza spit!?
L’arrampicata non è molto impegnativa dal punto di vista fisico non ci sono strapiombi e neanche grandi tiri di continuità e la generosità dei buchi offre sempre grandi recuperi e una scappatoia… ogni tanto però c’è qualche sorpresa.
Omar si è allenato duramente in quota per una settimana in Austria al corso maestri peccato che lo sci da fondo non sia proprio specifico per gli strapiombi e forse nemmeno per i muri verticali, in compenso io mi sono riposato a letto con l’influenza. Purtroppo già dopodomani ritorna brutto tempo e allora condizione o no andiamo, almeno mal che vada porteremo a casa un po’ di materiale.
All’attacco guardo in alto e cerco di ricordare qualche movimento, nulla… ma purtroppo è normale. Salgo con gli Jumar per togliere la statica e provo il movimento chiave del primo tiro, stranamente mi sembra facile…Omar dice di “vedermi bene” io non ne sono tanto sicuro vista la fatica con la quale mi sono trascinato sullo zoccolo, comunque le condizioni sono perfette temperatura mite e leggera brezza.
Qualche sbracciata nei primi buchi e mi ritrovo subito fuori dalla parte strapiombante, sulla placca già intiepidita dal sole, stringo quella “listarella” apostrofata (finora ) in modo piuttosto “scurrile” e mi sembra grande… ancora un paio di movimenti ed il più è fatto. Ma bisogna sempre rimanere concentrati la chiodatura è un pochino ariosa, la pioggia e la neve hanno bagnato i buchi e la scalata è ancora piuttosto “delicata” fino alla sosta.
Poi tutto corre liscio ma dopo il bellissimo e mentale quarto tiro la testa comincia un po’ a girare, la settimana a letto si fa sentire, ma ho davanti una parte più facile e forse posso recuperare prima dell’ultimo tiro difficile. Abbiamo fatto piuttosto presto, anche Omar è stato rapido e stranamente oggi ci avanza un po’ di tempo, sono tranquillo, ed energie permettendo potrò tentare più volte. Mi tolgo la maglia è davvero caldo… parto, è il tiro più bello, quassù la roccia è davvero splendida e quando le campane dal fondovalle suonano a mezzogiorno sono sul passo più strano di tutta la via, non serve un secondo giro… grazie Omar.
A nord, sopra i prati ancora verdi, le Dolomiti sono già bianche di neve, chissà se vi rimarrà fino a primavera.
Ringrazio veramente per la disponibilità e la generosità due amici Vincenzo Lancini e la Tecar e soprattutto quello straordinario mago della fisioterapia che si chiama Marco Morelli
Manolo
Sarà per caso (o per destino), tutto è nato dall’incontro fortuito di Omar e Manolo proprio su quella parete sud, quella che ogni giorno Omar vede dalla sua casa. Quel giorno avevano fatto vie diverse… ma intanto si erano conosciuti, e poi anche re-incontrati in falesia. E’ così che Omar ha esposto la sua idea (o meglio la sua scoperta) a Manolo: quella perfetta colata nera della Cima d’Auta che aspettava solo di essere salita.
Era una sorta di “regalo”: Omar infatti (che, anche se “viaggia” sull’8a, arrampica solo da 3 - 4 anni) non pensava di poterla salire quella linea, lungamente osservata con il binoloco. Invece Manolo non la pensava così: le idee contano sempre molto e vanno premiate. Così per Omar s’è realizzata un’esperienza che lui stesso non esita a definire “eccezionale”. Mentre, per Manolo, è stata l’occasione di mettere alla prova la sua spalla malandata, ma anche di ringraziare il “santo” fisioterapista che l’ha sistemata.
E’ così che è nata la nuova via. Nove lunghezze (molto belle) che, come scrive Manolo, è stata aperta “dal basso con spit e trapano senza integrare con niente altro, se non qualche clessidra, cercando come sempre di essere per quanto possibile ‘eticamente’ corretto… Il primo il quarto e l’ottavo tiro sono quelli più impegnativi gli altri sono più facili ma, a parte l’ultimo, mai banali.”.
Per quanto riguarda la difficoltà, invece, ecco la sua indicazione: “La via è più o meno un grado più impegnativa della vicina Spirit. Tecnicamente, fisicamente e mentalmente, non credo sia meno bella ma questo forse sarebbe un giudizio troppo soggettivo… quel vago grado in più credo valga anche per l’obbligatorio; per gli altri ormai preferisco quelli della birra almeno sono incontestabilmente scritti sull’etichetta”. Ai ripetitori dunque, e al tempo, la parola. Quel che è certo è che c’è un’altra (bella e difficile) via da scalare.
Due spit alla fine di Manolo
L’ambiente è davvero aperto e di grande respiro, sotto non c’è nessun ghiaione solo prati ripidi e verdi che si perdono nei boschi fin sopra la splendida conca di Falcade. E’ mezzogiorno e sono a due spit dalla fine. Siamo partiti poco dopo le nove: è il 3 ottobre ma potremmo anche dire che è la giornata “più calda dell’estate”. Per fortuna (!), l’altro giorno da queste parti nevicava.
Omar continuava ad insistere che c’era una bella linea ed io a cercare di fargli capire che avevo una spalla quasi staccata… E lui: ..si ma c’è una bella linea vieni a vedere. Andare a vedere… mi sembrava veramente di aggiungere dolore al male e allora andiamo a vedere ma, almeno portiamo un po’ di materiale e prenotiamo la salita, non si sa mai che un giorno. E così conobbi anche Remo suo padre; 53 anni due pistoni al posto delle gambe e più di mille volte sulla cima dell’Auta “record compreso, che ringrazio per l’aiuto.
Omar doveva sempre rientrare presto per il lavoro e quando aveva tempo o pioveva o lavoravo io, o aveva un corso, ma alla fine abbiamo salito quella benedetta bella linea sull’Auta. E’ davvero una bella linea: ci si poteva muovere in uno spazio quasi esagerato potendo scegliere la linea più facile per scardinare quella placconata grigia e così abbiamo fatto. La roccia è stupenda: muri verticali a buchi, insomma la classica roccia dell’Auta, a parte qualche tratto ogni tanto dove quei buchi… mancano.
Ho aperto la via dal basso con spit e trapano senza integrare con niente altro se non qualche clessidra cercando come sempre di essere per quanto possibile “eticamente corretto”. Data la conformità della roccia, piuttosto “bucherellata”, credo sia possibile integrare le protezioni con dei friends ma non potrei essere più preciso poiché non ne abbiamo fatto uso anche se, come sempre, col senno di poi una riflessione mi perseguita… era possibile senza spit!?
L’arrampicata non è molto impegnativa dal punto di vista fisico non ci sono strapiombi e neanche grandi tiri di continuità e la generosità dei buchi offre sempre grandi recuperi e una scappatoia… ogni tanto però c’è qualche sorpresa.
Omar si è allenato duramente in quota per una settimana in Austria al corso maestri peccato che lo sci da fondo non sia proprio specifico per gli strapiombi e forse nemmeno per i muri verticali, in compenso io mi sono riposato a letto con l’influenza. Purtroppo già dopodomani ritorna brutto tempo e allora condizione o no andiamo, almeno mal che vada porteremo a casa un po’ di materiale.
All’attacco guardo in alto e cerco di ricordare qualche movimento, nulla… ma purtroppo è normale. Salgo con gli Jumar per togliere la statica e provo il movimento chiave del primo tiro, stranamente mi sembra facile…Omar dice di “vedermi bene” io non ne sono tanto sicuro vista la fatica con la quale mi sono trascinato sullo zoccolo, comunque le condizioni sono perfette temperatura mite e leggera brezza.
Qualche sbracciata nei primi buchi e mi ritrovo subito fuori dalla parte strapiombante, sulla placca già intiepidita dal sole, stringo quella “listarella” apostrofata (finora ) in modo piuttosto “scurrile” e mi sembra grande… ancora un paio di movimenti ed il più è fatto. Ma bisogna sempre rimanere concentrati la chiodatura è un pochino ariosa, la pioggia e la neve hanno bagnato i buchi e la scalata è ancora piuttosto “delicata” fino alla sosta.
Poi tutto corre liscio ma dopo il bellissimo e mentale quarto tiro la testa comincia un po’ a girare, la settimana a letto si fa sentire, ma ho davanti una parte più facile e forse posso recuperare prima dell’ultimo tiro difficile. Abbiamo fatto piuttosto presto, anche Omar è stato rapido e stranamente oggi ci avanza un po’ di tempo, sono tranquillo, ed energie permettendo potrò tentare più volte. Mi tolgo la maglia è davvero caldo… parto, è il tiro più bello, quassù la roccia è davvero splendida e quando le campane dal fondovalle suonano a mezzogiorno sono sul passo più strano di tutta la via, non serve un secondo giro… grazie Omar.
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Ringrazio veramente per la disponibilità e la generosità due amici Vincenzo Lancini e la Tecar e soprattutto quello straordinario mago della fisioterapia che si chiama Marco Morelli
Manolo
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