Chiodo Fisso sulla parete Busa dei Preeri, Val d'Adige

Michele Lucchini racconta l'apertura, effettuata insieme a e Tommy Marchesini, della nuova via d'arrampicata Chiodo Fisso (VII, 95m) sulla parete Busa dei Preeri, Val d'Adige
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Busa dei Preeri, Val d'Adige dove corre la via Chiodo Fisso (Michele Lucchini, Tommy Marchesini)
Michele Lucchini, Tommy Marchesini
L’ideazione della via ha inizio sull’autostrada Brennero, volteggiando tra la corsia di marcia e la corsia di sorpasso. Una sera del tardo autunno 2014 sfoglio per la milionesima volta la mitica guida Monte Baldo Rock e mi soffermo sulle pareti in questione. Ci sono solo 3 vie, molto diverse una dall’altra ma apparentemente meritevoli. Da una piccola foto panoramica vengo attirato da un diedro appena visibile. Propongo ad un amico di andare a ripetere una via lassù, così da buttare un occhio.

Perlustrazione: Un bel weekend d’ottobre Tommy ed io partiamo per fare lo Spigolo dei Preeri, vivamente consigliatoci da Beppe Vidali, uno dei più prolifici chiodatori della valle, il quale nonostante le decadi di attività sulle spalle continua a martellare e trapanare con l’entusiasmo di un ragazzino. Giunti alla parete rimaniamo esterrefatti dalla bellezza della Busa dei Preeri, una gigantesca grotta proprio al centro della parete, solo questa vale il viaggio.
La via si rivelerà breve ma molto bella, sportiva max 6b+. Telefoniamo al Beppe per complimentarci e veniamo a sapere che è la prima ripetizione. Tutti contenti andiamo a buttare un occhio in giro. L’ambiente è fantastico: il fondovalle e la sua autostrada sono lontani e le pareti non assomigliano per niente alle altre della Val d’Adige, sono tutte stratificate e ricordano piuttosto quelle della Valsugana o della Valdastico. Adocchiamo il diedro: pare molto bello! Decidiamo quindi di armarci fino ai denti e di tornare al più presto.

Primo giorno: Carichi come muli neanche dovessimo star via una settimana partiamo per il sentiero CAI che conduce dritto alla base della parete. Non abbiamo stabilito come chioderemo la via, lasceremo che la parete ci dica come fare. Giunti all’attacco parto io: il diedro da sotto è bello verticale e sbarrato da numerosi strapiombi. Fin dall’inizio si rivela impegnativo ma assai divertente; la roccia è ottima e proteggibile e, date le stratificazioni orizzontali, riesco a mettere dei chiodi a prova di bomba. Ad un certo punto però giungo piuttosto provato sotto gli strapiombi e decido di piantare il primo spit: metto un cliff, uso il trapano, riparto. Dopo un po' sono stremato e chiedo il cambio a Tommy che non aspetta altro. E’ il momento di spendere due parole su Tommy: Tommy (classe 90) non ha moltissima esperienza ma appartiene alla stramaledetta categoria dei "predisposti", quelli a cui le cose - nella fattispecie l’arrampicata- vengono facili, naturali. Lo guardo quello là, mentre zompetta allegramente su dalla prima parte che mi ha fatto tanto dannare, risolve poi il tiro con velocità e stile; usa il cliff come se lo avesse sempre usato e arranca solo per il ribaltamento finale in sosta, tutt’altro che banale. No comment. Il primo tiro è fatto ma anche noi siamo strafatti e decidiamo di proseguire la prossima volta. Calandoci sentiamo riecheggiare le parole di Vidali: "Secondo me riuscite anche ad uscire in giornata…"

Attesa: Arriva l’inverno, nevica e fa freddo. Sarebbe stupido andare e ci tocca aspettare. Ma ci pensiamo sempre, ci telefoniamo un giorno si ed uno no. Io, non scherzo, me lo sogno anche di notte. Sogno i massi instabili che incombono proprio al centro del diedro sopra la prima sosta; sogno disgaggi killer; e per finire sogno perfino che il Duzz e Andreino (altri noti chiodatori della valle e grandi amici) ci fregano la via. Alla fine decidiamo che anche se fa freddo è meglio andare, sennò usciamo matti.

Secondo giorno: Carichi noi e carichi gli zaini torniamo all’attacco. L’idea è di uscire fuori, costi quel che costi. Tommy zompetta su dal primo tiro. Io lo raggiungo e parto piuttosto preoccupato per il tiro successivo. Sul lato sinistro del diedro ci sono delle belle fessure perfettamente proteggibili che mi permettono di aggirare i massi. La figata sarà successivamente scoprire (dopo aver disgaggiato i minacciosi massi) che era proprio di là che bisognava passare, in quanto il fondo del diedro era molto più impegnativo e non ben proteggibile. Rientrato nel diedro metto un primo spit per proteggere una sezione impegnativa e con un bel run out giungo nuovamente distrutto alla base del diedro successivo. Tommy mi da il cambio, zompetta fino a là e questa volta mollando qualche urletto eloquente vince la fantastica sezione finale: un diedro strapiombante di roccia supersonica! Il grosso sembra fatto. Ma per colpa della nostra spavalderia non abbiamo portato la fissa e ci toccherà rifare i tiri.

Terzo giorno: "Oggi vecchio la finiamo, puoi starne certo!" Ma ecco che il secondo tiro blocca la mia povera schiena, per sempre acciaccata da un brutto incidente in valanga. Ci pensa Tommy ad aprire il seguente diedro, che doveva essere tranquillo, mentre non lo è per niente! Scala tutto il tiro in perfetto stile clean, io lo guardo sbalordito. Dopo una breve ma ponderata riflessione (leggi: contrattazione) tirando in ballo massimi sistemi quali etica, sicurezza, stile, passato, futuro, ecc ecc decidiamo di aggiungere un solo spit per rendere più sicuro il tiro, e per rendere omogenea la chiodatura. Stanco lui, dolorante io, scendiamo ancora una volta. E di corda fissa, naturalmente, neanche l’ombra.

Quarto giorno 12/4/2015: Aridaje: solito tran tran e giungiamo alla fine del terzo tiro. Sopra di noi "rumego", leggi arrampicata abbastanza semplice ma vegetata ed instabile, poco divertente. Decidiamo di traversare per vedere com’è a destra dietro allo spigolo: ed ecco una placca verticale e pulita di ottimo calcare lavorato solcata da un’esile fessurina. Un’ultimo tiro ci porta quindi al termine della via. Ci sentiamo liberati! La nostra autostima è alle stelle: abbiamo aperto due tiri -peraltro concatenabili - in un solo giorno. Con un rapido calcolo realizziamo però che se dovessimo aprire una via sulla nord-ovest del Civetta - tanto per dirne una - dovremmo chiedere sei mesi di aspettativa.

Insomma, per tirare le somme: la via è alpinistica, ben chiodata (chiodi e spit, soste a spit) e ottimamente integrabile; la roccia è ottima e l’ambiente splendido, un comodo sentiero porta praticamente all’attacco. La via non è molto lunga, ma l’attacco dello Spigolo dei Preeri dista 5 minuti da quello del diedro in questione, che abbiamo deciso di chiamare "Chiodo fisso" (direi che non è necessario spiegare l’origine del nome….; una seconda opzione che fungesse da promemoria poteva anche essere "corda fissa", ma ci sembrava suonasse meglio la prima): un’ottima idea potrebbe essere quella di concatenare le due vie. Per chi si muove su difficoltà classiche sostenute con una certa dimestichezza - come Tommy - la via regalerà certamente una piacevole esperienza alpinistica; per chi invece si muove su difficoltà classiche sostenute ma senza alcuna dimestichezza - come il sottoscritto- la via regalerà certamente emozioni forti. A noi è piaciuta, s’è capito. Starà ai ripetitori stabilire se gli apritori sono affetti dalla classica "sindrome dello scarrafone", o se "chiodo fisso" merita per davvero una visita!

Ringraziamo il mitico Beppe Pighi, la LAAC (la Libera Associazione Alpinisti Chiodatori, che si prende cura delle pareti della Val d’Adige) nonché Max e Seba) per aver fornito parte del materiale utilizzato per attrezzare la via; grazie ad Andrein per il kevlar; grazie ad Erik per il supporto grafico; ringraziamo anche chi è arrivato infondo all’articolo.

di Michele Lucchini


SCHEDA: Chiodo Fisso, Val d'Adige




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