Catteissard, Neverending Wall: Perseverare è umano.
Neverending Wall la nuova falesia d'arrampicata a Catteissard, in Valle di Susa, presentata da Andrea Giorda.
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La Neverending Wall alla parete sud di Catteissard
archivio Andrea Giorda
Se state andando a Ceuse o a Buoux avete tempo e benzina schiacciate sull’acceleratore e non fermatevi a Bussoleno in Val di Susa. Se invece vi ostinate a voler scalare a tutti i costi in Valle o non avete alternative, c’è una nuova falesia un po’ alpinistica la definirei, quasi un ossimoro, che potrebbe stupirvi per la sua particolarità. Tiri dai trenta ai 40 metri assolutamente naturali, senza scavi o prese incollate dal 6b+ all’8a+, su di un muro che sembra non finire mai, il Neverending Wall del Catteissard.
Ma facciamo un salto indietro, in particolare da quando il mio main sponsor non è stato più il mio datore di lavoro ma l’INPS! Chi non sogna di andare in pensione e dedicarsi a quello che gli piace?Fermi con l’invidia! è un peccato capitale anche se come tutti i peccati molto umano... sta di fatto che di andare al bar a giocare a carte o a commentare i cantieri stradali non mi andava e se proprio doveva essere un cantiere, volevo che fosse tutto mio! Abitando a Rivoli, ed essendo da pochissimo divenuto padre di Phuc, un meraviglioso bimbo vietnamita di nove anni, il mio raggio d’azione era piuttosto limitato. Il mio cantiere doveva essere in Val di Susa a tiro della scuola di Phuc.
Il vecchio Ciaparat di turno, perché c’è sempre nelle storie qualcuno che sentenzia, ha certezze assolute, mi disse che in Valle tutto era stato fatto. Io sommessamente credo da tempo che più che la roccia manchino le idee e l’iniziativa. Pur con un lavoro molto impegnativo e tempo risicato, in questi anni ho aperto vie interessanti senza andar lontano, dal Gran Paradiso al Monte Bianco, esattamente come facevo negli anni '70 e '80 e molte altre ne ho in cantiere.
I giovani sono la speranza, sono bravissimi a scalare, ma quanti hanno voglia di sbattersi in avventure dall’esito incerto? I vecchi, e io aimè ormai appartengo alla categoria (scalo dal 1971, 45 anni), hanno due strade: trasformarsi in tromboni asmatici che ricordano quanto erano bravi loro (!) o provare a fare sperando di tirarsi dietro qualcuno.
Certo l’inizio non è stato facile, pur essendo uno dei posti dov’è nata l’arrampicata sportiva con Patrick Berhault e Marco Bernardi per fare due nomi, di roccia in Val di Susa c’è n’è poca e il calcare è di tipo friabile, scalabile solo a prezzo di pulizie estenuanti.
Io ricordo i primi passi alla falesia delle Striature Nere, non era certo la roccia del Finale. Gian Carlo Grassi, alpinista pur avvezzo ai marcioni, nella sua guida della Valle di Susa e Sangone del marzo 1980 così descrive le Striature Nere “Comunque in genere la roccia non è sempre solida, alcuni settori presentano mucchi di blocchi sovrapposti pronti a cedere al primo tentativo di passaggio.” Confermo che c’erano pile di piatti inframmezzate da terra, piuttosto inquietanti eppure oggi alle Strie si scala senza pensiero, fin troppo forse, se si dà un’occhiata in alto.
Ho passato giornate intere alla ricerca di una struttura che mi piacesse, quando ormai pensavo di darla vinta al Ciaparat mi è tornato in mente che un giorno in cui era tutto fradicio, Fabrizio Ferrari mi propose la Parete del Catteissard che conoscevo, avendo scalato la Via del Risveglio a fine anni ’70 e il Perdono di Satana con Maurizio Oviglia più recentemente. Scalammo sulle prime lunghezze delle vie come fossero monotiri, cosa che Franco Salino grande personaggio del posto faceva da sempre. Tornai con amici fidati, Marco Croce e Fabrizio Pennicino detto Penna, questa volta Marco aveva portato oltre all’immancabile caffettiera da sei, il trapano e mettendo insieme il materiale nacque nel 2014 Roka e Moka.
Per un anno fu un episodio dimenticato, ma nell’autunno 2015, con Aldo Tirabeni, uno dei chiodatori di Bosco in Valle Orco, rimisi le mani su questa via per liberarla dopo una ulteriore pulizia. Si favoleggiava il 7c, ma le poche volte che ne ho fatti, nella mia breve carriera di falesista cinquantenne, ho sentito il coro degli angeli e c’era l’aurora boreale, niente di tutto questo, mi sembrò un 7b bello intenso o un onesto 7b+. Ma il grado importava poco, quello che mi sembrava più interessante era che ero tutto intero, non mi ero lapidato ed era un gran bel tiro.
Intendiamoci, la bellezza è relativa e soprattutto soggettiva, chi è abituato a due bracciate stile resina non si riconoscerà in questa scalata e questo tiro. Chi invece apprezza tecnica e resistenza, in un luogo naturale, non rimarrà deluso da questi 36 metri di tacche e passaggi da studiare.
Una ulteriore ispezione alla parete mi convinse che avevo trovato quello che cercavo. Certo valigie, frigoriferi e anche armadi a quattro ante in bilico mi facevano pensare ad un duro lavoro di disgaggio, ma sapevo che sotto, sotto... molto sotto, la roccia era scalabile e di soddisfazione. Oltre a ciò il posto era magnifico, un angolo che mi ricordava vagamente le grandi vie delle Dolomiti, esposto in pieno sud, un’oasi xerotermica ricca di fauna selvatica e rare fioriture di orchidee. La Valle di Susa tanto è devastata nel fondovalle quanto è bella appena ci si alza e si imboccano i sentieri. A volte in pieno inverno scalare è più piacevole che in Liguria, il clima alpino è più secco e non risente dell’umidità del mare.
E’ nato così nella mia testa il progetto Neverending Wall, che prevedeva pochi tiri che sfruttassero la lunghezza di questa parete con pochi riposi, ognuno con un senso e un’anima, la quantità non sempre paga. L’imperativo è stato chiodare leggendo la roccia nella forma e nella qualità, evitando facili soluzioni con scavi e prese incollate. Ho aperto molte vie, ma non ho mai chiodato una falesia non sapevo dove iniziare, è una cosa diversa, si chioda dall’alto e ci va un progetto complessivo anche di stile.
Mi sono sempre piaciuti i tiri e gli scritti di Marco Pukli, nella mia ignoranza mi sono ispirato a questo chiodatore che opera in Liguria, per cui ogni tiro non è un numero ma una creazione pensata. Quanto al materiale non volevo condizionamenti e l’ho messo di tasca mia, è stato un bell’impegno ma quando pagavo mi veniva in mente un vecchio aneddoto, avevo 20 anni ed ero nel negozio di Volpe Sport a Porta Palazzo a Torino, la caverna di Alì Babà per me e un vecchio che sarà stato all’ora più giovane di me ora, aveva speso settecentomila lire in attrezzature.
Io che potevo permettermi sì e no una fettuccia ero abbacinato, lui mi guardò e capì il mio stupore e mi disse in piemontese “Bocia le meisine custu ad pì”. Traduzione: “Ragazzo le medicine costano di più!“ . Allora non capii, oggi è un detto che quando mia moglie mi brontola faccio mio.
Il lavoro al Catteissard in questo autunno inverno è proseguito spesso da solo, ed essere un alpinista di stampo Trad mi ha aiutato. Mettere le soste su una parete alta 200 metri un po’ marcia non è stato comunque uno scherzo, con calate e traversi fino a quaranta metri utilizzando anche nut e cliff. Dove non si poteva, con il trapano addosso ho messo qualche chiodo dal basso.
Promuovo da sempre l’idea dell’avventura dietro casa e in questo caso non è di certo mancata. Devo dire che ho avuto i miei bei momenti di demotivazione, coperto di terra e scorpioni mi chiedevo che cavolo stavo facendo, chi mai sarebbe venuto a scalare in questo posto ?. Mi veniva in mente un Film di Werner Herzog, Fitzcarraldo, dove il tenebroso Klaus Kinsky vuole far transitare una enorme nave su una collina in piena Amazzonia, gli indios assoldati sprofondano con le funi nel fango tirandola su a braccia mentre lui spiritato diffonde arie d’Opera. Un’idea folle.
Ma tutto è bene quel che finisce bene e così ho coinvolto diversi amici, primo fra tutti Maurizio Oviglia che, prima che se ne rendesse conto, ho trascinato in questo posto e si è trovato con un trapano in mano, non potevo farmelo scappare in una breve visita. Vi lascio immaginare la sua faccia, lui abituato alla roccia della Sardegna! Ma è stato al gioco, ha capito il mio sforzo e ne è uscito un tiro molto bello, Autobiographie, e soprattutto ho ricevuto consigli preziosi per come fare soste e sistemare ancoraggi.
Poi volevo coinvolgere ragazzi giovani ed è stata la volta di Fabio Ventre di 19 anni. Dopo una rocambolesca calata dalla vetta gli ho lasciato volentieri spazio per chiodare un tiro, ci siamo confrontati ed è venuto fuori Giovani Talenti. Fabio è una bella promessa per l’alpinismo locale, è bravo a scalare tanto che il tiro se lo è liberato (7b+) e poi è uno che fa anche quattro ore di marcia per cercare luoghi inviolati, una rarità.
Dai giovani ai vecchi leoni, Ugo Manera 76 anni mai pago di novità mi ha dato un grande aiuto su diverse vie, tra cui Troppo vecchio per morire. Il nome non è riferito a lui ma a me! All’ennesima discussione con mia moglie Sabrina sul fatto che, o prima o poi, mi sarei tirato un frigorifero addosso, Phuc, il mio bambino, se ne è uscito con questa frase nonsense “Papà sei troppo vecchio per morire” e a pensarci bene forse un senso ce l’ha.
Restava ancora un tiro alla mai portata, e in questo clima casareccio non poteva che essere Mamma Sa, Sabrina, mia moglie. Espresse un desiderio “a la carte”, non doveva essere più di 7a. Al primo giro Mamma Sa mi ha sparato via come un tappo di champagne, solo pulito e rinchiodato in modo più razionale si è lasciato domare, ma il grado è diventato 7a+, di più non avrei potuto perché era stato stabilito a tavolino. Verrà mai a farlo? Chissà, per ora qui non vuol metterci piede fino a che le vie non sono rodate.
Il lieto fine di questa storia non lo potevo immaginare nemmeno io. Si è sparsa la voce che chiodavo e con il passaparola è arrivata anche tanta gente anche da fuori, segno che questo stile a qualcuno piaceva.
Rimanevano quindi ancora due belle linee evidenti, che richiedevano una marcia in più. Da poco era tornato in zona Carlo Giuliberti un giovane completo, come ne abbiamo pochi. E’ forte sia in falesia che in montagna e mentre scalava Troppo vecchio per morire, un 7c bello boulderoso, gli ho buttato l’idea di provare a chiodare la linea più strapiombante. Ha preso con entusiasmo il compito e ne ha tirato fuori Cateiss Hard 8a+ e trentacinque metri di lunghezza tutti naturali!
L’altra linea l’ho iniziata a chiodare aiutato da Aldo, fidato socio del lunedì, quaranta metri esatti. Dopo un avvio tranquillo, una fessura sbilanciante fa subito selezione, segue una pancia con bei buchi poi 20 metri di muro bianco, spettacolare, a tacche, selettivo, un vero neverending wall!
Se Cateiss Hard lo vedevo maschile, questo mi sembrava femminile ma chi poteva portarlo a casa? Donne rustiche e forti sono quasi tutte straniere, ma una ce l’abbiamo anche noi, Federica Mingolla. Fede l’avevo vista su roccia agli inizi a Campambiardo, lei provava Nemesis e io l’avevo appena chiusa. La mia breve storia da falesista è iniziata intorno ai 50 anni ed è l’unica volta che ho ancora potuto dirle la mia metode. Poi lei ha preso il volo e adesso a 21 anni è ben più che una promessa. Mia moglie mi ha chiesto se invitavo la Mingolla anche perché è carina... ho retto serio all’assalto e ne ho elencato ad occhi bassi le indubbie doti tecniche... vabbè.
Federica accetta volentieri l’invito, al tiro ho già dato un nome emblematico che riassume questa storia, Perseverare è umano. E’ anche il titolo di un bellissimo libro di Pietro Trabucchi, psicologo dello sport. In due giri ne viene a capo, trova la metode per il passo chiave e gli ultimi metri li centellina riprendendo le forze con intelligenza. Mi immedesimo e resto col fiato sospeso fino all’ultimo.
E’ il 27 gennaio 2016, sembra maggio, l’avventura che mi ha travolto questi in mesi è terminata, i tiri di Carlo e di Federica sono andati oltre a quanto mi immaginavo. Ma devo dire grazie anche a tutti quelli che mi hanno aiutato a fare i lavori meno gratificanti ma indispensabili.
Grazie a Marco Croce per la geniale Bacheca, quasi una seconda casa che temo pagherà l’IMU a Bussoleno. Marco faceva gli Yacth per emiri all’Azimut di Avigliana e mi assicura che le cerniere delle porte vengono da li!
Grazie a Franco Salino, antico compagno di Grassi e Marco Bernardi, che mi ha incoraggiato e seguito nei momenti più difficili e infine grazie al mio amico Mario Ogliengo specialista nel far arrabbiare Grassi quando gli soffiava le vie in Valle. Mario è venuto apposta da Chamonix dove fa la guida per iniziare un nuovo settore che si chiamerà Profondo Rosso e il primo tiro, già abbozzato, siamo concordi a chiamarlo il Ciaparat! Nella vita c’è sempre un Ciaparat che già sa tutto e ci vuole fermare.
Andrea Giorda
P.S. Probabilmente con e Fede e Carlo di questa avventura faremo un piccolo video, a presto.
SCHEDA: la falesia Neverending Wall - Parete Rossa di Catteissard
Ma facciamo un salto indietro, in particolare da quando il mio main sponsor non è stato più il mio datore di lavoro ma l’INPS! Chi non sogna di andare in pensione e dedicarsi a quello che gli piace?Fermi con l’invidia! è un peccato capitale anche se come tutti i peccati molto umano... sta di fatto che di andare al bar a giocare a carte o a commentare i cantieri stradali non mi andava e se proprio doveva essere un cantiere, volevo che fosse tutto mio! Abitando a Rivoli, ed essendo da pochissimo divenuto padre di Phuc, un meraviglioso bimbo vietnamita di nove anni, il mio raggio d’azione era piuttosto limitato. Il mio cantiere doveva essere in Val di Susa a tiro della scuola di Phuc.
Il vecchio Ciaparat di turno, perché c’è sempre nelle storie qualcuno che sentenzia, ha certezze assolute, mi disse che in Valle tutto era stato fatto. Io sommessamente credo da tempo che più che la roccia manchino le idee e l’iniziativa. Pur con un lavoro molto impegnativo e tempo risicato, in questi anni ho aperto vie interessanti senza andar lontano, dal Gran Paradiso al Monte Bianco, esattamente come facevo negli anni '70 e '80 e molte altre ne ho in cantiere.
I giovani sono la speranza, sono bravissimi a scalare, ma quanti hanno voglia di sbattersi in avventure dall’esito incerto? I vecchi, e io aimè ormai appartengo alla categoria (scalo dal 1971, 45 anni), hanno due strade: trasformarsi in tromboni asmatici che ricordano quanto erano bravi loro (!) o provare a fare sperando di tirarsi dietro qualcuno.
Certo l’inizio non è stato facile, pur essendo uno dei posti dov’è nata l’arrampicata sportiva con Patrick Berhault e Marco Bernardi per fare due nomi, di roccia in Val di Susa c’è n’è poca e il calcare è di tipo friabile, scalabile solo a prezzo di pulizie estenuanti.
Io ricordo i primi passi alla falesia delle Striature Nere, non era certo la roccia del Finale. Gian Carlo Grassi, alpinista pur avvezzo ai marcioni, nella sua guida della Valle di Susa e Sangone del marzo 1980 così descrive le Striature Nere “Comunque in genere la roccia non è sempre solida, alcuni settori presentano mucchi di blocchi sovrapposti pronti a cedere al primo tentativo di passaggio.” Confermo che c’erano pile di piatti inframmezzate da terra, piuttosto inquietanti eppure oggi alle Strie si scala senza pensiero, fin troppo forse, se si dà un’occhiata in alto.
Ho passato giornate intere alla ricerca di una struttura che mi piacesse, quando ormai pensavo di darla vinta al Ciaparat mi è tornato in mente che un giorno in cui era tutto fradicio, Fabrizio Ferrari mi propose la Parete del Catteissard che conoscevo, avendo scalato la Via del Risveglio a fine anni ’70 e il Perdono di Satana con Maurizio Oviglia più recentemente. Scalammo sulle prime lunghezze delle vie come fossero monotiri, cosa che Franco Salino grande personaggio del posto faceva da sempre. Tornai con amici fidati, Marco Croce e Fabrizio Pennicino detto Penna, questa volta Marco aveva portato oltre all’immancabile caffettiera da sei, il trapano e mettendo insieme il materiale nacque nel 2014 Roka e Moka.
Per un anno fu un episodio dimenticato, ma nell’autunno 2015, con Aldo Tirabeni, uno dei chiodatori di Bosco in Valle Orco, rimisi le mani su questa via per liberarla dopo una ulteriore pulizia. Si favoleggiava il 7c, ma le poche volte che ne ho fatti, nella mia breve carriera di falesista cinquantenne, ho sentito il coro degli angeli e c’era l’aurora boreale, niente di tutto questo, mi sembrò un 7b bello intenso o un onesto 7b+. Ma il grado importava poco, quello che mi sembrava più interessante era che ero tutto intero, non mi ero lapidato ed era un gran bel tiro.
Intendiamoci, la bellezza è relativa e soprattutto soggettiva, chi è abituato a due bracciate stile resina non si riconoscerà in questa scalata e questo tiro. Chi invece apprezza tecnica e resistenza, in un luogo naturale, non rimarrà deluso da questi 36 metri di tacche e passaggi da studiare.
Una ulteriore ispezione alla parete mi convinse che avevo trovato quello che cercavo. Certo valigie, frigoriferi e anche armadi a quattro ante in bilico mi facevano pensare ad un duro lavoro di disgaggio, ma sapevo che sotto, sotto... molto sotto, la roccia era scalabile e di soddisfazione. Oltre a ciò il posto era magnifico, un angolo che mi ricordava vagamente le grandi vie delle Dolomiti, esposto in pieno sud, un’oasi xerotermica ricca di fauna selvatica e rare fioriture di orchidee. La Valle di Susa tanto è devastata nel fondovalle quanto è bella appena ci si alza e si imboccano i sentieri. A volte in pieno inverno scalare è più piacevole che in Liguria, il clima alpino è più secco e non risente dell’umidità del mare.
E’ nato così nella mia testa il progetto Neverending Wall, che prevedeva pochi tiri che sfruttassero la lunghezza di questa parete con pochi riposi, ognuno con un senso e un’anima, la quantità non sempre paga. L’imperativo è stato chiodare leggendo la roccia nella forma e nella qualità, evitando facili soluzioni con scavi e prese incollate. Ho aperto molte vie, ma non ho mai chiodato una falesia non sapevo dove iniziare, è una cosa diversa, si chioda dall’alto e ci va un progetto complessivo anche di stile.
Mi sono sempre piaciuti i tiri e gli scritti di Marco Pukli, nella mia ignoranza mi sono ispirato a questo chiodatore che opera in Liguria, per cui ogni tiro non è un numero ma una creazione pensata. Quanto al materiale non volevo condizionamenti e l’ho messo di tasca mia, è stato un bell’impegno ma quando pagavo mi veniva in mente un vecchio aneddoto, avevo 20 anni ed ero nel negozio di Volpe Sport a Porta Palazzo a Torino, la caverna di Alì Babà per me e un vecchio che sarà stato all’ora più giovane di me ora, aveva speso settecentomila lire in attrezzature.
Io che potevo permettermi sì e no una fettuccia ero abbacinato, lui mi guardò e capì il mio stupore e mi disse in piemontese “Bocia le meisine custu ad pì”. Traduzione: “Ragazzo le medicine costano di più!“ . Allora non capii, oggi è un detto che quando mia moglie mi brontola faccio mio.
Il lavoro al Catteissard in questo autunno inverno è proseguito spesso da solo, ed essere un alpinista di stampo Trad mi ha aiutato. Mettere le soste su una parete alta 200 metri un po’ marcia non è stato comunque uno scherzo, con calate e traversi fino a quaranta metri utilizzando anche nut e cliff. Dove non si poteva, con il trapano addosso ho messo qualche chiodo dal basso.
Promuovo da sempre l’idea dell’avventura dietro casa e in questo caso non è di certo mancata. Devo dire che ho avuto i miei bei momenti di demotivazione, coperto di terra e scorpioni mi chiedevo che cavolo stavo facendo, chi mai sarebbe venuto a scalare in questo posto ?. Mi veniva in mente un Film di Werner Herzog, Fitzcarraldo, dove il tenebroso Klaus Kinsky vuole far transitare una enorme nave su una collina in piena Amazzonia, gli indios assoldati sprofondano con le funi nel fango tirandola su a braccia mentre lui spiritato diffonde arie d’Opera. Un’idea folle.
Ma tutto è bene quel che finisce bene e così ho coinvolto diversi amici, primo fra tutti Maurizio Oviglia che, prima che se ne rendesse conto, ho trascinato in questo posto e si è trovato con un trapano in mano, non potevo farmelo scappare in una breve visita. Vi lascio immaginare la sua faccia, lui abituato alla roccia della Sardegna! Ma è stato al gioco, ha capito il mio sforzo e ne è uscito un tiro molto bello, Autobiographie, e soprattutto ho ricevuto consigli preziosi per come fare soste e sistemare ancoraggi.
Poi volevo coinvolgere ragazzi giovani ed è stata la volta di Fabio Ventre di 19 anni. Dopo una rocambolesca calata dalla vetta gli ho lasciato volentieri spazio per chiodare un tiro, ci siamo confrontati ed è venuto fuori Giovani Talenti. Fabio è una bella promessa per l’alpinismo locale, è bravo a scalare tanto che il tiro se lo è liberato (7b+) e poi è uno che fa anche quattro ore di marcia per cercare luoghi inviolati, una rarità.
Dai giovani ai vecchi leoni, Ugo Manera 76 anni mai pago di novità mi ha dato un grande aiuto su diverse vie, tra cui Troppo vecchio per morire. Il nome non è riferito a lui ma a me! All’ennesima discussione con mia moglie Sabrina sul fatto che, o prima o poi, mi sarei tirato un frigorifero addosso, Phuc, il mio bambino, se ne è uscito con questa frase nonsense “Papà sei troppo vecchio per morire” e a pensarci bene forse un senso ce l’ha.
Restava ancora un tiro alla mai portata, e in questo clima casareccio non poteva che essere Mamma Sa, Sabrina, mia moglie. Espresse un desiderio “a la carte”, non doveva essere più di 7a. Al primo giro Mamma Sa mi ha sparato via come un tappo di champagne, solo pulito e rinchiodato in modo più razionale si è lasciato domare, ma il grado è diventato 7a+, di più non avrei potuto perché era stato stabilito a tavolino. Verrà mai a farlo? Chissà, per ora qui non vuol metterci piede fino a che le vie non sono rodate.
Il lieto fine di questa storia non lo potevo immaginare nemmeno io. Si è sparsa la voce che chiodavo e con il passaparola è arrivata anche tanta gente anche da fuori, segno che questo stile a qualcuno piaceva.
Rimanevano quindi ancora due belle linee evidenti, che richiedevano una marcia in più. Da poco era tornato in zona Carlo Giuliberti un giovane completo, come ne abbiamo pochi. E’ forte sia in falesia che in montagna e mentre scalava Troppo vecchio per morire, un 7c bello boulderoso, gli ho buttato l’idea di provare a chiodare la linea più strapiombante. Ha preso con entusiasmo il compito e ne ha tirato fuori Cateiss Hard 8a+ e trentacinque metri di lunghezza tutti naturali!
L’altra linea l’ho iniziata a chiodare aiutato da Aldo, fidato socio del lunedì, quaranta metri esatti. Dopo un avvio tranquillo, una fessura sbilanciante fa subito selezione, segue una pancia con bei buchi poi 20 metri di muro bianco, spettacolare, a tacche, selettivo, un vero neverending wall!
Se Cateiss Hard lo vedevo maschile, questo mi sembrava femminile ma chi poteva portarlo a casa? Donne rustiche e forti sono quasi tutte straniere, ma una ce l’abbiamo anche noi, Federica Mingolla. Fede l’avevo vista su roccia agli inizi a Campambiardo, lei provava Nemesis e io l’avevo appena chiusa. La mia breve storia da falesista è iniziata intorno ai 50 anni ed è l’unica volta che ho ancora potuto dirle la mia metode. Poi lei ha preso il volo e adesso a 21 anni è ben più che una promessa. Mia moglie mi ha chiesto se invitavo la Mingolla anche perché è carina... ho retto serio all’assalto e ne ho elencato ad occhi bassi le indubbie doti tecniche... vabbè.
Federica accetta volentieri l’invito, al tiro ho già dato un nome emblematico che riassume questa storia, Perseverare è umano. E’ anche il titolo di un bellissimo libro di Pietro Trabucchi, psicologo dello sport. In due giri ne viene a capo, trova la metode per il passo chiave e gli ultimi metri li centellina riprendendo le forze con intelligenza. Mi immedesimo e resto col fiato sospeso fino all’ultimo.
E’ il 27 gennaio 2016, sembra maggio, l’avventura che mi ha travolto questi in mesi è terminata, i tiri di Carlo e di Federica sono andati oltre a quanto mi immaginavo. Ma devo dire grazie anche a tutti quelli che mi hanno aiutato a fare i lavori meno gratificanti ma indispensabili.
Grazie a Marco Croce per la geniale Bacheca, quasi una seconda casa che temo pagherà l’IMU a Bussoleno. Marco faceva gli Yacth per emiri all’Azimut di Avigliana e mi assicura che le cerniere delle porte vengono da li!
Grazie a Franco Salino, antico compagno di Grassi e Marco Bernardi, che mi ha incoraggiato e seguito nei momenti più difficili e infine grazie al mio amico Mario Ogliengo specialista nel far arrabbiare Grassi quando gli soffiava le vie in Valle. Mario è venuto apposta da Chamonix dove fa la guida per iniziare un nuovo settore che si chiamerà Profondo Rosso e il primo tiro, già abbozzato, siamo concordi a chiamarlo il Ciaparat! Nella vita c’è sempre un Ciaparat che già sa tutto e ci vuole fermare.
Andrea Giorda
P.S. Probabilmente con e Fede e Carlo di questa avventura faremo un piccolo video, a presto.
SCHEDA: la falesia Neverending Wall - Parete Rossa di Catteissard
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