Le miniere di Cogne, in bilico tra Memoria e Futuro – Seconda parte

Il piano di recupero del complesso delle miniere di Cogne parte dall’Area Ex Anselmetti, dove gli edifici sono ancora in buono stato di conservazione. Un viaggio tra presente e futuro, con qualche riflessione sui luoghi abbandonati. Seconda e ultima puntata di Simonetta Radice.
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La discenderia nelle miniere di Cogne
Fondation grand Paradis e Comune di Cogne
Parte seconda
Cliccate qui per la prima parte Le miniere di Cogne, in bilico tra Memoria e Futuro

"La libertà non è dove non siamo ancora stati ma là da dove proveniamo" G. Zagrebelsky

Esiste un’Italia intera fatta di luoghi in abbandono. Dai tanti, troppi alpeggi nelle nostre montagne alle aree industriali dismesse delle pianure, da tratte ferroviarie smantellate a interi borghi disabitati a Nord e a Sud del nostro Paese. Luoghi che parlano di un passato prossimo che non sappiamo più interrogare, luoghi che hanno contribuito a costruire chi siamo oggi e che chiedono, nel loro silenzio, il semplice riconoscimento del filo che a essi ci lega.

La miniera di Cogne rientra in qualche modo tra questi e il dibattito che si è sviluppato attorno al suo recupero chiama in causa motivazioni profonde, che hanno a che fare con l’identità, con il bene comune, con il delicato ma essenziale equilibrio che in una società sana deve stabilirsi tra memoria e futuro.

Un paesaggio della memoria

Non si tratta quindi semplicemente di dar vita a un nuovo business turistico – per quanto sostenibile - ma di lavorare su un paesaggio della memoria, che porti in primo luogo a una riconciliazione da parte della stessa Cogne con il proprio ambiente e con il proprio passato (minerario).

il Villaggio Minatori (ex Anselmetti), dove erano ospitati i dormitori, gli uffici e la mensa degli operai, è oggi già sede della Fondation Grand Paradis, del centro espositivo Alpinart, che comprende un primo nucleo del museo minerario di Cogne, e del Centro Visite del Parco Nazionale Gran Paradiso. In progetto vi sono inoltre l’apertura di un ostello per la gioventù e una sede universitaria di studi superiori post-laurea.

Il recupero delle miniere potrebbe ripartire proprio da qui, procedendo al restauro dei frantoi, degli impianti di arricchimento, della stazione di arrivo delle benne del materiale e dell’intera galleria di oltre 300 m destinata al caricamento del trenino Cogne-Acque Fredde.

L’attuale museo – nel quale è peraltro possibile vedere un bellissimo filmato degli anni 30 sulla vita nelle miniere a regia di Marco Elter, fratello di Franz – sarà ampliato e offrirà ai visitatori un excursus storico della miniera, ripercorrendone le fasi salienti attraverso un percorso multimediale ricco di testimonianze.

Gli edifici di quest’area sono in realtà ancora in buone condizioni e il loro recupero non sembra essere particolarmente oneroso. Attualmente la proprietà è della società Fintecna Spa (oggi parte di Cassa Depositi e Prestiti), che ha eseguito una serie di lavori per la messa in sicurezza degli impianti ( per un costo complessivo pari a sei milioni di euro), anche al fine di un possibile riutilizzo per fini turistici, cosa possibile una volta che la pubblica amministrazione diventerà proprietaria del complesso.
Il percorso turisticamente fruibile partirebbe quindi dalla visita della stazione di arrivo del minerale, un bel fabbricato ligneo in buono stato di conservazione con all’interno le benne provenienti da costa del Pino, per proseguire poi con la stazione esterna della funivia.

Una parte importante della visita riguarderà il complesso dei frantoi, dei separatori magnetici e dei locali annessi. Qui, il minerale è ancora presente sui nastri trasportatori e nei vagli: riesco a dare un’occhiata dai vetri della porta ed è come se il tempo si fermasse. Sbircio tra i fili leggeri di una ragnatela. La polvere che si è posata negli anni sui macchinari mi proietta in un film in bianco e nero, nell’inquietudine silenziosa di un tempo sospeso.

Raccontare le rovine

Esiste tutta una letteratura sulle "rovine" e sull’effetto che producono sull’animo umano che è quasi impossibile non rievocare anche solo di sfuggita qui. Mi limito a citare un passaggio della storica Antonella Tarpino che nel suo ultimo libro "Spaesati" (1) afferma: "Il tempo murato nel paesaggio del tempo trascorso, impigliato quasi tra le sue pietre scomposte, unisce, avvicinandole, le storie dei singoli: è un patrimonio comune (…) a cui riguardare problematicamente, nell’attrito tra presente e passato: entrambi forse, si potrebbe concludere tristemente, oggi quasi egualmente opachi."

Alla luce di tutto questo, un intervento di recupero non è che il primo gesto per rimuovere almeno in parte questa opacità e dare avvio a un dialogo letteralmente costruttivo con il passato. Non necessariamente di un dialogo muto: si può pensare infatti di rendere agibile la discesa lungo uno dei pozzi che collegano i frantoi alla galleria di carreggio e, attraverso supporti multimediali capaci di riprodurre voci, immagini e rumori, offrire una perfetta simulazione della vita in miniera, cosa peraltro possibile anche grazie al buon grado di conservazione della galleria e alla compattezza della roccia.

Il progetto comprende anche lo studio di vie di accesso al complesso espositivo, oggi raggiungibile solo in auto e con un’area di parcheggio modesta. Le soluzioni fino a ora esaminate prevedono l’utilizzo di ascensori inclinati o comunque di mezzi di superficie che dal piazzale di Revettaz permettano di raggiungere l’area attorno all’attuale stazione del trenino, all’interno del villaggio minatori.

Nel cuore della montagna, sui passi della fatica

Un intervento a più lungo termine coinvolgerà infine i complessi di Costa del Pino e Colonna. L’architetto Giò Gozzi immagina due possibili itinerari che da Costa del Pino raggiungono Colonna (2). Il primo in galleria, nel cuore della montagna, utilizzando il trenino e lo skip, una sorta di ascensore che corre su un piano inclinato, capace di percorrere in pochi minuti 400 mt di dislivello fino a Colonna. Il secondo percorso si muove lungo i sentieri percorsi dai minatori, ripercorrendo lentamente gli antichi passi della fatica, dove la natura e gli elementi del paesaggio modificati dall’uomo possano riallacciare i fili di un dialogo mai davvero interrotto tra presente e passato.

Il grande scrittore ruinista Thomas Bernhard esorta a "narrare le rovine prima che diventino macerie" (3). Credo che un intervento di recupero, più che mai auspicabile ora che anche i lavori di manutenzione ordinaria non saranno più eseguiti, possa e debba assumere il carattere della narrazione, per dar voce alle domande che i luoghi dismessi sollevano, per trovare finalmente il giusto equilibrio tra futuro e memoria.

di Simonetta Radice

1) Antonella Tarpino, "Spaesati", Torino, Giulio Einaudi Editore, 2012 pag. 35
2) Giò Gozzi, "Cogne, Miniere e Minatori", Milano, FBE Edizioni, 2009 pag 90 e seguenti
3) In: Antonella Tarpino, "Spaesati", Torino, Giulio Einaudi Editore, 2012 pag. 35

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