Gran Paradiso: dove lo stambecco è sentinella (del cambiamento climatico)

Un giorno assieme a Mario Bizel, guardaparco nel Parco Nazionale del Gran Paradiso, Valle d'Aosta, tra quelle "sentinelle di un mondo in cui forza e fragilità non sono che facce di una stessa medaglia." Di Simonetta Radice.
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Stambecchi nel Parco Nazionale del Gran Paradiso
Simonetta Radice
"Tutto si capisce quando sei lassù”. Lassù è il Parco Nazionale del Gran Paradiso, l’area protetta più antica d’Italia istituita nel 1922 sul territorio delle riserve di caccia di re Vittorio Emanuele II. Tutto è proprio "il tutto”, nel senso cosmico del termine e queste poche parole di Stefano Cerise, ispettore del servizio di sorveglianza, meglio di tante altre riescono a descrivere la figura e la professione del guardaparco: burbera, forse romantica, senza dubbio poco conosciuta ma fondamentale perché il Parco possa funzionare come osservatorio privilegiato di come si evolve l’ambiente che ci circonda.

Mi trovo tra le montagne della Val D’Aosta per un’occasione davvero speciale: la ricorrenza dei 20 anni della morte dello stambecco Sultano, splendido esemplare avvistato casualmente dal binocolo di Provino Chabod una mattina di giugno del 1985. Sultano fu uno stambecco straordinario, di fiera bellezza, capace di guidare sempre il branco verso i pascoli migliori. Stefano Borney, Capo Servizio della Valle di Rhêmes, ne riprese gli ultimi istanti di vita su richiesta proprio di Provino Chabod che, dopo averlo seguito per 18 anni, non volle vederne la morte. Guardare oggi queste immagini è come entrare in una stanza segreta, gettare l’occhio su un mondo ancora capace di stupire e di commuovere.

Ho avuto l’opportunità di seguire per due giorni uno dei sessanta guardaparco che presidiano i settanta ettari del Gran Paradiso, l’unico parco italiano con un corpo di vigilanza dedicato. Da metà maggio fino almeno a settembre inoltrato, le guardie osservano il turno di lavoro "dall’alba al tramonto” e vivono nei capanni dislocati nelle diverse valli del Parco. Osservare i movimenti e le condizioni di salute degli animali, effettuare lavori di manutenzione dei sentieri, vigilare che all’interno dell’area protetta non vengano svolte attività illecite, monitorare lo stato dei ghiacciai e supportare eventuali operazioni di soccorso alpino se necessario: questi, e non solo, i compiti del guardaparco.

La sveglia suona alle 5,30 ma "Non sempre serve camminare tantissimo per vedere gli animali” dice Mario Bizel, guardaparco dal 2006, con cui salgo al casotto del Col Pousset, 2286 m sopra l’abitato di Cogne. "Spesso bisogna solo saper aspettare.” E infatti basta allontanarsi poche centinaia di metri dalla baita perché camosci e stambecchi facciano la loro prima apparizione nella luce timida del mattino. Più dinamici i primi, una vita di corsa tra le balze rocciose; più placidi i secondi, che pascolano pressoché indisturbati dalla presenza dell’uomo.

Tre, quattro giorni lontani da tutto e immersi nella natura: le giornate di un guardaparco possono essere meravigliose ma anche molto lunghe: "Non bisogna temere il silenzio” dice Mario "E’ un elemento molto importante di questo lavoro e non è sempre facile”. Debby, il suo bellissimo Border Collie, scodinzola felice non appena capisce che è ora di salire sui monti. Nei giorni di turno, il cane sarà la sua unica compagnia, insieme alla voce della radio-GPS che, per questioni di sicurezza, riceve e comunica le posizioni di tutte le guardie in servizio. Ogni giorno le osservazioni vengono riportate su un diario personale, su un tablet dedicato alla raccolta dati e sul registro del casotto: scorrerne le pagine è come viaggiare nella storia di questo territorio e delle persone che lo hanno in qualche modo attraversato.

I guardaparco vedono in maniera diversa, ne sono convinta: sono in grado di individuare a occhio nudo i branchi dove un comune mortale, soprattutto se un po’ miope, vede solo rocce e alberi. Così, osserviamo gli stambecchi e i camosci a distanza, con un potente binocolo: "Cerchiamo di non avvicinarci troppo, per interferire il meno possibile con la loro vita. Qualche anno fa” racconta "vi fu un’epidemia di Cheratocongiuntivite che portò alla morte molti esemplari, non tanto per la malattia in sé ma perché, privati della vista, cadevano facilmente da balze e dirupi. Mi capitò di vedere una mamma che camminava con il muso appoggiato alla schiena del piccolo, il cucciolo le faceva da guida. E’ difficile rimanere indifferenti, ma tendiamo a non intervenire e lasciare che la natura faccia il suo corso.”

Oggi gli stambecchi sono 2563 all’ultimo censimento, quasi la metà rispetto ai 5000 del 1993 eppure, come afferma Bruno Bassano, Responsabile del Servizio
Scientifico del Parco Nazionale Gran Paradiso "non stiamo parlando di un animale in via di estinzione.” La risposta a questo calo di popolazione va cercata in parte nella sua storia e in parte nel cambiamento climatico. La Capra Ibex Ibex, infatti, è un animale che, fuori dall’Europa, vive in zone per lo più aride ed è probabile che sia finito sulle Alpi in maniera abbastanza casuale in quanto soffre particolarmente gli inverni nevosi. La scarsità di precipitazioni che ha caratterizzato gli ultimi 20 anni ne ha notevolmente allungato la vita media ma, proprio in questo periodo, è drasticamente calato il numero dei capretti capaci di superare l’anno di vita. L’aumento delle temperature medie, infatti, anticipa la stagione vegetativa, non offrendo più ai piccoli il foraggio ideale alla loro nutrizione. Inoltre, l’accoppiamento di esemplari anziani non favorisce la generazione di cuccioli sani.

Ma non di soli stambecchi vive il Gran Paradiso. La pernice bianca, per esempio, è un altro degli animali censiti e anche lei è un sorvegliato speciale: un innalzamento medio della temperatura di tre gradi, per esempio, metterebbe infatti a rischio la sua sopravvivenza perché, in assenza di parassiti, la sua temperatura corporea aumenterebbe troppo.

Alla luce di tutto questo le parole "tutto si capisce quando sei lassù” acquistano un significato diverso, meno romantico e più pragmatico: l’osservazione sistematica e costante da parte dei guardaparco del delicato ecosistema dell’area protetta, insieme alla compilazione di dettagliate carte floristiche e faunistiche, offre un contributo unico alla ricerca scientifica e naturalistica, offrendo importanti insight sul cambiamento climatico e, in ultima analisi, sull’evoluzione della vita sul nostro pianeta da un osservatorio privilegiato a diretto contatto con la natura, lontano dal rumore di fondo delle città. Se il Parco del Gran Paradiso diventa così un laboratorio a cielo aperto, lo stambecco Sultano diventa sentinella - dall’alto della sua figura imponente e del suo sguardo magnetico - di un mondo in cui forza e fragilità non sono che facce di una stessa medaglia.

di Simonetta Radice




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