Coprire i ghiacciai con teli non significa salvarli

Riceviamo e pubblichiamo il comunicato stampa e la lettera aperta firmata da 44 scienziate e scienziati che si occupano dello studio della glaciologia e dei cambiamenti climatici, che illustrano perché la copertura dei ghiacciai con teli geotessili non è una soluzione agli effetti avversi del cambiamento climatico, bensì parte del problema. Il documento è inoltre supportato dalle principali istituzioni che in Italia si dedicano al monitoraggio dei ghiacciai a scala regionale e nazionale e che afferiscono al World Glacier Monitoring Service.
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Il ghiacciaio del Rodano (Svizzera) coperto con teli geotessili
Matthias Huss

Al fine di rallentare la fusione e il ritiro dei ghiacciai, stanno diffondendosi sulle Alpi progetti di copertura dei ghiacciai nella stagione estiva con teli geotessili bianchi. Di pari passo campagne di finanziamento promosse da alcuni circuiti di pagamento elettronici o più recentemente da start-up, propongono l'adozione e il salvataggio dei ghiacciai alpini raccogliendo fondi per finanziare l'acquisto e la stesura di porzioni di telo geotessile.

Nel mondo della ricerca in campo glaciologico e climatico si sta diffondendo una forte preoccupazione per l’ambigua comunicazione che spesso accompagna la divulgazione di questi progetti. Essi, come purtroppo succede, non possono essere descritti come interventi finalizzati al contrasto del cambiamento climatico e delle conseguenze del riscaldamento globale. Nel documento indicato in calce, 39 esperti ed esperte di clima e ghiacciai -con il supporto delle principali istituzioni che si occupano del monitoraggio dei ghiacciai italiani su scala regionale e nazionale- spiegano il perché.

Gli interventi di copertura artificiale hanno importanti conseguenze ambientali e per motivi logistico-economici non possono essere applicati a un numero rilevante di ghiacciai. Per citare qualche dato: i ghiacciai italiani occupano oggi circa 360 kmq; le azioni di copertura artificiale interessano meno dello 0.08% di questa superficie e tipicamente ghiacciai che ospitano piste per lo sci alpino o altre forme di sfruttamento turistico. Coprire i ghiacciai non significa salvarli.

La copertura dei ghiacciai può avere senso solo se eseguita su specifiche porzioni di ghiacciai a tutela di interessi economici e turistici locali. Trascurare questi aspetti dipingendo la copertura come un intervento di contrasto al cambiamento climatico si prefigura come un tentativo di greenwashing di una pratica che presenta anzi diversi impatti negativi sull’ambiente.


LETTERA DEGLI SCIENZIATI

Al fine di rallentarne la fusione e il ritiro, sono sempre più diffusi sulle Alpi i progetti di copertura dei ghiacciai con i teli geotessili. Se da un punto di vista tecnologico questa soluzione sembra funzionare sui singoli ghiacciai coinvolti, è importante ricordare che tali pratiche non rappresentano uno strumento per combattere le conseguenze del cambiamento climatico e del riscaldamento globale. Come studiosi che si occupano di ghiacciai e clima siamo preoccupati per l’ambigua comunicazione spesso accompagnata alla divulgazione di questi progetti. Raccontare la copertura dei ghiacciai come una soluzione agli effetti avversi del cambiamento climatico non è soltanto sbagliato, è anche un tentativo di greenwashing per descrivere un intervento impattante sull’ambiente da numerosi punti di vista, come sostenibile e anzi addirittura auspicabile. Questa narrazione rischia di creare confusione e compromettere la sensibilità ambientale che con fatica si è consolidata negli ultimi anni. Considerati gli effetti negativi sull’ambiente e i costi proibitivi, coprire i ghiacciai può avere senso solo localmente per tutelare gli interessi economici legati allo sfruttamento di specifici ghiacciai. Non ha invece nulla a che vedere con il contrasto al cambiamento climatico che anzi contribuisce ad aggravare.

Cosa significa coprire i ghiacciai

Coprire i ghiacciai con i teloni bianchi (geotessili) per proteggerli dalla radiazione solare e dal calore non è una pratica molto diffusa, ma se ne sente parlare sempre più spesso. È un argomento suggestivo, che nonostante il freddo del ghiaccio, tocca tematiche calde, quali il cambiamento climatico, il riscaldamento globale e il ritiro dei ghiacciai alpini. Quest’ultima è una delle manifestazioni più evidenti e preoccupanti degli effetti ambientali provocati dai cambiamenti climatici. Conosciamo bene i desolanti confronti fotografici che mostrano il ritiro dei ghiacciai avvenuto negli ultimi decenni. Mettere a punto un metodo per rallentare la contrazione dei ghiacciai -come la pratica della copertura con i teli geotessili-, potrebbe quindi sembrare un’arma vincente da sfoderare contro le deleterie conseguenze del riscaldamento globale negli ambienti d’alta quota.

Quella del salvataggio è la narrazione che viene spesso affiancata all’esecuzione degli interventi di copertura dei ghiacciai: li copriamo per salvarli e contrastare il riscaldamento globale. Citiamo a esempio la recente campagna promossa da Mastercard, che per ogni transazione eseguita in Svizzera sul noto circuito di credito tra Ottobre e Dicembre 2021, ha donato alla Cover Project Foundation le risorse necessarie per coprire una porzione di ghiacciaio pari alla superficie di una carta di credito. Un’altra realtà che si muove nella stessa direzione è la start-up Glac-Up, recentemente ideata da economisti e che si pone l’obiettivo di preservare i ghiacciai alpini con i teli geotessili. La start-up vuole coinvolgere privati e aziende, che potranno “adottare” una parte di un ghiacciaio finanziandone la copertura.

È vero, l’applicazione dei teli sulla superficie dei ghiacciai rallenta la fusione di neve e ghiaccio. I teli riducono la quantità di luce solare assorbita dai ghiacciai riflettendola e riducendo la fusione. Da un punto di vista tecnologico questo intervento di geoingegneria sembrerebbe funzionare. Si potrebbe pensare che l’installazione dei teli possa effettivamente salvare i ghiacciai, o almeno rallentarne la scomparsa. Purtroppo non è così semplice. Come scienziati che si occupano di glaciologia e climatologia, vediamo nella diffusione di questi progetti alcune criticità che stanno creando confusione, compromettendo la sensibilità ambientale che, con fatica, si è consolidata negli ultimi anni.

Quali sono gli effetti sull’ambiente e sul clima?

Dal punto di vista ambientale e del contrasto al cambiamento climatico, la pratica di copertura dei ghiacciai è problematica per diversi motivi:

1) Il carburante per alimentare i gatti delle nevi che movimentano i teloni ogni anno e la produzione dei teloni stessi, spesso composti di materie plastiche, sono risorse non rinnovabili, il cui utilizzo contribuisce a incrementare il riscaldamento globale. Bruciare carburante per stendere i teli significa contribuire all’immissione di CO2 nell’atmosfera, contribuendo ulteriormente al cambiamento climatico nel vano tentativo di proteggere i ghiacciai, essi stessi vittime del riscaldamento globale. Discorso simile vale per la produzione della plastica di cui sono fatti la maggior parte dei teloni utilizzati. Sebbene riciclabili da un punto di vista teorico, i teli non vengono riciclati, ma sostituiti ogni pochi anni a causa dell’usura favorita dalle condizioni ambientali che contraddistinguono i ghiacciai. Come è possibile non cogliere la natura paradossale di queste pratiche? Si cerca di limitare un danno contribuendo alle cause che lo hanno provocato. I ghiacciai continueranno a ritirarsi anche se coperti da teli geotessili. La compensazione delle emissioni con progetti di riforestazione che molti di questi progetti pubblicizzano, suona come una magra consolazione. Tale pratica dovrebbe essere limitata per motivi etici e pratici ad attività inquinanti di ben altra importanza socio-scientifico-economica. La miglior compensazione, quella di cui beneficiano tutti i ghiacciai del pianeta, è la riduzione delle emissioni, non il tentativo di rimediare a una produzione di CO2 che poteva essere evitata.

2) I teloni rilasciano grandi quantità di fibre plastiche, ancora non è chiaro dove si accumulino una volta espulse dai ghiacciai insieme all’acqua di fusione e quali siano gli effetti ambientali, ma gli scienziati stanno lavorando a questi temi.

3) Coprire i ghiacciai per preservarli è ancora più problematico considerando le conseguenze a lungo termine. Con l’aumento della temperatura gli ambienti in quota stanno evolvendo rapidamente, con piante e animali che si spostano verso fasce altimetriche più elevate inseguendo le temperature più adatte a essi. Mantenere un ghiacciaio coperto lo renderebbe un corpo estraneo: un blocco di ghiaccio “insaccato” e isolato dal contesto ecologico-ambientale circostante. I ghiacciai sono ecosistemi multiformi, dove hanno luogo interazioni complesse con l’ambiente circostante. Un ghiacciaio ingegnerizzato è invece un accumulo artificiale di acqua allo stato solido, isolato, inaccessibile e impercorribile. Sono davvero questi i ghiacciai che vogliamo salvare per le future generazioni? Placche di ghiaccio sporco impacchettate in un sudario di plastica?

4) I ghiacciai non sono privi di vita: sono ecosistemi dove vivono comunità ecologiche attive che svolgono fotosintesi e accumulano materia organica, contribuendo all’assorbimento di CO2 atmosferica. Ricoprirli con i teli significa impedire questi processi ecologici e distruggere le comunità biologiche che trovano sulla superficie dei ghiacciai gli ambienti più adatti alla propria sopravvivenza.

5) Da un punto di vista logistico sarebbe impossibile raggiungere un numero significativo di ghiacciai per coprirli, molti di essi si trovano infatti in ambienti impervi e di difficile accesso, dove non è fisicamente possibile operare con mezzi meccanici. Oltre a motivi di tipo pratico-logistico, anche i costi per portare avanti questi progetti sono un fattore fortemente limitante. Le pratiche di copertura hanno costi enormi. In un recente studio, alcuni glaciologi svizzeri hanno stimato che per salvare un metro di cubo di ghiaccio con i teloni, è necessario investire annualmente tra 0.6 e 8 euro. Per osservare un effetto positivo di rallentamento del ritiro di un intero ghiacciaio, è necessario preservare decine di migliaia di metri cubi di ghiaccio, con costi nell’ordine delle centinaia di migliaia di euro all’anno per ciascun ghiacciaio ingegnerizzato. Per motivi economici è quindi impossibile pensare di coprire tutti i ghiacciai delle Alpi. Anche riducendo il raggio d’azione, questa pratica rimane inattuabile. Il costo teorico calcolato considerando i soli ghiacciai svizzeri, sarebbe talmente elevato che con tale cifra si potrebbero compensare le emissioni di gas serra dell’intera Svizzera, con effetti positivi “democraticamente” distribuiti su tutti i ghiacciai del pianeta. Il costo spropositato per la copertura dei ghiacciai spiega da una parte perché solo pochi ghiacciai fino ad ora siano stati coinvolti in progetti di questo tipo, dall’altra perché stiano nascendo diverse iniziative con l’obiettivo di raccogliere i fondi necessari per attuarli.

Perché coprire i ghiacciai?

Se è però così costoso e da un punto di vista ambientale poco sensato, perché investire energie e risorse nella copertura dei ghiacciai? La risposta a questa domanda permette finalmente di avere una visione chiara e completa della questione. I ghiacciai alpini attualmente coinvolti in progetti di copertura ospitano piste per lo sci alpino o altre forme di sfruttamento turistico. La stesura dei teli è incoraggiata dalla tutela di interessi economici locali e puntiformi. I ghiacciai vengono coperti per garantire l’esistenza di piste da sci e risparmiare sui piani di innevamento artificiale durante la stagione sciistica.

Sarebbe corretto indicare chiaramente che finanziare la copertura dei ghiacciai oggi non ha nulla a che fare con il contrasto al cambiamento climatico e con la salvaguardia o “valorizzazione” dei ghiacciai. Significa proteggere un interesse economico locale che porterà profitti a imprese e aziende. Se questo non viene specificato, come purtroppo accade nella maggior parte dei casi, questi interventi si configurano come tentativi ben architettati di greenwashing, vale a dire operazioni di marketing finalizzate alla costruzione di un’immagine positiva dal punto di vista ambientale di una pratica che di ambientale e sostenibile ha in realtà poco.

I rischi di una comunicazione ambigua

Portare avanti iniziative impattanti e inquinanti come la copertura dei ghiacciai senza una comunicazione adeguata, sta creando una grande confusione nella sensibilità ambientale. Esse creano il messaggio distorto che per limitare gli effetti deleteri del riscaldamento globale sui ghiacciai basti avvolgerli in un telo. Ciò è un grande passo indietro nella costruzione di una sensibilità ambientale attenta, moderna e consapevole.

Non è corretto descrivere la copertura dei ghiacciai come una misura di adattamento al cambiamento climatico e al riscaldamento globale. Coprire un ghiacciaio inquinando l’ambiente e consumando risorse, significa perseverare nella stessa miope visione che ha provocato il problema. Adattarsi al cambiamento climatico significa accettare un cambio di paradigma che metta al centro la riduzione degli impatti e il senso del limite. Portare avanti procedure impattanti per mantenere attività economiche che a causa degli stessi cambiamenti climatici saranno sempre più insostenibili è l’opposto dell’adattamento, è accanimento.

Come salvare davvero il clima e i ghiacciai

I ghiacciai si salvano solo stabilizzando il clima del pianeta, non esistono scorciatoie. I più recenti studi hanno mostrato che se non limiteremo le emissioni di gas serra in atmosfera nei prossimi decenni, i ghiacciai alpini saranno quasi del tutto scomparsi entro la fine del secolo. Questo non significa che non c’è più nulla da fare, anzi. Gli stessi studi sottolineano che se saremo capaci di ridurre l’utilizzo dei combustibili fossili e contenere l’incremento delle temperature planetarie entro i 2 °C rispetto al periodo preindustriale (accordo di Parigi), salveremo il 40% del ghiaccio oggi presente sulle Alpi. Non è poco! Ricordiamo però che questa stima non potrà essere aumentata grazie alla posa dei teli geotessili proprio a causa dell’impossibilità logistica, economica ed ecologica, di implementare questa tecnologia su larga scala.

“L’eroe del ghiacciaio” non è chi finanzia la posa di un telo di plastica e men che meno chi si propone di lucrare su queste attività facendo leva sulla sensibilità ambientale delle persone con messaggi ambigui. L’eroe del ghiacciaio è chi sceglie consapevolmente di assumere uno stile di vita attento al risparmio delle risorse e alla riduzione del proprio impatto in termini di gas serra immessi in atmosfera.

21 gennaio 2022

Documento firmato da 44 scienziate e scienziati che si occupano dello studio della glaciologia e dei cambiamenti climatici. Il documento è inoltre supportato dalle principali istituzioni che in Italia si dedicano al monitoraggio dei ghiacciai a scala regionale e nazionale e che afferiscono al World Glacier Monitoring Service.


Sottoscriventi:
Enti-Istituzioni
● Comitato Glaciologico Italiano
● Fondazione Montagna Sicura (Courmayeur, Aosta)
● Italian Climate Network
● Servizio Glaciologico Alto Adige
● Servizio Glaciologico Lombardo
● Società Alpinisti Tridentini
● Società Meteorologica Alpino-Adriatica
● Società Meteorologica Italiana

Scienziati

● Roberto Ambrosini, Università degli Studi di Milano
● Giovanni Baccolo, Università Milano-Bicocca
● Carlo Baroni, Università di Pisa
● Luca Bonardi, Università degli Studi di Milano
● Irene Maria Bollati, Università degli Studi di Milano
● Aldino Bondesan, Università di Padova
● Francesco Brardinoni, Università di Bologna
● Pietro Bruschi, Servizio Glaciologico Alto Adige
● Francois Burgay, Paul Scherrer Institut (Svizzera)
● David Michele Cappelletti, Università di Perugia
● Alberto Carton, Università di Padova
● Daniele Cat Berro, Società Meteorologica Italiana
● Marta Chiarle, CNR-IRPI
● Nicola Colombo, Istituto di Ricerca sulle Acque-CNR
● Renato R. Colucci, Istituto di Scienze Polari-CNR
● Philip Deline, Université Savoie Mont Blanc (Francia)
● Barbara Delmonte, Università Milano-Bicocca
● Biagio Di Mauro, Istituto di Scienze Polari-CNR
● Matteo Fioletti, ARPA Lombardia
● Massimo Frezzotti, Università Roma Tre
● Jacopo Gabrieli, Istituto di Scienze Polari-CNR
● Antonio Galluccio, Servizio Glaciologico Lombardo
● Serena Giacomin, Italian Climate Network
● Marco Giardino, Università degli Studi di Torino
● Susanna Grasso, ARPA Lombardia
● Matthias Huss, Politecnico di Zurigo (Svizzera)
● Giovanni Kappenberger, glaciologo (ex MeteoSvizzera)
● Valter Maggi, Università Milano-Bicocca
● Niccolò Maffezzoli, Università Ca’ Foscari Venezia
● Luca Mercalli, Presidente Società Meteorologica Italiana
● Umberto Morra di Cella, ARPA Valle d’Aosta
● Giovanni Mortara, CNR-IRPI
● Guido Nigrelli, CNR-IRPI
● Matteo Oreggioni, Servizio Glaciologico Lombardo
● Elisa Palazzi, Università di Torino
● Giovanni Prandi, Servizio Glaciologico Lombardo
● Maria Cristina Salvatore, Università di Pisa
● Riccardo Scotti, Servizio Glaciologico Lombardo
● Franco Secchieri, Servizio Glaciologico Alto Adige
● Roberto Seppi, Università di Pavia
● Barbara Stenni, Università Ca’ Foscari Venezia
● Mauro Varotto, Università di Padova
● Cristina Viani, Università degli Studi di Torino
● Fabio Villa, Servizio Glaciologico Lombardo




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