Viola Rame alla Pietra Quadra nelle Orobie Bergamasche
Viola scuro come una prugna matura e verde chiaro come il rame ossidato. La placca Menhir sul Pietra Quadra si colora per contrasto. Pennellate parallele uniscono Vulcanite e Verrucano mentre la neve evidenzia le rughe di questa vecchia Pietra tanto cara ai bergamaschi. Un geologo potrebbe sicuramente apprezzare meglio questo dipinto di milioni di anni fa. Noi meri rocciatori della domenica possiamo godere di quest'opera dall'alto della nostra ignoranza, ricordando ancora una volta quanto siano belle e variegate le nostre Orobie.
L'idea per Viola Rame nacque più di due anni fa, un battito di ciglia per il pittore della Pietra. Era l'ottobre del 2019 ed in quattro stavamo aprendo la via Menhir sulla placca più evidente della parete Nord. Una salita che ricordo con piacere e ancora oggi una delle vie più belle che abbiamo aperto.
Nel bel mezzo di una lunga parete caratterizzata da canalini e camini, la placconata forma un anfiteatro aereo e molto suggestivo. Tra un chiodo e l'altro, l'occhio continuava a rimbalzare sul grande diedro che orla il lato sinistro della placca. Non particolarmente invitante per una salita estiva, il diedro sembrava avere tutte le caratteristiche per una via invernale divertente e non troppo difficile. Come capita spesso però, l'idea rimase nel cassetto per qualche anno, in attesa delle condizioni e dei compagni giusti. Quest'anno finalmente riesco a trovare la quadra. Un inverno molto magro crea un bel nastro di neve gelata sul fondo del diedro, senza seppellire la parete sotto metrate di neve, mentre i compagni per l'occasione saranno addirittura cinque! Insieme a Fabio Mazzoleni, altro appassionato di aperture e stimatore della Pietra, organizziamo due cordate da tre per salire insieme da Nord e scalare due linee parallele. Fabio porterà la sua cordata sulla via Calegari, tentando quella che con buone probabilità sarà la prima salita invernale, mentre io, Emanuele e Fabio B. punteremo la nuova linea sulla placca della Menhir.
Se mi avessero chiesto di scommettere sulla riuscita di questa piccola impresa di gruppo, non penso che mi sarei giocato più di un caffè. Convincere sei persone a presentarsi alle quattro del mattino, con la prospettiva di un avvicinamento da più di tre ore, mi è sembrato già un risultato meritevole. Sperare di ricongiungersi in cresta dopo aver scalato due linee diverse, entrambe da scoprire, mi sembrava alquanto improbabile.
Nonostante il mio pessimismo, la mattina siamo tutti al parcheggio e l'avvicinamento procede senza intoppi. Ce la prendiamo con calma. Sappiamo che ci aspetta una lunga giornata ed un rientro complicato dal fatto che vogliamo scendere dal versante Sud, per goderci un po' di sole. Verso le otto del mattino siamo agli attacchi, divisi da non più di cento metri di nevaio. Mentre mi preparo ad imboccare la goulotte che ci condurrà al nostro diedro, volgo lo sguardo verso i nostri compagni di avventura e vedo Fabio in lontananza che perde la corda, lasciandola scivolare sui pendii nevosi che ricoprono la base della parete. Il mio pessimismo si infiamma come un fazzoletto gettato sulla brace e inizio a pensare a tutto quello che può ancora andare storto; non ultimo il fatto che non sappiamo bene come uscire dalla placconata Menhir, una volta raggiunti gli strapiombi che sbarrano l'uscita del diedro. Le alternative sono: affrontare direttamente gli strapiombi o fare un lunghissimo traverso su placca per ricongiungersi all'uscita della Menhir, un piccolo intaglio che sbuca in cresta.
Il prossimo tuffo al cuore ce lo regalerà Emanuele, che decide di lanciare nel vuoto la piccozza a metà del quarto tiro. La guardo con rammarico roteare nell'aria e rimbalzare sul Verrucano. Allungo un braccio nella generica direzione del suo percorso gravitale, ma è un gesto istintivo, senza ratio. L'attrezzo passa a qualche metro dalla sosta e tra le mani mi restano solo le bestemmie di Emanuele. Mentre registro lo strano sollievo che provo nel poter finalmente mettere a fuoco quello che il mio pessimismo stava covando da tutto il giorno, la piccozza si pianta nella neve del pendio sottostante. La fisso incredulo, provando a questo punto un po' di stizza nell'esser preso in giro così dagli eventi, che sembrano giocare con noi come un gatto con la preda. Mentre mi calo per recuperare l’attrezzo, il mio pensiero va alla seconda cordata. Nascosta alla vista e troppo lontana per sentirci, non abbiamo modo di sapere che condizioni abbiano trovato e come se la stiano cavando. Il mio caffè potrebbe già essere perso e non lo sapremmo nemmeno.
Il diedro si rivela divertente quanto estetico. Sessanta metri di sorrisi su ghiaccio, neve plastica e passi di misto. L'ambiente è incredibilmente suggestivo; un enorme placca del verrucano più bello che ci sia sulle Orobie. Abituati ad arrampicare in canali angusti e camini scuri, è raro trovarsi a ramponare in uno spazio così aperto come in questo angolo del Pietra Quadra. La placca si spiega sulla nostra destra; una vela larga cinquanta metri e alta più del doppio. Raggiunto l'apice del diedro, abbandoniamo subito l'idea di forzare gli strapiombi che orlano la cresta, scegliendo invece di traversare e cercare l'uscita della Menhir. La scelta si rivela azzeccata. Il traverso non è difficile e ci regala una visuale favolosa sulla placconata sottostante. Un ultimo sguardo verso valle, a rimirare soddisfatti la nuova via, e siamo in cresta bagnati dal sole.
Mentre sistemiamo l'attrezzatura, in lontananza sbucano Fabio e soci sventolando in aria le braccia trionfanti. Vinta anche la seconda linea e il mio pessimismo, non resta che scendere gli insidiosi pendii di olina del versante sud e ricongiungerci sui prati sottostanti. Ci attende un lungo rientro, che termineremo alla luce delle frontali, proprio come siamo partiti. Per ora però, ci godiamo un po' di tè caldo e ci scambiamo racconti sulle vie. Dopo aver arrampicato così vicini e tanto lontani per tutto il giorno, è emozionante potersi ritrovare in un cerchio di sorrisi, a condividere la soddisfazione che solo una lunga giornata di montagna sa regalare. Alcuni li conosco da anni, amici e fidati compagni di cordata, alcuni li ho conosciuti la mattina al buio e forse non avrò più occasione di condividere salite, ma penso che tutti ricorderemo con piacere questa piccola avventura, come "quella volta che in sei abbiamo scalato la Nord del Pietra Quadra".