The Real Big Drip e altre cascate di ghiaccio in Canada. Di Daniele Frialdi
Il vento soffia incessantemente e le forti raffiche fanno volare cristalli di neve in ogni direzione formando e disfando cumuli ovunque e sferzando i nostri visi rendendoci difficile respirare e tenere gli occhi aperti. Qui i telefoni non prendono e per poter fare una chiamata o mandare un messaggio dovremmo percorrere tutta la strada a piedi fino all’imbocco della valle, circa 20 km più in là. La prospettiva di dover passare la notte qui si fa sempre più concreta…
Domenica primo Marzo 2020, la nostra vacanza volge ormai al termine dopo 10 giorni passati a tritare ghiaccio al cospetto delle selvagge montagne rocciose della zona compresa tra Banff e Jasper. L’obbiettivo iniziale era quello di andare alla ricerca di avventure alpinistiche su montagne e pareti mitologiche ed il peso dei nostri sacconi con dentro il materiale ne è la prova più evidente; ci siamo portati davvero di tutto: due serie di friends, chiodi da roccia in quantità, picche e ramponi di scorta, 4 corde, cordini da abbandono, sacchi a pelo, fornelli, persino la tenda… della serie pronti a tutto! In cuor nostro sapevamo bene che non era il periodo ideale per le salite di misto in ambiente e che la quantità di neve ed il freddo intenso avrebbero potuto rappresentare ostacoli insormontabili ed infatti ben presto, osservando le pareti ed i pendii che ci circondavano, ci siamo resi conto che i nostri presentimenti pessimistici erano fondati.
Appurata l’impossibilità di cimentarci su grandi pareti troppo cariche di neve ci siamo dedicati all’arrampicata su ghiaccio andando alla ricerca delle cascate più belle e difficili presenti in zona riuscendo anche a cogliere qualche perla di rara formazione salendo, tra le altre, Nemesis allo Stanley Headwall (120m, 6), Curtain Call nel Jasper National Park (130m, 6), Ice Nine sulla Icefield Parkway (95m, 6) e la sua variante d’attacco in total-dry che rimonta sulla prima colonna di ghiaccio (45m, M8/9), Weeping Wall nella Columbia Icefield (170m, 5+) seguita da Weeping Pillar (170m, 6).
Come degna conclusione del nostro viaggio siamo andati alla scoperta di una valle tanto bella quanto selvaggia che racchiude in sé tutta l’essenza del Canada invernale: la Ghost Valley. Questa valle è famosa per l’isolamento totale ed il difficile accesso che avviene lungo una strada sterrata di oltre 20 km che non viene mai pulita dalla neve e dal ghiaccio (se non parzialmente dai frequentatori che volenti o nolenti spesso si trovano costretti a liberare la carreggiata dalla neve per passare o per togliersi dai guai) e che per questo può diventare una trappola sia in entrata che in uscita.
Negli ultimi tre giorni di vacanza ci siamo stati due volte. La prima aggregati a Fabio Elli e Sebastian, una guida alpina del posto che ci ha fatto da autista e da cicerone accompagnandoci fino in fondo alla valle in una sorta di rally mozzafiato, tra un cumulo di neve ed un altro, grazie alla super jeep che aveva in dotazione. In quella occasione abbiamo scalato tutti insieme una splendida e rara cascata, Rainbow Serpent (120m, 6), in un anfiteatro naturale (il Recintal Hall) unico nel suo genere e davvero suggestivo, raggiungibile seguendo una serie di piccole goulotte e risalendo la cascata Acquarius (50m, 4+).
La seconda volta abbiamo deciso di provare ad andarci da soli dopo una attenta valutazione sulle possibilità ed i limiti del nostro pick-up ed una volta stabilito il punto massimo fino al quale avremmo potuto spingerci con il nostro mezzo, decidiamo di partire. L’obbiettivo è tentare la salita di The Real Big Drip, una linea di ghiaccio e misto spettacolare che domina l’intera valle ed è visibile già da molto lontano.
È ancora buio quando abbandoniamo il pick-up nel punto prestabilito che come da pronostico abbiamo raggiunto più o meno senza intoppi. Iniziamo a camminare con gli zaini in spalla e ben presto ci portiamo sul fondo della valle. Il sole inizia ad albeggiare e la nostra salita si presenta laggiù in fondo in tutto il suo splendore. Non sappiamo bene come fare a raggiungerla, le informazioni raccolte sono molto sommarie quindi navighiamo a vista tenendo puntato l’obbiettivo e cercando il percorso migliore. Ad un certo punto orientarsi diventa difficile e quando capiamo di aver sbagliato completamente il canale di accesso siamo già parecchio alti. Sprofondando nella neve a tratti fino al ginocchio nonostante le ciaspole riusciamo a scavarci la giusta trincea in mezzo alla pineta e finalmente dopo circa 4 ore arriviamo alla base di questa mastodontica struttura. L’ambiente è selvaggio, isolato e solitario, siamo molto lontani da tutto e da tutti ed in giro non c’è anima viva. Forse in qualche altro punto della valle ci saranno altri scalatori ma la sensazione è quella della solitudine totale.
La salita si sviluppa in 5 tiri di corda con un’alternanza di tratti rocciosi tecnici che rimontano su ghiaccio strapiombante e tratti di ghiaccio tecnici che rimontano su roccia strapiombante... Sono le 11 quando appoggio le lame delle mie x-dream sulle tacche della roccia strapiombante del primo tiro. I movimenti sono molto delicati e tecnici, appigli ed appoggi sono difficili da individuare e molti non sono più utilizzabili perché rotti o consumati nonostante la via non venga ripetuta frequentemente. Al termine della parte rocciosa si rimonta sulla struttura di ghiaccio sospesa e si sosta dopo circa 15 metri di arrampicata entusiasmante ed esposta. La sosta a fix descritta nella relazione non la trovo quindi mi appendo nel vuoto a tre ottime viti da ghiaccio in una sorta di nicchia accennata. La qualità e le condizioni della parte di dry rendono, a nostro avviso, le difficoltà del tiro più severe rispetto alla gradazione originale (M7+) e si attestano intorno all’M9.
Quando parto per il secondo tiro mi trovo ben presto davanti ad una struttura di ghiaccio assurda caratterizzata da continui strapiombi e tetti formati da enormi cavolfiori e stallattiti. Trovare la linea migliore per progredire non è stato semplice e mi ha costretto a farmi largo rompendo a calci e colpi di piccozza gigantesche candele sospese che impedivano il passaggio obbligandomi poi a movimenti più simili a quelli utilizzati nelle grotte di drytooling che a quelli sulle cascate di ghiaccio. Un tiro durissimo che a posteriori battezzeremo come il tiro di ghiaccio più duro e difficile che tutti noi abbiamo mai salito ed il 7° grado gli calza a pennello.
Il terzo tiro è sulla falsariga del primo sia come lunghezza che come difficoltà, con una parte di drytooling molto fisica e strapiombante, con numerosi buchi rotti o strappati ed alcuni fix malconci che rendono la scalata di Marco, passato nel frattempo al comando, molto difficile anche dal punto di vista psicologico.
Il quarto tiro (5+) consiste in uno spettacolare ribaltamento in completa esposizione da una sezione di ghiaccio all’altra necessario per uscire dalla nicchia di sosta che finisce con un muro di ghiaccio verticale al termine del quale si sosta. In tre la progressione è un po' più lenta e quando Roby si spara gli ultimi 60 metri di ghiaccio completamente verticale che sancisce la fine della cascata si sta facendo buio. Le doppie sferzate dal solito vento pazzesco ci riportano velocemente alla base, stanchi ma entusiasti.
Il rientro non è dei più agevoli dato che dobbiamo cercare e battere la giusta traccia che al mattino non avevamo trovato. Ci vorranno altre tre ore per raggiungere la macchina. E’ buio ormai ed il vento se possibile soffia ancora più forte, tanto forte che sulla strada si sono formati cumuli di neve riportata che al mattino non c’erano. Ben presto capiamo che per noi uscire dalla valle sarà tutt’altro che semplice. Il pick-up si pianta più volte nella neve costringendoci continuamente a scendere con le pale.
Le ore passano, il pick-up si pianta per l’ennesima volta. Marco è sdraiato a terra e cerca di liberare nuovamente il pianale che si è appoggiato sul fondo innevato, Roby spala per liberare le ruote anteriori mentre io mi occupo del retro. La stanchezza inizia a farsi sentire, i nostri visi sono arrossati dal freddo ed i crampi irrigidiscono i muscoli rallentando le operazioni di spalatura. Continuiamo a ripeterci che si tratti dell’ultimo punto critico, che usciti da questa buca poi non troveremo più altri punti di accumulo ma ormai lo diciamo senza crederci nemmeno più di tanto, quasi con rassegnazione certi che dopo questa volta ci pianteremo poco più avanti e poi più avanti ancora.
Qui come diveo i telefoni non prendono e per poter fare una chiamata o mandare un messaggio dovremmo percorrere tutta la strada a piedi fino all’imbocco della valle, circa 20 km più in là. La prospettiva di dover passare la notte qui si fa sempre più concreta… Invece stavolta è quella buona, Roby si mette al volante ed accelera a fondo, le ruote prendono ed il pick-up parte a razzo. Io e Marco da terra urliamo a Roby di non fermarsi fino a quando non raggiungerà un posto con meno neve ed iniziamo ad inseguirlo a corse. Quando lo raggiungiamo siamo esausti.
Da lì in avanti avremo altri momenti critici ma non ci pianteremo più e faremo ritorno al nostro ostello in piena notte al termine di una lunga giornata indimenticabile nella quale abbiamo vissuto un concentrato di tutte le emozioni della vacanza intera. Una degna conclusione nella quale The Real Big Drip ha trasformato il nostro viaggio in A REAL BIG TRIP.
Daniele Frialdi direttore CRU (circolo rocciatori Ugolini Brescia) www.ugolini-bs.it
Marco Verzeletti istruttore CRU
Roberto Parolari guida alpina www.guidaalpinarobi.it
Si ringraziano Camp - Cassin, Blocco Mentale Brescia, Kayland, Dolomite, Gialdini