Putha Hiunchuli, cima per Sergio Zigliotto
Dopo la vetta del Mera Peak l'anno scorso, il 20/10/2011 alle ore 9.30 del mattino l'alpinista vicentino Sergio Zigliotto ha raggiunto la vetta di Putha Hiunchuli, splendida montagna di 7246m denominata anche Dhaulagiri VII. La salita é stata molto impegnativa e osteggiata da forti venti e da temperature che hanno toccato i -27°C, tanto che solamente 6 alpinisti su 13 sono riusciti ad arrivare sulla cima.
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Sergio Zigliotto sulla vetta del Putha Hiunchuli a 7246m.
Sergio Zigliotto
Nell’ambito della spedizione internazionale "Putha Hiunchuli 2011", organizzata dall’Agenzia tedesca Amical Alpin, ho avuto la fortuna di raggiungere la vetta di questa splendida montagna di 7246m, denominata anche Dhaulagiri VII, il giorno 20 ottobre alle ore 9.30 del mattino. Il Putha Hiunchuli é una montagna isolata che si trova nella regione nepalese del Dolpo, ancora lontana dai trekking e dal turismo di massa. Il percorso di avvicinamento al campo base, prevede 10 giorni di trekking che si svolge lungo valli costellate da pochi villaggi di pastori/agricoltori e da boschi ancora incontaminati.
E’ stata un’esperienza molto bella, a partire dal trekking lungo l’antica "Via del sale", che collega le pianure del Nepal al Tibet, attraverso i sentieri selvaggi del Basso Dolpo e ancora oggi utilizzati dalla popolazione locale per i loro commerci. La prima emozione forte é certamente l’atterraggio nel piccolo "aeroporto" di Juphal: una pista sterrata di circa 400 metri, fra le pareti scoscese dei monti circostanti, con un piccolo velivolo bi-motore. Da Dunai inizia il vero e proprio trekking lungo la valle del fiume Barbhung, attraverso boschi di castagni selvatici e cipressi himalayani. Si passa poi per l’antico villaggio fortezza di Tarakot a 2600 m e per il leggendario e splendido villaggio di Kakkot a 3250 m, in cui vive una popolazione di antiche origini tibetane che ha mantenuto una propria identità, oltre che lingua e tradizioni.
Da Kakkot inizia la parte più complicata ed impegnativa di tutto il trekking che porta al campo base, in quanto la valle di accesso non é percorribile nel suo lato inferiore a causa delle alte pareti rocciose che ostruiscono il passaggio. Bisogna infatti salire lungo erti pendii erbosi e creste rocciose molto esposte per arrivare ai pascoli di Pangzi Kakka, oltrepassare il "German Base Camp" e raggiungere in due giorni il vero Campo Base, posto a 4950 m in un luogo ameno, ricco d’acqua e prati, nonostante la quota.
Supportati da condizioni meteo stabili, si é svolto in seguito il periodo di acclimatazione di circa 10 giorni, che ha visto la posa di 3 campi alti: il campo 1 a 5450 m, il campo 2 a 6200 m e il campo 3 a 6550 m. L’attacco finale alla vetta é stato influenzato dall’imminente arrivo di un fronte, che ha costretto ad anticipare i tempi della partenza dall’ultimo campo alle 2.30 del mattino. La salita é stata molto impegnativa e osteggiata da forti venti e da temperature che hanno toccato i -27°C, tanto che solamente 6 alpinisti su 13 sono riusciti ad arrivare sulla cima.
Le condizioni della neve hanno reso particolarmente difficoltosa la progressione sugli erti pendii sommitali e ci sono volute circa 7 ore per coprire i 700 m di dislivello finali, ma alla fine tutto é andato bene, anche se alcuni degli altri alpinisti giunti in vetta hanno riportati lievi congelamenti alle dita di mani e piedi. Il ritorno si é svolto lungo lo stesso percorso di salita, ostacolato dal peggioramento delle condizioni meteo, con nevicate diffuse fino a 4500 m.
Nel suo complesso, la spedizione ha visto la partecipazione di 13 alpinisti provenienti da varie nazioni europee: 7 tedeschi, 3 austriaci, 2 olandesi ed 1 italiano. Da un controllo effettuato su "Himalayan Database" redatto da Miss Hawley, si é trattato della seconda salita italiana al Putha Hiunchuli, che in totale conta meno di 200 salite. Ben lontano, quindi, dagli affollamenti di molti ottomila e di altre cime più "alla moda". Il Putha Hiunchuli non é certo una montagna che presenta difficoltà techiche, ma la sua quota e l’isolamento dei luoghi possono creare molti problemi. Resta una cima splendida, che si "conquista" poco per volta, lentamente e gustandone ogni suo lato, dove si può davvero respirare ancora il profuma della grande avventura.
Sergio Zigliotto, Calvene, Vicenza
E’ stata un’esperienza molto bella, a partire dal trekking lungo l’antica "Via del sale", che collega le pianure del Nepal al Tibet, attraverso i sentieri selvaggi del Basso Dolpo e ancora oggi utilizzati dalla popolazione locale per i loro commerci. La prima emozione forte é certamente l’atterraggio nel piccolo "aeroporto" di Juphal: una pista sterrata di circa 400 metri, fra le pareti scoscese dei monti circostanti, con un piccolo velivolo bi-motore. Da Dunai inizia il vero e proprio trekking lungo la valle del fiume Barbhung, attraverso boschi di castagni selvatici e cipressi himalayani. Si passa poi per l’antico villaggio fortezza di Tarakot a 2600 m e per il leggendario e splendido villaggio di Kakkot a 3250 m, in cui vive una popolazione di antiche origini tibetane che ha mantenuto una propria identità, oltre che lingua e tradizioni.
Da Kakkot inizia la parte più complicata ed impegnativa di tutto il trekking che porta al campo base, in quanto la valle di accesso non é percorribile nel suo lato inferiore a causa delle alte pareti rocciose che ostruiscono il passaggio. Bisogna infatti salire lungo erti pendii erbosi e creste rocciose molto esposte per arrivare ai pascoli di Pangzi Kakka, oltrepassare il "German Base Camp" e raggiungere in due giorni il vero Campo Base, posto a 4950 m in un luogo ameno, ricco d’acqua e prati, nonostante la quota.
Supportati da condizioni meteo stabili, si é svolto in seguito il periodo di acclimatazione di circa 10 giorni, che ha visto la posa di 3 campi alti: il campo 1 a 5450 m, il campo 2 a 6200 m e il campo 3 a 6550 m. L’attacco finale alla vetta é stato influenzato dall’imminente arrivo di un fronte, che ha costretto ad anticipare i tempi della partenza dall’ultimo campo alle 2.30 del mattino. La salita é stata molto impegnativa e osteggiata da forti venti e da temperature che hanno toccato i -27°C, tanto che solamente 6 alpinisti su 13 sono riusciti ad arrivare sulla cima.
Le condizioni della neve hanno reso particolarmente difficoltosa la progressione sugli erti pendii sommitali e ci sono volute circa 7 ore per coprire i 700 m di dislivello finali, ma alla fine tutto é andato bene, anche se alcuni degli altri alpinisti giunti in vetta hanno riportati lievi congelamenti alle dita di mani e piedi. Il ritorno si é svolto lungo lo stesso percorso di salita, ostacolato dal peggioramento delle condizioni meteo, con nevicate diffuse fino a 4500 m.
Nel suo complesso, la spedizione ha visto la partecipazione di 13 alpinisti provenienti da varie nazioni europee: 7 tedeschi, 3 austriaci, 2 olandesi ed 1 italiano. Da un controllo effettuato su "Himalayan Database" redatto da Miss Hawley, si é trattato della seconda salita italiana al Putha Hiunchuli, che in totale conta meno di 200 salite. Ben lontano, quindi, dagli affollamenti di molti ottomila e di altre cime più "alla moda". Il Putha Hiunchuli non é certo una montagna che presenta difficoltà techiche, ma la sua quota e l’isolamento dei luoghi possono creare molti problemi. Resta una cima splendida, che si "conquista" poco per volta, lentamente e gustandone ogni suo lato, dove si può davvero respirare ancora il profuma della grande avventura.
Sergio Zigliotto, Calvene, Vicenza
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