Prealpi venete occidentali… anche se non sarà la California

Le Prealpi Vicentine, l'arrampicata, la bellezza, la roccia 'friabile' e il racconto di un 'vissuto sul campo', ovvero sulla parete del Monte Cengio, che vale più di mille discorsi teorici sull'alpinismo, la montagna e il 'rischio'. Di Francesco Lamo.
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Prealpi Vicentine: verso il campanile a due punte
Francesco Lamo

Le Prealpi Vicentine mi affascinano, “anche se non sarà la California”, come più o meno recitava il titolo di un’apprezzata monografia della zona di Franco Zuccollo. Sono numerosi i motivi che possono giustificare questa attrazione: su tutti certamente la vicinanza alla pianura dove vivo (non ho più molto desiderio di macinare chilometri su strade disseminate di autovelox, a meno di non avere un autista scaltro che mi accompagni), la presenza di ambienti particolarmente selvaggi (splendida val delle Pruche!) e paesaggi suggestivi costituiti da guglie sfidanti la gravità (come il Dito di Dio, il Frate o il misterioso Ago del mago) e, nondimeno, di numerose intriganti salite di tipologia tradizionale. A mio parere, tra le vie classiche o semi-classiche più interessanti posso ricordare la “Casarotto-Campi“ al Soio Rosso, “Area“ a Punta Sibele, “Linea Rossa“ sul Fratòn (la vera gemma della Val di Sorapache) o “Armenia“ al Cimoncello.

Esistono tuttavia percorsi meno ordinari, ma comunque stimolanti, dove riscoprirsi soli rappresenta un vero e proprio valore aggiunto; mi riferisco ad esempio alla “Scorzato-Daniele“ alla Torre Orsini, alla “Thiene“ al Baffelan, alla “Pozzo-Padovan“ alla Torre dei Ronle o alla via “dei diedri“ al Cimoncello. Essere soli in parete mi fa infatti sentire più a contatto con la natura e la montagna, mi fa scalare più rilassato e -semplicemente- mi soddisfa in misura maggiore. Fumare beatamente una sigaretta in cima alla solitaria Guglia degli Operai, dopo la salita del suo spigolo sud, per me “non ha prezzo” (quasi come far festa, a base di ostriche e champagne, in cima al Precipizio degli Asteroidi). Diversamente, trovarmi “in coda” in via mi innervosisce, mi fa arrampicare contratto e male e soprattutto mi fa rientrare a casa più irritato che mai, con sommo disappunto di mia moglie. Dal punto di vista del trambusto penso quindi che non ci sia molta differenza tra camminare lungo il Prato della Valle a Padova il sabato mattina o ripetere in agosto una “Comici“ alla Grande di Lavaredo o una “Cassin“ al Badile.

Nonostante gli esposti argomenti di personale apprezzamento, le rocce sedimentarie della fascia prealpina vicentina riscuotono un’immeritata reputazione di friabilità e per questo, principalmente nei social, tali rilievi vengono spesso spiritosamente denominati “Piccole Crolloniti”. Alcuni toponimi locali certificano tuttavia e indiscutibilmente questo elemento distintivo, come ad esempio il complesso roccioso dello Sgraláite, il cui nome è tutto un programma. Certamente la qualità della croda non è quella delle Pale di San Lucano o delle Pale di San Martino, ma anche nelle Prealpi Vicentine esistono pareti davvero di una compattezza esclusiva: provate ad esempio a “tastare” la roccia di “Fora dai pensieri” al Cimoncello o dell’ultimo tiro di “Placca d’Argento” al Cornetto!

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E’ autunno, le temperature iniziano a scendere e le giornate sempre più si accorciano. Con Raffaele ci accordiamo per una via “non spaccacatene” (così il buon Raffaele definisce una via poco impegnativa, sia per il corpo che per la mente) e la preferenza ricade su una recente via nuova al Monte Cengio, parete posta mille metri sopra l’abitato di Cogollo. L’avvicinamento è breve e poco faticoso: il Cengio è infatti noto per gli avvicinamenti in discesa e… i rientri in discesa!

Nessuno in via, nessuno in parete. Perfetto. Saliamo rilassati.

Raffaele, fabbro di Taglio di Po (località non esattamente prossima alle Alpi), ha una passione smisurata per l’alpinismo, i suoi materiali e la sua storia: da oltre 25 anni parte da casa in direzione Dolomiti (quasi sempre andata e ritorno in giornata), riuscendo a cogliere anche apprezzabili ripetizioni.

Al secondo tiro, lungo una paretina dalla solidità in apparenza conforme al cemento armato, mi si apre davanti agli occhi una fessura per circa 15 centimetri, senza il minimo preavviso. Vista la precaria circostanza, tento delicatamente di tornare sui miei passi, ma non appena ricarico gli appoggi mi viene a mancare tutta la parte di roccia a cui sono appeso (una tonnellata, forse di più) e precipito.

Dopo il volo a testa in giù e un mezzo svenimento mi ritrovo sospeso a palpeggiarmi per capire l’entità dei traumi. Mi provoca dolore soprattutto una gamba, che non riesco in alcun modo a muovere. Dopo una mezzora, accertata l’impossibilità di riuscire a camminare, mi trovo costretto ad allertare il soccorso. Francesco, valida guida di Tonezza del Cimone, per fortuna trova il tempo per prendermi un po’ in giro. All’ospedale di Santorso (uno dei pochi ospedali veneti che finora, fortunatamente, non mi avevano ancora offerto ospitalità) scongiurano danni gravi e fratture, riconoscendo solo botte varie e un grosso ematoma al quadricipite. Per questa volta è andata bene, anche per merito del mio angelo custode, Camillo, che da Cogollo del Cengio mi osservava dubbioso e un po’ mi proteggeva.

Con questo breve resoconto voglio semplicemente far rilevare che l’appiglio singolo, il blocco ciclopico o addirittura tutta la parete possono staccarsi sia dalle Prealpi Vicentine che dalle Pale di San Martino (grandi Crolloniti?) o da qualsiasi altra montagna, dolomitica o non; e ciò può avvenire n qualsiasi momento. Esattamente un mese fa ho potuto ad esempio scrutare l’enorme recente frana (blocchi come autobus) presente alla base del Campanile della Fradusta, alla testata del Vallone dei Colombi. Peraltro, prima della spiacevole esperienza al Monte Cengio, l’unica volta che son caduto a causa della scarsa qualità della roccia e ho dovuto allertare i soccorsi è stato esattamente alle Pale di San Martino, sul Sass Maòr, circa 15 anni fa.

Indiscutibilmente un ruolo di primo piano lo rivestono gli eventi meteorologici particolarmente estremi degli ultimi anni e certamente le rocce di matrice dolomitico-calcarea sono destinate per loro natura a disgregarsi. Ma, soprattutto, “quando deve capitare capita”, con buona pace dei soliti commentatori o opinionisti freelance del “so tuto mi”. L’incidente in montagna può accadere a chiunque, principiante o professionista che sia. Può trarre origine da situazioni prevedibili o assolutamente fortuite ed in modo totalmente inaspettato. Ovviamente, a chi in montagna non ci va non accadrà mai.

Di seguito riporto una rappresentativa e divertente conversazione della cordata Zuccollo-Dal Balcon-Meneghini, intercorsa durante un’importante salita in Pasubio effettuata nel 1984:

- (Zuccollo) In quanto a solidità qui è un vero schifo!
- (Dal Balcon) Ho delle foto di un paio d’anni fa. Nel punto dove sei tu ora la roccia era prevalentemente grigia.
- (Meneghini) Probabilmente è franato qualcosa.
- (Zuccollo) Vorrà dire che passeremo col criterio del “noli me tangere” (nda: Non mi toccare).


Concludendo, vale necessariamente la pena saggiare la compattezza monolitica della roccia di “El duro del Fratòn” all’omonimo campanile, ma e’ sensato tenere altresì in considerazione che la cuspide del Fratòn di Sorapache –il Re della Val di Sorapache- è destinata a precipitare, e verosimilmente ciò si verificherà verso occidente. L’importante è, quando crollerà (perché prima o dopo crollerà), non esserci sopra.

Francesco Lamo CAAI




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