Oggi e ieri: la via "Lecco" al Grand Capucin
Matteo Della Bordella e Arianna Colliard e la salita della via Lecco alla parete SE del Grand Capucin aperta, nel 1968, dai ragni di Lecco: Aldo Anghileri, Guerino Cariboni, Casimiro Ferrari, Carlo Mauri e Pino Negri. Un modo per raccontare e ricordare una bella via, su un grandioso obelisco su cui s'è scritta la storia dell'alpinismo non solo del Monte Bianco.
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Il Grand Capucin
archivio Matteo Della Bordella
Ci sono montagne e pareti simbolo. Il Gran Capucin, missile di roccia in faccia al Monte Bianco, è una di queste. Dove stia il suo fascino è domanda quasi retorica. Chi non ricorda la prima volta che l'ha visto? Magari all'alba o al tramonto, quando con quel suo profilo da frate (appunto da gran cappuccino), emerge fiammeggiante tra gli altri - sempre splendidi - satelliti del Tacul. Del Capucin ci si può innamorare, si direbbe. E' stato così per tanti alpinisti. A cominciare da Walter Bonatti che con Luciano Ghigo realizzò la prima salita di questa impossibile torre di granito, nel 1951. Poi di salite, storie e alpinisti (tutti i più grandi) il Grand Capucin ne ha vissute moltissime. Tra queste l'apertura della via Lecco ad opera di alpinisti che hanno lasciato un gran segno sulle montagne e nella storia dei Ragni di Lecco. Ricordiamoli: Aldo Anghileri, Guerino Cariboni, Casimiro Ferrari, Carlo Mauri e Pino Negri. Per questo ci sembra bella questa "rivisitazione" di Matteo Della Bordella (che, come tutti sanno, oggi è uno dei maggiori esponenti del Gruppo lecchese) in cordata con Arianna Colliard. Della Bordella, naturalmente, ha salito la via in libera ed in particolare la grande e bella fessura del terzo tiro (8a+), già salita per prima volta in questo stile da Nicolas Potard, nel 2011, nel corso della sua combinazione di vie che ha chiamato Le tresor de Romain. Ma questo dettaglio della “libera” ci sembra meno rilevante di tutto il resto. Perché, come scrive lo stesso Matteo, “Chiunque di noi ha percorso questa via, ha un bel ricordo e una bella storia da raccontare”.
OGGI E IERI: LA VIA “LECCO” AL GRAND CAPUCIN di Matteo Della Bordella
La via “Lecco” al Gran Capucin è stata la quinta via ad essere aperta su questa montagna. Si tratta di una via con una storia alle spalle: una storia di nomi, persone che ho sempre ammirato per le loro salite e per il loro stile di andare in montagna. Aldo Anghileri, l’unico ancora in vita tra i 5 apritori della via mi ha raccontato qualche aneddoto della salita.
Dopo aver ripetuto la via Bonatti, è proprio di Aldo l’idea di aprire una nuova linea che passasse nel grande diedro al centro della parete. E così Aldo confida la sua idea a Casimiro Ferrari, il quale subito si dimostra interessato al progetto.
Il primo giorno Aldo Anghileri e Pino Negri aprono i primi 4 tiri e bivaccano alla base del grande diedro. Qui scoprono che la linea che avevano immaginato nel grande diedro era stata già tentata da altri, i quali però avevano seguito una linea differente nella parte bassa; ritrovano chiodi e cunei di legno di un tentativo di scalatori svizzeri dell’anno precedente.
Il secondo giorno vengono poi raggiunti da Casimiro Ferrari (che aveva posticipato la partenza a causa di impegni di lavoro), Carlo Mauri e Guerino Cariboni. Le cordate erano indipendenti e tutti i componenti della via salivano scalando, a quei tempi loro non usavano jumar o corde fisse.
Dopo aver aperto altri 150 metri ed un secondo bivacco, il terzo giorno i 5 si trovano ad affrontare il tratto più impegnativo della via. Qui gli svizzeri avevano lasciato dei rivetti su una placca poco lavorata; i lecchesi non sapendo bene come utilizzarli, ci strozzano attorno le stringhe delle scarpe, ci si appendono e superano questo tratto! Quindi proseguono fino in vetta dove arrivano la sera del terzo giorno.
Ripercorrendo questa via qualche settimana fa non ho potuto far altro che pensare a quanto la salita dei Ragni del 1968 fosse diversa dalla nostra. Ad oggi per me salire la via dei Ragni al Capucin è stata una sfida di arrampicata libera, a quei tempi era un’avventura, a quei tempi era scalare una montagna, vero alpinismo. L’attrezzatura è cambiata, il modo di scalare è cambiato, oggi ci sono scarpette, friends, catene alle soste e qualche spit sui tiri; 45 anni fa c’erano solo scarponi, cunei di legno, chiodi e rivetti!
Ma per fortuna questa montagna, questa roccia, questa linea con le sue fessure e i suoi diedri, restano gli stessi del 1968 e sono fantastici. In grado di regalare oggi come ieri grandi emozioni a chiunque li voglia percorrere.
Per me ed Arianna l’esperienza è stata completamente diversa da quella dei primi salitori: io era la terza volta che quest’anno tornavo al Capucin, per salire in libera questa linea, questo tiro che mi aveva stregato: il terzo. Questa lunghezza, che aveva liberato Nicolas Potard nel 2011 nel suo concatenamento “Le tresor de Romain” è, a detta di alcuni esperti, una delle più belle fessure del Bianco; si tratta di un 8a+ di pura potenza nella prima parte, fatto di allunghi e bloccaggi profondi su prese ed incastri distanti, a cui fa seguito una splendida seconda parte meno difficile in fessura di mano stretta.
Sono riuscito a venirne a capo in 7/8 tentativi, con una dura battaglia psicologica e fisica per passare la prima parte. Da qui abbiamo continuato per il grande diedro, per il tratto dei rivetti e poi fino in cima, con arrampicata sempre entusiasmante di fessura o di muro a tacche, su difficoltà più contenute nell’ordine del 6c/7a.
Per Aldo e compagni la soddisfazione è stata aprire questa linea ancora vergine, per me salirla in libera con Arianna, per Arianna arrivare in cima al Capucin con me… e per altri chissà! Chiunque di noi ha percorso questa via, ha un bel ricordo e una bella storia da raccontare.
Il bello di andare in montagna e di fare queste vie forse è anche che ognuno può trovare i suoi obiettivi e le sue soddisfazioni personali…
Matteo Della Bordella – Ragni di Lecco
OGGI E IERI: LA VIA “LECCO” AL GRAND CAPUCIN di Matteo Della Bordella
La via “Lecco” al Gran Capucin è stata la quinta via ad essere aperta su questa montagna. Si tratta di una via con una storia alle spalle: una storia di nomi, persone che ho sempre ammirato per le loro salite e per il loro stile di andare in montagna. Aldo Anghileri, l’unico ancora in vita tra i 5 apritori della via mi ha raccontato qualche aneddoto della salita.
Dopo aver ripetuto la via Bonatti, è proprio di Aldo l’idea di aprire una nuova linea che passasse nel grande diedro al centro della parete. E così Aldo confida la sua idea a Casimiro Ferrari, il quale subito si dimostra interessato al progetto.
Il primo giorno Aldo Anghileri e Pino Negri aprono i primi 4 tiri e bivaccano alla base del grande diedro. Qui scoprono che la linea che avevano immaginato nel grande diedro era stata già tentata da altri, i quali però avevano seguito una linea differente nella parte bassa; ritrovano chiodi e cunei di legno di un tentativo di scalatori svizzeri dell’anno precedente.
Il secondo giorno vengono poi raggiunti da Casimiro Ferrari (che aveva posticipato la partenza a causa di impegni di lavoro), Carlo Mauri e Guerino Cariboni. Le cordate erano indipendenti e tutti i componenti della via salivano scalando, a quei tempi loro non usavano jumar o corde fisse.
Dopo aver aperto altri 150 metri ed un secondo bivacco, il terzo giorno i 5 si trovano ad affrontare il tratto più impegnativo della via. Qui gli svizzeri avevano lasciato dei rivetti su una placca poco lavorata; i lecchesi non sapendo bene come utilizzarli, ci strozzano attorno le stringhe delle scarpe, ci si appendono e superano questo tratto! Quindi proseguono fino in vetta dove arrivano la sera del terzo giorno.
Ripercorrendo questa via qualche settimana fa non ho potuto far altro che pensare a quanto la salita dei Ragni del 1968 fosse diversa dalla nostra. Ad oggi per me salire la via dei Ragni al Capucin è stata una sfida di arrampicata libera, a quei tempi era un’avventura, a quei tempi era scalare una montagna, vero alpinismo. L’attrezzatura è cambiata, il modo di scalare è cambiato, oggi ci sono scarpette, friends, catene alle soste e qualche spit sui tiri; 45 anni fa c’erano solo scarponi, cunei di legno, chiodi e rivetti!
Ma per fortuna questa montagna, questa roccia, questa linea con le sue fessure e i suoi diedri, restano gli stessi del 1968 e sono fantastici. In grado di regalare oggi come ieri grandi emozioni a chiunque li voglia percorrere.
Per me ed Arianna l’esperienza è stata completamente diversa da quella dei primi salitori: io era la terza volta che quest’anno tornavo al Capucin, per salire in libera questa linea, questo tiro che mi aveva stregato: il terzo. Questa lunghezza, che aveva liberato Nicolas Potard nel 2011 nel suo concatenamento “Le tresor de Romain” è, a detta di alcuni esperti, una delle più belle fessure del Bianco; si tratta di un 8a+ di pura potenza nella prima parte, fatto di allunghi e bloccaggi profondi su prese ed incastri distanti, a cui fa seguito una splendida seconda parte meno difficile in fessura di mano stretta.
Sono riuscito a venirne a capo in 7/8 tentativi, con una dura battaglia psicologica e fisica per passare la prima parte. Da qui abbiamo continuato per il grande diedro, per il tratto dei rivetti e poi fino in cima, con arrampicata sempre entusiasmante di fessura o di muro a tacche, su difficoltà più contenute nell’ordine del 6c/7a.
Per Aldo e compagni la soddisfazione è stata aprire questa linea ancora vergine, per me salirla in libera con Arianna, per Arianna arrivare in cima al Capucin con me… e per altri chissà! Chiunque di noi ha percorso questa via, ha un bel ricordo e una bella storia da raccontare.
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Matteo Della Bordella – Ragni di Lecco
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