Mauro Bubu Bole sale Mission impossible a Valsavaranche
Il racconto di Mauro Bole e del suo particolare rapporto con 'Mission impossible', ultima 'creatura' di dry tooling del triestino in Valtournanche.
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Mauro Bubu Bole su Mission Impossible, Valsavaranche, Val di Cogne
Andrea Gallo
La vita è bella!
di Mauro ‘Bubu’ Bole, foto di Andrea Gallo
Nel Dicembre 99, quando andavo nella grotta di Stevie Haston in Valsavaranche a ripetere le sue vie, vedevo quell'evidente tetto dalla parte opposta della valle e mi chiedevo perché Stevie non avesse tracciato niente. Non notarlo è impossibile, è come un pugno nell'occhio, veramente spettacolare.
Poi, finito il tour nella grotta, sono andato a vederlo da vicino, e ho capito perché non c'era nessuna via: il tetto, di una quindicina di metri, è estremamente liscio. Ero troppo curioso, così dopo i primi venti metri di esile colonna di ghiaccio ho provato a chiodare la sottile fessura che taglia il tetto… ma non avevo dei chiodi abbastanza fini. E meno male che non avevo il trapano: avrei sicuramente rovinato quello che oggi reputo un personale capolavoro. Quella volta, dopo essermi pestato le dita inutilmente, mi ero detto: ma anche se riesco a chiodarlo, quando mai lo salirò? Bah, sarà per il prossimo millennio! Così abbandonai l'idea…
Quella benedetta fessura però non mi dava pace, sai come i gialli della Ovest (di Lavaredo n.d.r.): quando lo senti dentro devi andare! Così quest'autunno quando, in una delle tante nostre chiacchierate alla Grivel, Gioachino mi ha chiesto cosa pensavo di fare con le piccozze quest'inverno, ho risposto di getto: "Beh, di sicuro non una stagione come quella passata, se no mi accorcio la vita. Ma a due cose ci tengo veramente: la prima è quel tetto lasciato a metà, la seconda è un vecchio progetto la salita in dry tooling di 'No siesta' sulle Grandes Jorasses, e poi, perché no? l'Ice World Cup".
Dopo la gara di Val Daone (l'unica volta che ho tirato fuori le palle), con Massimo Farina (santo Massimo per la pazienza che ha con me), siamo andati a finire di chiodare proprio quel famoso tetto. Quel giorno mi sono distrutto la schiena per battere a testa in giù quei chiodi, che tra l'altro per metà mi cadevano. Poi, durante il successivo fine settimana, altri tre giorni di nervosismo: alla gara di misto di Sass Fee… naturalmente sono caduto. Ero talmente carico d'energia che mi sentivo come una mina vagante, e così il lunedì sono andato da solo a parlare con quella fessura. Mercoledì ero già di ritorno, sempre con santo Massimo, per provarla. Dopo un primo tentativo riesco a fare tutti i passaggi, ma il morale mi va sotto terra solo al pensiero di quanto dovrò spendere per mettere insieme tutti quei movimenti precari. Tiro giù la corda e dico a Massimo: "Vai tu adesso e dimmi se ti sembra possibile".
A metà tetto mi dice: "Calami non ha senso, e poi non ho neanche gli speroni". Alla base mi sussurra: "Tutto questo lavoro per niente…" No Massimo, niente è perduto, l'importante è crederci! Decido di fare ancora un giro, cambio le lame con quelle che ho preparato accuratamente per le gare, visto che lì non sono servite a molto. Già dai primi metri mi accorgo che qualcosa mi si è acceso dentro, quel senso di perfetta lucidità e assoluta calma come se il tempo si fosse fermato.
Passo la prima parte, molto fisica, con bloccaggi lunghi e poco niente per i piedi fino a metà tetto dove, da una posizione frontale, ruoto di 180° e agganciati gli speroni in una esile fessurina svasata la seguo trasversalmente per circa 3 metri. Sono appeso come un pipistrello. "Ormai sono in barca, devo remare" mi dico, mentre Massimo urla: "dai duro che te la mangi". Non so quanto tempo sono rimasto in quella posizione, forse troppo, ma le piccozze continuavano a scivolare fuori lasciandomi appeso solo sugli speroni. Finalmente passo quella sezione, e finalmente ritorno in posizione frontale o quasi. Almeno riesco a far circolare nei piedi un po' di sangue.
Altri due blocchi lunghi e arrivo all'ultimo passo su roccia, dove imposto la picca in rovescio. Il passaggio per arrivare alla colonna è molto lungo, non riesco a distendermi orizzontalmente. Sono troppo stanco, le mani mi si stanno aprendo, non riesco a tornare indietro…
Inizio a soffiare come una locomotiva mentre Massimo a squarciagola continuava a gridarmi: "Dai bastardo non mollare!". Dalla strada anche Assan (Roberto Fioravanti n.d.r.) mi incitava a non mollare (non sapeva bene cosa stesse succedendo, ma dai mugolii doveva sicuramente essere qualcosa di importante). All'ultimo secondo di lucidità riesco ad incastrare il polpaccio destro sul manico della picca messa a rovescio, e mollo la mano. Dolore infernale! L'uncino in metallo del manico mi taglia il pantalone e penetra nel polpaccio… ma continuavo a dirmi che "non fa male".
Finalmente con la sinistra aggancio la colonna e mi lascio andare verso di lei come in uno scontro frontale. Per fortuna la colonna ha resistito all'impatto. Mi riprendo un attimo. Ma ora c'è un altro piccolo problema… una picca e rimasta incastrata nel tetto. Ragiono sul da farsi, poi mi decido per l'unica soluzione: abbraccio forte la colonna con la mano destra (come fosse una donna) mentre con la picca preparo un buco a rovescio per potermi distendere così da recuperare l'altro attrezzo. Anche questa e fatta! Ora mi rimane soltanto un traverso di 5 metri nella parte interna della fragile tendina, così da girarci attorno e uscire dritto fino al bosco.
In quegli ultimi minuti di stress avevo solo un pensiero: "Speriamo che quell'ultimo chiodo sul tetto sia buono, perché se la tendina di ghiaccio mi rimane in mano, tiro un volo che me lo ricordo per tutta la vita". E' andata bene! E appena arrivato all'albero di sosta ho tirato un urlo che l'avranno sentito fino ad Aosta. Poi, sceso alla base, mi è venuta su una botta di adrenalina che ho iniziato a tremare come una foglia. "Da dove ti è venuta questa?" sono le prime parole di Massimo. "Non lo so! vedi quanto poco ci conosciamo, l'uomo è un animale imprevedibile" è la mia risposta.
Difficoltà? Non lo so, non è importante, non esiste "M" che possa tradurre l'energia che ho speso in quell'attimo, lungo o corto che sia stato. Non è nel mio stile parlare bene di me stesso, comunque in questi due ultimi anni ho ripetuto diverse vie dure e, sempre con un po' di fortuna, diverse le ho salite a vista. Ed è certo che non ho mai salito una via di dry-tooling così impegnativa e completa come 'Mission impossible'.
Sicuramente in giro ci sono, e stanno nascendo, alpinisti sempre più forti. Spero che qualcuno di loro ripeta ‘Mission impossible’. Ogni alpinista che usa il cuore per le sue ascensioni dovrebbe saper accettare il corso della vita e, chissà, forse sarò proprio io a tenere la corda su Mission - come Stevie ha tenuto la mia su ‘Empire’ - al giovane e forte Massimo Farina… sarà un onore dargli dei suggerimenti.
- SLIDESHOW MAURO BUBU BOLE MISSION IMPOSSIBLE
di Mauro ‘Bubu’ Bole, foto di Andrea Gallo
Nel Dicembre 99, quando andavo nella grotta di Stevie Haston in Valsavaranche a ripetere le sue vie, vedevo quell'evidente tetto dalla parte opposta della valle e mi chiedevo perché Stevie non avesse tracciato niente. Non notarlo è impossibile, è come un pugno nell'occhio, veramente spettacolare.
Poi, finito il tour nella grotta, sono andato a vederlo da vicino, e ho capito perché non c'era nessuna via: il tetto, di una quindicina di metri, è estremamente liscio. Ero troppo curioso, così dopo i primi venti metri di esile colonna di ghiaccio ho provato a chiodare la sottile fessura che taglia il tetto… ma non avevo dei chiodi abbastanza fini. E meno male che non avevo il trapano: avrei sicuramente rovinato quello che oggi reputo un personale capolavoro. Quella volta, dopo essermi pestato le dita inutilmente, mi ero detto: ma anche se riesco a chiodarlo, quando mai lo salirò? Bah, sarà per il prossimo millennio! Così abbandonai l'idea…
Quella benedetta fessura però non mi dava pace, sai come i gialli della Ovest (di Lavaredo n.d.r.): quando lo senti dentro devi andare! Così quest'autunno quando, in una delle tante nostre chiacchierate alla Grivel, Gioachino mi ha chiesto cosa pensavo di fare con le piccozze quest'inverno, ho risposto di getto: "Beh, di sicuro non una stagione come quella passata, se no mi accorcio la vita. Ma a due cose ci tengo veramente: la prima è quel tetto lasciato a metà, la seconda è un vecchio progetto la salita in dry tooling di 'No siesta' sulle Grandes Jorasses, e poi, perché no? l'Ice World Cup".
Dopo la gara di Val Daone (l'unica volta che ho tirato fuori le palle), con Massimo Farina (santo Massimo per la pazienza che ha con me), siamo andati a finire di chiodare proprio quel famoso tetto. Quel giorno mi sono distrutto la schiena per battere a testa in giù quei chiodi, che tra l'altro per metà mi cadevano. Poi, durante il successivo fine settimana, altri tre giorni di nervosismo: alla gara di misto di Sass Fee… naturalmente sono caduto. Ero talmente carico d'energia che mi sentivo come una mina vagante, e così il lunedì sono andato da solo a parlare con quella fessura. Mercoledì ero già di ritorno, sempre con santo Massimo, per provarla. Dopo un primo tentativo riesco a fare tutti i passaggi, ma il morale mi va sotto terra solo al pensiero di quanto dovrò spendere per mettere insieme tutti quei movimenti precari. Tiro giù la corda e dico a Massimo: "Vai tu adesso e dimmi se ti sembra possibile".
A metà tetto mi dice: "Calami non ha senso, e poi non ho neanche gli speroni". Alla base mi sussurra: "Tutto questo lavoro per niente…" No Massimo, niente è perduto, l'importante è crederci! Decido di fare ancora un giro, cambio le lame con quelle che ho preparato accuratamente per le gare, visto che lì non sono servite a molto. Già dai primi metri mi accorgo che qualcosa mi si è acceso dentro, quel senso di perfetta lucidità e assoluta calma come se il tempo si fosse fermato.
Passo la prima parte, molto fisica, con bloccaggi lunghi e poco niente per i piedi fino a metà tetto dove, da una posizione frontale, ruoto di 180° e agganciati gli speroni in una esile fessurina svasata la seguo trasversalmente per circa 3 metri. Sono appeso come un pipistrello. "Ormai sono in barca, devo remare" mi dico, mentre Massimo urla: "dai duro che te la mangi". Non so quanto tempo sono rimasto in quella posizione, forse troppo, ma le piccozze continuavano a scivolare fuori lasciandomi appeso solo sugli speroni. Finalmente passo quella sezione, e finalmente ritorno in posizione frontale o quasi. Almeno riesco a far circolare nei piedi un po' di sangue.
Altri due blocchi lunghi e arrivo all'ultimo passo su roccia, dove imposto la picca in rovescio. Il passaggio per arrivare alla colonna è molto lungo, non riesco a distendermi orizzontalmente. Sono troppo stanco, le mani mi si stanno aprendo, non riesco a tornare indietro…
Inizio a soffiare come una locomotiva mentre Massimo a squarciagola continuava a gridarmi: "Dai bastardo non mollare!". Dalla strada anche Assan (Roberto Fioravanti n.d.r.) mi incitava a non mollare (non sapeva bene cosa stesse succedendo, ma dai mugolii doveva sicuramente essere qualcosa di importante). All'ultimo secondo di lucidità riesco ad incastrare il polpaccio destro sul manico della picca messa a rovescio, e mollo la mano. Dolore infernale! L'uncino in metallo del manico mi taglia il pantalone e penetra nel polpaccio… ma continuavo a dirmi che "non fa male".
Finalmente con la sinistra aggancio la colonna e mi lascio andare verso di lei come in uno scontro frontale. Per fortuna la colonna ha resistito all'impatto. Mi riprendo un attimo. Ma ora c'è un altro piccolo problema… una picca e rimasta incastrata nel tetto. Ragiono sul da farsi, poi mi decido per l'unica soluzione: abbraccio forte la colonna con la mano destra (come fosse una donna) mentre con la picca preparo un buco a rovescio per potermi distendere così da recuperare l'altro attrezzo. Anche questa e fatta! Ora mi rimane soltanto un traverso di 5 metri nella parte interna della fragile tendina, così da girarci attorno e uscire dritto fino al bosco.
In quegli ultimi minuti di stress avevo solo un pensiero: "Speriamo che quell'ultimo chiodo sul tetto sia buono, perché se la tendina di ghiaccio mi rimane in mano, tiro un volo che me lo ricordo per tutta la vita". E' andata bene! E appena arrivato all'albero di sosta ho tirato un urlo che l'avranno sentito fino ad Aosta. Poi, sceso alla base, mi è venuta su una botta di adrenalina che ho iniziato a tremare come una foglia. "Da dove ti è venuta questa?" sono le prime parole di Massimo. "Non lo so! vedi quanto poco ci conosciamo, l'uomo è un animale imprevedibile" è la mia risposta.
Difficoltà? Non lo so, non è importante, non esiste "M" che possa tradurre l'energia che ho speso in quell'attimo, lungo o corto che sia stato. Non è nel mio stile parlare bene di me stesso, comunque in questi due ultimi anni ho ripetuto diverse vie dure e, sempre con un po' di fortuna, diverse le ho salite a vista. Ed è certo che non ho mai salito una via di dry-tooling così impegnativa e completa come 'Mission impossible'.
Sicuramente in giro ci sono, e stanno nascendo, alpinisti sempre più forti. Spero che qualcuno di loro ripeta ‘Mission impossible’. Ogni alpinista che usa il cuore per le sue ascensioni dovrebbe saper accettare il corso della vita e, chissà, forse sarò proprio io a tenere la corda su Mission - come Stevie ha tenuto la mia su ‘Empire’ - al giovane e forte Massimo Farina… sarà un onore dargli dei suggerimenti.
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